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Cassazione civile sez. III, 10/05/2023, n. 12610

Massima

L’articolo 318 c.p.c., a differenza dell’articolo 163, comma 1, numero 5), c.p.c., non impone che l’atto introduttivo del giudizio innanzi al Giudice di Pace contenga l’indicazione specifica dei mezzi di prova.

Supporto alla lettura

ATTO DI CITAZIONE

L’atto di citazione, disicplinato dall’art. 163 c.p.c., è un atto fondamentale del processo civile con cui si introduce la domanda giudiziale e si invita il convenuto a difendersi. La Riforma Cartabia ne ha modificato alcuni aspetti, in particolare i termini per la costituzione e le modalità di svolgimento del processo.

Rispetto al passato è previsto l’innalzamento da 90 a 120 giorni del termine a comparire tra il giorno della notificazione dell’atto al convenuto e la prima udienza di trattazione/comparizione personale delle parti. Il convenuto dovrà poi costituirsi in giudizio almento 70 giorni prima della prima udienza di trattazione, nei tempi e nelle modalità previste dagli artt. 166 e 167 c.p.c.. Inoltre la riforma è intervenuta anticipando il deposito di tutti gli atti (memorie di trattazione e istruttorie) così da permettere al giudice di avere sin da subito una cognizione piena della causa.

Anche prima della Riforma Cartabia, l’atto di citazione doveva contenere alcuni elementi a pena di nullità dell’atto stesso. La modifica dell’art. 163 c.p.c. ha stabilito ulteriori elementi che devono essere indicati necessariamente, tra questi, quello che l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni deve essere chiaro e specifico. E’ stato inserito anche il numero 3 bis), secondo il quale l’attore deve dichiarare nell’atto se la domanda è o non è soggetta a condizione di procedibilità (mediazione obbligatoria o negoziazione assistita) e documentare l’esito della stessa. Un’altra delle modifiche riguarda la vocatio in jus di cui al n. 7) dell’art. 163, c. 3, c.p.c., la quale, oltre ai consueti avvertimenti, dovrà contenere l’invito a costituirsi nel termine di 70 giorni (non più 20), il duplice avvertimento sull’obbligo per il convenuto di avvalersi della difesa tecnica di un avvocato, fatta eccezione per i casi previsti dall’art. 86 c.p.c. o dalle leggi speciali.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

– che (omissis) ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 450/21, del 4 maggio 2021, del Tribunale di Macerata, che – accogliendo il gravame esperito dalla Regione Marche avverso la sentenza n. 569/19, del 6 maggio 2019, del Giudice di pace di Macerata – ha rigettato la domanda risarcitoria dallo stesso proposta, in relazione alla fattispecie di responsabilità della Regione per danni cagionati da fauna selvatica;

– che, in punto di fatto, l’odierno ricorrente riferisce di aver adito l’autorità giudiziaria per conseguire il ristoro dei danni subiti dall’autoveicolo di sua proprietà in ragione dell’impatto con un cinghiale, avvenuto il (omissis) lungo la strada comunale che collega la Frazione di (omissis) al Comune di (omissis);

– che la domanda risarcitoria veniva accolta dal primo giudice nella contumacia della convenuta Regione Marche;

– che il gravame proposto dalla convenuta soccombente veniva accolto dal giudice di appello, che dichiarava nulla la sentenza resa in prime cure, sul presupposto che le prove, ammesse ed assunte dall’adito Giudice di pace, fossero state richieste con la memoria ex art. 320 c.p.c., e non in prima udienza;

– che avverso la sentenza del Tribunale maceratese ricorre per cassazione il (omissis), sulla base – come detto – di due motivi;

– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’art. 320 c.p.c.;

– che il ricorrente deduce di aver formulato le proprie istanze istruttorie direttamente alla prima udienza, sebbene con memoria precedentemente predisposta e, in quel frangente, depositata;

– che il secondo motivo denuncia “difetto di valida rappresentanza processuale ad appellare”, in capo alla Regione Marche, per “nullità della procura ad impugnare”, in quanto conferita dal Presidente della Regione senza alcun riferimento alla Delib. di Giunta, richiamandosi il ricorrente ad un – preteso – precedente di questa Corte (si tratta di Cass. Sez. Lav., ord. 17 ottobre 2017, n. 24463);

– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, la Regione Marche, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile e, comunque, rigettata;

– che entrambe le pari hanno depositato memoria;

– che il collegio ha raccomandato la stesura dell’ordinanza in forma semplificata.

Motivi della decisione

– che il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito precisati;

– che il secondo motivo di ricorso – da scrutinare prioritariamente, dato il suo carattere pregiudiziale, atteso che il suo accoglimento comporterebbe la declaratoria di inammissibilità dell’appello e, quindi, il passaggio in giudicato della sentenza resa in primo grado – non è fondato;

– che l’indicazione della Delib. adottata dalla Giunta regionale – organo competente a decidere in materia di liti attive e passive, ai sensi dell’art. 28, lett. h), dello statuto della Regione Marche – non si pone come requisito di validità della procura alle liti, dovendo, al più, essere prodotta in giudizio su richiesta del giudice, ai sensi dell’art. 182 c.p.c.;

– che, d’altra parte, anche ad intendere la censura formulata con il presente motivo – con il quale, per vero, neppure si individuano le norme di diritto che si assumono violate (ciò che già ne rende dubbia l’ammissibilità: cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01; in senso conforme Cass. Sez. 5, ord. 6 luglio 2021, n. 18998, Rv. 661805-01) – come riferita proprio all’art. 182 c.p.c., la stessa si paleserebbe comunque inammissibile, risultando precluso, nel caso di specie, il rilievo officioso della nullità conseguente alla violazione di tale norma;

– che, difatti, tale preclusione si imporrebbe ai sensi della disposizione di cui all’art. 157 c.p.c., comma 3, la quale – seppure confini letteralmente “il suo ambito alle sole nullità determinate dal comportamento di una parte che siano a rilievo non officioso” – è destinata ad operare, non solo per la parte che vi abbia dato causa o per quella che abbia omesso di rilevarla, ma anche per il giudice, allorchè risulti esaurita la fase processuale in cui la nullità si sia verificata e sempre che la legge non ne preveda il rilievo nella fase successiva (si veda in tal senso, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 30 agosto 2018, n. 21381, Rv. 650325-01; in senso analogo, tra le più recenti, si vedano, sempre in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 31 gennaio 2019, n. 2841 e Cass. Sez. 3, ord. 4 novembre 2020, n. 24483);

– che, invero, essendo l’inoperatività della previsione di cui all’art. 157 c.p.c., comma 3, “ancorata all’esistenza del potere officioso del giudice”, risulta “logicamente sostenibile che essa si giustifichi temporalmente solo fino a quando il potere officioso del giudice sussista e sia esercitabile come quello della parte”, giacchè, viceversa, allorquando tale potere officioso cessi, non può che venire meno “quell’esigenza logica, per così dire di par condicio fra parte e giudice, che giustifica che i poteri di rilevazione si conservino per entrambi ancorchè la nullità sia stata determinata originariamente dalla parte” (così, nuovamente, per tutte, Cass. Sez. 3, sent. n. 21381 del 2018, cit.);

– che il primo motivo di ricorso è, invece, fondato;

– che, difatti, l’art. 318 c.p.c., diversamente dall’art. 163, comma 1, n. 5), non prescrive che l’atto introduttivo del giudizio innanzi al Giudice di pace contenga l’indicazione specifica dei mezzi di prova, ma unicamente l’esposizione dei fatti e l’indicazione dell’oggetto (la sola carenza dei quali determina, dunque, la nullità dell’atto; cfr. Cass. Sez. 1, sent. 30 aprile 2005, n. 9025, Rv. 581238-01);

– che, pertanto, non risulta affatto precluso che le richieste di prova, lungi dall’essere raccolte nel verbale di udienza, possano essere oggetto – come avvenuto nel caso di specie – di una memoria, purchè depositata sempre in prima udienza;

– che in accoglimento del primo motivo di ricorso la sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione, con rinvio al Tribunale di Macerata, in persona di diverso magistrato, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese processuali, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara il secondo non fondato e, per l’effetto, cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Macerata, in persona di diverso magistrato, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese processuali, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 24 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2023

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