Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 19/3/2024 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del GIP del Tribunale di Napoli in data 8/7/2021 che aveva condannato, tra gli altri, Am.An. per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alle truffe, rideterminando la pena per effetto dell’applicazione del vincolo della continuazione con i fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Bologna del 9/10/2017, irrevocabile il 21/11/2017, in anni tre di reclusione.
2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il delitto di associazione per delinquere in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente individuato nell’ Am.An., l’interlocutore del coimputato Au.Ge.
3. Con il secondo motivo censura la sentenza per violazione di legge in relazione all’applicazione della recidiva reiterata specifica (art. 99, comma 4, cod. pen.), avendo la Corte di appello valutato, ai fini della citata aggravante, non solo i fatti del 2000 per i quali il ricorrente è stato condannato con sentenza del Tribunale di Vasto del 17/10/2000, ma anche i fatti di cui alla sentenza del Corte di appello di Bologna del 2017, commessi successivamente alla consumazione dei reati di cui alla sentenza impugnata che riguarda fatti del 2015.
4. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 73 e 132 cod. pen., per avere la Corte di appello erroneamente calcolato la pena in anni tre di reclusione, a seguito dell’incremento della continuazione pari a mesi due, su una pena di anni due e mesi otto di reclusione, senza motivare sull’entità dell’aumento.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per essere i motivi proposti, ad eccezione dell’ultimo, manifestamente infondati. La fondatezza del terzo motivo non comporta, tuttavia, l’annullamento della sentenza potendo procedersi alla rettificazione della quantità della pena.
2. Il primo motivo è aspecifico e comunque non deducibile.
Il ricorrente perché non si confronta con quanto spiegato a pag. 7 della sentenza impugnata in cui la Corte di appello dà atto che le critiche difensive riguardavano (solo) la riconducibilità dell’utenza n. (Omissis) all’Am.An., sul rilievo che questi non si chiamasse “(Omissis)”. La Corte territoriale ha dato congrua risposta evidenziando che l’ Am.An. era il “telefonista”, avente anche un ruolo “operativo” nella ricerca delle vittime della truffa ed era stato identificato con certezza posto che il coimputato Au.Ge., cognato di Am.An., nel rispondere ad altro interlocutore, in altra intercettazione valorizzata dal primo giudice, non contestata dall’imputato, gli riferiva di stare “lavorando” con “(Omissis)” (cfr. pag. 33 della sentenza di primo grado). Tale circostanza contrariamente a quanto si assume nel ricorso, non si pone in contrasto con la ricostruzione dei fatti operata in sentenza avendo la Corte di appello precisato che l’ Au.Ge. aveva riferito all’interlocutore di stare lavorando con “(Omissis)” intendendo con ciò di stare fornendogli telefonicamente gli indirizzi delle vittime e non che fossero insieme fisicamente e ciò spiega logicamente anche la ragione dell’aggancio della cella di F da parte di Au.Ge. e di quella di N da parte del ricorrente.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte a Sezioni Unite ha affermato “In tema di recidiva reiterata contestata nei giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice (Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, Rv. 284878).
In forza di tale principio deve ritenersi priva di fondamento la censura difensiva con la quale si contesta la sussistenza della recidiva reiterata specifica. In tema di reato associativo, l’accertamento contenuto nella sentenza di condanna delimita la protrazione temporale della permanenza del reato con riferimento alla data finale cui si riferisce l’imputazione ovvero alla diversa data ritenuta in sentenza, o, nel caso di contestazione c.d. aperta, alla data della pronuncia di primo grado (Sez. 2, n. 680 del 19/11/2019, Rv. 277788; Sez. 6, n. 3054 del 14/12/2017, Rv. 272138).
Nel caso esaminato la sentenza impugnata ha riguardato un’associazione per delinquere finalizzata alle truffe, con contestazione ” aperta” ove la consumazione è indicata “nel mese di ottobre 2015 con condotta perdurante” per cui la consumazione è fissata alla data della sentenza di primo grado (08/07/2021) conseguentemente i fatti riportati nella sentenza del 2017, ben potevano essere considerati ai fini della recidiva reiterata essendo precedenti alla consumazione del reato oggetto della sentenza impugnata. 3.Fondato è, infine, il terzo motivo.
In primo grado Am.An. è stato condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione così determinata : p.b. anni due di reclusione, aumentata ad anni tre per la recidiva aggravata, ulteriormente aumentata ad anni quattro per l’aggravante di cui all’art. 416, comma 5, cod. pen., con riduzione di un terzo per il rito alla pena suindicata.
In appello la Corte, ritenuta la continuazione con il reati di cui alla sentenza del Tribunale di Vasto in data 9/10/2017, irrevocabile 24/11/2017 ha aumentato la pena di mesi due di reclusione rideterminando la pena complessiva in anni tre di reclusione, anziché in anni due e mesi dieci di reclusione.
Va ricordato come, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la mancata osservanza o l’erronea applicazione delle norme sul calcolo della pena acquistano rilevanza, ai fini del ricorso per cassazione, esclusivamente quando la pena irrogata in dispositivo sia “illegale”, cioè non rientri, per specie o quantità, nei limiti di quella astrattamente comminata per il reato in contestazione (in questo senso Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Stagno e altri, Rv. 255197). Tale situazione non è configurabile nel caso di specie nel quale la pena irrogata all’imputato, di anni tre di reclusione, è compatibile, per specie e quantità, con i limiti edittali stabiliti per il delitto di cui all’art. 416 c.p, oggetto di addebito, talché non è riconoscibile alcuna violazione di legge. D’altro canto, reputa il Collegio di poter rettificare la sentenza ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., comma 2, essendo riconoscibile nella sua motivazione quella particolare forma di errore materiale che attiene alle modalità di computo della pena: di talché, senza pronunciare annullamento, la Corte, partendo dalla pena base e tenendo fermi gli aumenti per le aggravanti e l’aumento di mesi due per la continuazione ridetermina la pena nella misura di anni due e mesi dieci di reclusione.
P.Q.M.
Rettifica la sentenza impugnata nel senso che la previsione della condanna finale alla pena di anni tre di reclusione è sostituta con quella dì anni due e mesi dieci di reclusione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, l’8 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2025.
