Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso il decreto n. 800/2017 della Corte d’appello di Perugia, del 20 marzo 2017.
2. Resiste con controricorso (omissis), che ha formulato altresì ricorso incidentale articolato in un solo motivo.
3. La Corte d’appello di Perugia ha accolto la domanda di equa riparazione proposta in data 20 luglio 2011 da (omissis) in ragione della irragionevole durata del processo presupposto svoltosi innanzi al Giudice di pace di Roma (R.G. 85943/2004) introdotto con atto del 26 ottobre 2004 e definito dalla sentenza n. 3295/2010 del 27 maggio 2010. La Corte d’appello ha dapprima respinto l’eccezione sollevata dal Ministero circa la tardività della riassunzione del giudizio operata con ricorso depositato in data 17 settembre 2014 a seguito della dichiarazione di interruzione avvenuta in data 29 maggio 2014 per la sospensione dalla professione dell’avvocato (omissis), difensore della ricorrente, disposta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma in data 18 luglio 2013; successivamente la Corte di Perugia ha valutato in due anni e sette mesi l’irragionevole durata del processo presupposto e, assunto a parametro l’importo di Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo, ha liquidato un indennizzo di Euro 1.291,00 in favore dell’istante.
La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..
1. Con l’unico motivo del ricorso principale, il Ministero della Giustizia denuncia la nullità del decreto per la violazione degli artt. 301 e 305 c.p.c.. Viene censurata la pronuncia impugnata nella parte in cui ha respinto l’eccepita tardività della riassunzione della controparte, dovendosi considerare il processo interrotto dal giorno della morte, radiazione o sospensione del procuratore per mezzo del quale la parte è costituita in giudizio. Nel caso di specie, la Corte d’appello di Perugia avrebbe omesso di considerare che l’avvocato Staniscia era a conoscenza della sospensione dalla professione già dal 24 ottobre 2013, data della comunicazione del provvedimento del Consiglio dell’Ordine. La Corte di Perugia avrebbe quindi illegittimamente trascurato le richieste istruttorie avanzate in tal senso dal Ministero (acquisizione della Comunicazione del C.O.A. al fascicolo e richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., al C.O.A. di Perugia ed al C.O.A. di Roma).
2. L’unico motivo del ricorso incidentale di (omissis) allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e segg.. La ricorrente incidentale lamenta che la Corte d’appello avrebbe liquidato le spese di lite (Euro 250,00) afferenti alla fase di merito in misura inferiore ai limiti di legge, essendo prevista una somma minima ammontante ad Euro 1.892,40 ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA. 3. Il ricorso del Ministero della Giustizia è infondato.
La Corte d’appello di Perugia ha affermato che, a seguito della sospensione della professione dell’avvocato (omissis), difensore di (omissis), disposta con provvedimento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma in data 18 luglio 2013 e comunicato in data 24 ottobre 2013, il giudizio era stato interrotto in data 29 maggio 2014 e poi riassunto tempestivamente con ricorso depositato in data 17 settembre 2014.
Oggetto del contendere sono, dunque, gli effetti dell’interruzione automatica del giudizio di equa riparazione in conseguenza della sospensione dall’albo professionale dell’avvocato (omissis), procuratore di (omissis) all’atto della proposizione della domanda di equa riparazione.
Il motivo di ricorso del Ministero della Giustizia deduce che il termine ex art. 305 c.p.c., per la riassunzione del giudizio di equa riparazione doveva farsi decorrere dalla comunicazione del provvedimento di sospensione operata dal Consiglio dell’Ordine in data 24 ottobre 2013.
Per orientamento giurisprudenziale del tutto consolidato, nel processo civile, qualora la parte sia costituita a mezzo di procuratore, l’evento della morte, radiazione o sospensione del procuratore produce l’interruzione del procedimento con effetto immediato, senza necessità di dichiarazione o notifiche ed a prescindere da ogni indagine circa la conoscenza che di detto evento possono avere avuto le parti o il giudice e senza alcuna necessità di declaratoria da parte del giudice stesso, ma il termine perentorio per la riassunzione o prosecuzione del processo cosi interrotto, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 139 del 1967, n. 178 del 1970, 159 del 1971 e n. 36 del 1976, deve farsi decorrere non dal momento in cui l’evento interruttivo si verifica, ma da quello della conoscenza legale dell’evento stesso, risultante, cioè, da dichiarazione, notificazione o certificazione dell’evento, ovvero a seguito di lettura in udienza dell’ordinanza di interruzione, non essendo all’uopo sufficiente la conoscenza di fatto che di esso una delle parti abbia aliunde acquisito (tra le tante, cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 11/11/2019, n. 29144; Cass. Sez. 6 – 3, n. 3782 del 2015; Cass. Sez. 3, n. 3085 del 2010). Questa Corte ha però anche precisato come la temporaneità che connota la sospensione dall’albo professionale, a differenza della morte o della radiazione, diversifica i riflessi che essa produce sul processo interrotto per effetto del suo avveramento e segnatamente connota modi e tempi per la sua ripresa. A differenza dalle altre ipotesi, per la prosecuzione del processo nell’ipotesi di interruzione del processo a seguito di un provvedimento di sospensione del procuratore dall’esercizio della professione, una volta terminato il periodo di sospensione, non è, dunque, necessaria una nuova procura alla lite, nè una nuova costituzione in giudizio, essendo sufficiente, invece, che il procuratore, già regolarmente costituito prima della sua sospensione, riprenda a svolgere le proprie funzioni in base alla precedente procura ed alla già esperita costituzione, entrambe divenute nuovamente valide ed efficaci in seguito alla cessazione della sospensione. Il fatto che il procuratore è ben a conoscenza sia dell’accadimento interruttivo dipendente dalla subita sanzione e sia della relativa durata, gli impone – pur in assenza di conoscenza legale della conseguente ordinanza d’interruzione – di riprendere automaticamente ad esercitare il suo mandato alla scadenza del comminato periodo di sospensione e, quindi, di provvedere alla prosecuzione del giudizio nel prescritto termine ex art. 305 c.p.c., decorrente dalla cessazione del periodo di sua sospensione dall’albo. In tale situazione, ai fini della tempestiva ripresa del processo, non ricorre la medesima esigenza di protezione della parte rappresentata, propria delle ipotesi di definitiva cessazione dello ius postulandi, in cui detto termine deve decorrere dalla sua conoscenza legale dell’accadimento interruttivo, poichè altrimenti resterebbe pregiudicato il diritto di difesa della parte stessa, da assicurare in modo effettivo e adeguato (Cass. Sez. 6 – 2, 21/01/2019, n. 1523, Cass. Sez. 6-2, 06/02/2019, n. 3529, entrambe non massimate; di seguito, conformi, Cass. Sez. 6 – 2, 11/11/2019, n. 29144; Cass. Sez. 2, 08/08/2019, n. 21186; si vedano comunque già Cass. Sez. 1, 10/12/2010, n. 24997; Cass. Sez. L, 20/07/2004, n. 13490; Cass. Sez. 1, 28/03/1969, n. 1010).
Nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 6957 del 17 marzo 2017, risulta come il CNF, investito dall’impugnazione dell’avvocato Staniscia avverso la sospensione cautelare irrogatagli dal C.O.A. di Perugia il 18 luglio 2013, dichiarò cessata l’efficacia della misura. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ritennero quindi inammissibile il ricorso dell’avvocato Staniscia, evidenziando come “la richiesta di retrodatazione al 18 luglio del 2014 del provvedimento di cessazione dell’efficacia della sospensione disposta dal COA di Perugia non appare in realtà comprensibile, volta che il provvedimento dell’organo disciplinare perugino è stato emesso il 18 luglio del 2013, ed ha, ipso facto, cessato i suoi effetti proprio alla data oggi indicata dai ricorrenti”. Poichè allora in data 18 luglio 2014 era automaticamente cessata la sospensione dell’avvocato Staniscia, il procuratore stesso, non essendo stato revocato e non avendo rinunciato alla procura, aveva l’onere di provvedere a far tempo da quella data alla prosecuzione del giudizio nel termine decadenziale, ai sensi degli artt. 301 e 305 c.p.c..
In tal senso l’istanza di prosecuzione presentata il 17 settembre 2014 è comunque stata effettuata nel rispetto del dies a quo per la riassunzione entro tre mesi del processo ex art. 305 c.p.c..
4. E’ invece fondato il ricorso incidentale.
La Corte d’appello di Perugia ha liquidato le spese processuali in Euro 8,00 per spese vive e complessivi Euro 250,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario 15%, CAP ed Iva.
Questa Corte ha già moltissime volte precisato come il procedimento per l’equa riparazione del pregiudizio derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo – di cui alla L. n. 89 del 2001 – vada considerato, ai fini della liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato, quale procedimento avente natura contenziosa, con la conseguenza che, nel caso in esame, trova applicazione la tabella 12 allegata al D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 21/07/2020, n. 15493; Cass. Sez. 6 – 2, 21/06/2019, n. 16770; Cass. Sez. 2, 10/04/2018, n. 8818; Cass. Sez. 2, 28/02/2018, n. 4689; Cass. Sez. 6 – 2, 14/11/2016, n. 23187; Cass. Sez. 1, 17/10/2008, n. 25352).
E’ stato anche chiarito come, in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica standard del valore della prestazione professionale; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi, fermo restando che il superamento dei valori minimi stabiliti in forza delle percentuali di diminuzione incontra il limite dell’art. 2233 c.c., comma 2, il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione.
Si è quindi negato che il D.M. n. 55 del 2014, precostituisca un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe (Cass. Sez. 6 – L, 31/01/2017, n. 2386; Cass. Sez. 3, 07/01/2021, n. 89).
Deve comunque ribadirsi quanto affermato da Cass. Sez. 6 – 2, 05/08/2016, n. 16392, e cioè che, nei giudizi di equa riparazione per irragionevole durata del processo, il giudice, purchè non scenda al di sotto degli importi minimi, può ridurre il compenso del difensore sino alla metà, anche senza necessità di specifica motivazione, e senza che perciò operi il limite di cui all’art. 2233 c.c., comma 2.
La liquidazione disposta dalla Corte di Perugia in complessivi Euro 250,00, opera, invece, senza dare alcuna adeguata motivazione, una globale determinazione dei compensi in misura notevolmente inferiore a quelli minimi di cui alla tabella 12 allegata al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, tenuto conto del valore della causa (da Euro 1.100,01 a Euro 5.200,00), pur applicata la riduzione massima in ragione della speciale semplicità dell’affare D.M. n. 55 del 2014, ex art. 4 (Euro 1.198,50: Euro 255,00 per la fase di studio; Euro 255,00 per la fase introduttiva; Euro 283,50 per la fase istruttoria; Euro 405,00 per la fase decisionale) (Cass. Sez. 6 – 3, 15/12/2017, n. 30286; Cass. Sez. 6 – L, 31/01/2017, n. 2386; Cass. Sez. 6 – 1, 16/09/2015, n. 18167).
Conseguono il rigetto del ricorso principale, l’accoglimento del ricorso incidentale e la cassazione del decreto impugnato nei limiti della censura accolta. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può decidersi nel merito, liquidando per le spese del procedimento di equa riparazione l’importo di Euro 1.198,50, come sopra determinato. La regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione viene attuata secondo soccombenza nell’importo liquidato in dispositivo.
Essendo tanto il procedimento in esame quanto la ricorrente principale Amministrazione dello Stato esenti dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo, in rapporto al ricorso incidentale dichiarato inammissibile, alla dichiarazione di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato nei limiti della censura accolta e, decidendo nel merito, liquida in favore di M.A. le spese del procedimento di equa riparazione nell’importo di Euro 1.198,50; condanna l’intimato Ministero della Giustizia a rimborsare al ricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00 per compensi, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2022