Fatto
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 259/17, il Tribunale per i minorenni di Roma ha dichiarato lo stato di adottabilità di Bo.Ma. (nato a Roma, il 29.5.2007) e con la successiva sentenza dell’8.6.2020 i coniugi Si.Lu. e Bo.Gi. lo hanno adottato.
In data 8.2.2023, gli adottanti, premesso che nel mese di novembre 2021 il figlio era scappato di casa per cercare di riprendere i contatti con la mamma biologica e che, unitamente alla nonna biologica, si era recato presso i Carabinieri ove aveva sporto denuncia nei loro confronti per maltrattamenti; che, da allora, era stato collocato in casa famiglia; che ne era altresì conseguito il loro rinvio a giudizio e che all’esito del processo erano stati assolti “perché il fatto non sussiste”, hanno chiesto la revoca dell’adozione del minore, ai sensi dell’art. 306 c.c., per indegnità dell’adottato.
Con la sentenza n. 6/23, il Tribunale ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di revoca e con atto di appello depositato il 27.7.2023, i genitori hanno impugnato il provvedimento, insistendo per la revoca dell’adozione.
La Corte di appello ha respinto il gravame con sentenza n. 1821/2024 in data 12 marzo 2024.
Si.Lu. e Bo.Gi. hanno proposto ricorso chiedendo la cassazione della sentenza in epigrafe con due mezzi, illustrati con memoria.
L’Avvocata Ga.Ro., curatrice speciale del minore, è rimasta intimata.
È stata disposta la trattazione camerale.
Diritto
CONSIDERATO CHE
2.- Con la sentenza impugnata, la Corte di merito ha premesso che
– la materia del contendere investe l’istituto della revoca dell’adozione per indegnità dell’adottato, disciplinata in termini sovrapponibili dall’art. 306 c.c. e dall’art. 51 della legge n.184/1983;
– nel caso in esame il figlio aveva sporto denuncia nei confronti degli adottanti per il reato di maltrattamenti e nei loro confronti si era, quindi, proceduto per il reato di cui all’art. 572 co. 1, 2 e 4 c.p. e all’esito di giudizio abbreviato, i genitori adottivi erano stati assolti con sentenza n.1554/2022 “perché il fatto non sussiste”;
– in seguito, essi avevano chiesto di revocare l’adozione per indegnità del minore, sul presupposto del reato di calunnia commesso dal figlio nei loro confronti.
La Corte capitolina ha, quindi, respinto la domanda di revoca dell’adozione ed ha affermato, per quanto interessa, che ‘In ogni caso, anche a ritenere che a Bo.Ma. sia ascrivibile il reato di calunnia, osserva il Collegio che, ai sensi dell’art. 368 c.p., “chiunque… incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni”; il III co. della normativa citata, poi, prevede che “la reclusione è da quattro a 12 anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a 5 anni”. Poiché, secondo quanto previsto dall’art. 306 c.c., affinché possa revocarsi l’adozione per indegnità dell’adottato, è necessario che questi commetta, nei confronti degli adottanti, un reato punito con la reclusione non inferiore, nel minimo, a tre anni, la pena edittale prevista per il reato di calunnia al I co. dell’art. 368 c.p. (punito, nel minimo, con due anni di reclusione) non soddisfa i presupposti normativamente richiesti per accogliere il ricorso proposto da Si.Lu. e Bo.Gi.’ (fol.5).
In particolare, la Corte di merito ha disatteso la tesi attorea – secondo la quale, essendo la calunnia un reato di pericolo ed essendo prevista per il reato di maltrattamenti ascritto agli appellanti (art. 572, primo, secondo e quarto comma, c.p.) una pena ben superiore a cinque anni di reclusione, in applicazione dell’art. 368, terzo comma, c.p., la pena irrogabile al figlio per il reato di calunnia commesso sarebbe stata compresa tra quattro e dodici anni, con conseguente applicabilità dell’art. 306 c.c., – perché ha affermato che l’aggravante speciale prevista dal terzo comma dell’art. 368 c.p. richiede per l’applicazione che l’innocente calunniato abbia subito un’ingiusta condanna.
3.1.- Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 306, primo comma, in relazione all’art. 368, terzo comma, c.p. e il difetto di motivazione.
I ricorrenti sostengono che la terminologia utilizzata dall’art. 306 c.c. è generica perché non specifica quale sia il reato da commettere né richiede la condanna di nessuno e ne deducono che ai fini della applicazione della norma sia richiesta esclusivamente una valutazione prognostica e probabilistica che tenga conto delle sole implicazioni penali e della condanna astrattamente applicabile ai genitori adottivi.
Quindi, in relazione al caso di specie, evidenziano che la denuncia a contenuto calunniatorio sporta dal figlio in relazione al reato di cui all’art. 572, primo comma c.p. avrebbe potuto comportare in astratto l’irrogazione nei loro confronti di una pena non inferiore nel massimo a 10 anni e mezzo (7 anni più 3 anni e mezzo) e sostengono che ciò, comunque ed anche in assenza di una loro effettiva condanna, avrebbe dovuto far scattare l’aggravante prevista dall’art. 368, terzo comma, c.p., che, comportando l’innalzamento della pena minima edittale per l’adottato/calunniatore (non inferiore nel minimo a 4 anni) avrebbe conseguentemente consentito l’applicazione dell’istituto della revoca dell’adozione.
3.2.- Con il secondo motivo si denuncia la violazione o, comunque, falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 306, primo comma c.c. in relazione all’art. 368, terzo comma, c.p.; il difetto di motivazione; l’illegittimità costituzionale con riferimento al diritto di difesa ai sensi degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
I ricorrenti criticano la statuizione con cui la Corte di appello ha affermato che l’aggravante di cui all’art. 368, terzo comma, c.p., scatta solo “qualora la persona innocente non solo abbia subito un procedimento penale, ma nei suoi confronti sia stata addirittura emessa una sentenza di condanna. Solo tale ultimo elemento oggettivo ulteriore giustifica che la pena comminata al responsabile del delitto di calunnia sia raddoppiata rispetto a quella prevista per la fattispecie non aggravata”. A loro parere, questa interpretazione viola l’art. 306 c.c. perché richiederebbe come presupposto per conseguire la revoca dell’adozione la condanna – sia pure non definitiva – dei calunniati innocenti.
4.1. – I due motivi, da trattare congiuntamente per connessione, sono infondati e vanno respinti.
4.2.- Nel caso di specie la questione controversa riguarda l’individuazione e l’utilizzo dei criteri di calcolo della pena astrattamente irrogabile all’adottato, in relazione al fatto delittuoso posto in essere in danno degli adottanti (nella specie, calunnia), a cui è collegata la revocabilità dell’adozione.
4.3.- Come è noto, l’adozione si può revocare soltanto nei casi previsti dalla legge (art. 305 c.c.) che sono di stretta interpretazione, tanto è vero che si tratta di un catalogo più limitato anche rispetto ai casi affini che legittimano la revocazione della donazione (art. 801 c.c.) o l’indegnità a succedere (art. 463 c.c.).
Ai sensi dell’art. 306 c.c., rilevanti ai fini della revoca dell’adozione per indegnità sono esclusivamente i fatti che si traducono in un attentato alla vita dell’adottante (oltre che dei suoi discendenti e ascendenti) o in un delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale non inferiore nel minimo a tre anni (Cass. civ. n. 8575/1991).
In termini assolutamente sovrapponibili, anche l’art. 51 della legge n. 184/1983 dispone che “la revoca dell’adozione può essere pronunciata dal Tribunale su domanda dell’adottante, quando l’adottato maggiore di 14 anni abbia attentato alla vita di lui o del suo coniuge, dei suoi discendenti o ascendenti, ovvero si sia reso colpevole verso di loro di delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale non inferiore nel minimo a tre anni”.
4.4.- Pertanto, ai fini della pronuncia di revoca dell’adozione ex art. 306 c.c., l’indegnità dell’adottato deve essere accertata nel corso di un procedimento instaurato a seguito della presentazione di una domanda al Tribunale ordinario civile e l’accoglimento della domanda presuppone una verifica, ad opera del Tribunale, del fatto che l’adottato si sia reso responsabile delle condotte penali che normativamente integrano l’indegnità si tratta di un accertamento che compete al giudice civile, chiamato a valutare la ricorrenza delle condizioni per la revoca e, incidentalmente, il rilievo penale e la sussumibilità della condotta dell’adottato nelle ipotesi previste dall’art. 306 c.c., alla luce delle fattispecie di reato che definiscono gli elementi costitutivi dei delitti prospettati nel caso concreto.
4.5.- Va quindi verificato se la Corte di appello si sia attenuta al principio enunciato nel procedere al calcolo della pena prevista per la calunnia ed astrattamente applicabile all’adottato.
4.6.- A tal proposito, va osservato che il reato di calunnia si configura come reato di pericolo, tanto è vero che non è necessario l’inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile, cosicché, soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare, perché in contrasto con i più elementari principi della logica e del buon senso, la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, deve escludersi la materialità del delitto di calunnia (Cass. pen. n.20064/2024).
Tuttavia, la disciplina delle aggravanti speciali previste per il reato di calunnia presenta un’articolazione che introduce presupposti ulteriori e diversi rispetto a quelli richiesti per la configurazione della fattispecie semplice di reato, che meritano autonoma considerazione.
In particolare, va rimarcato che l’art. 368, secondo comma, c.p. prevede che la pena sia aumentata se si incolpa taluno di un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave, così connettendo l’applicazione dell’aggravante alla astratta previsione della maggior pena prevista per il reato in cui si esplicata la propalazione calunniatoria, mentre il più gravoso incremento di pena previsto dall’art. 368, terzo comma, c.p. (La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo) richiede specificamente che dal fatto derivi per l’incolpato una condanna alla reclusione, stabilendo minimi e massimi di pena variabili per il calunniatore in relazione alla condanna derivata dal fatto all’incolpato.
La disamina delle fattispecie aggravate di reato rende evidente che quella disciplinata dal terzo comma dell’art. 368 c.p. integra un reato di danno, dal quale, cioè, deriva un effettivo, concreto e reale danno, ossia una lesione ad un bene giuridico tutelato dall’ordinamento e non un reato di pericolo.
Nella fattispecie criminosa di cui all’art. 368, comma terzo, c.p., il danno (la condanna dell’incolpato) costituisce l’evento indefettibile per l’identificazione del reato, derivante dalla condotta tipica posta in essere dal soggetto agente secondo un rapporto di causalità materiale.
Ne consegue che risulta immune da vizi la decisione impugnata, in cui la Corte di appello che si è attenuta a questi principi ed ha ritenuto di non poter accedere alla interpretazione propugnata dai ricorrenti in ordine all’applicazione nel caso in esame dell’aggravante prevista dall’art. 368, terzo comma, c.p., sul rilievo che gli incolpati erano stati assolti e non avevano subito nessuna condanna, in quanto non ha ravvisato – e non poteva ravvisare – gli estremi della fattispecie di reato aggravato in assenza dell’evento costitutivo indefettibile rappresentato dalla condanna degli incolpati.
4.7.- Risultano infondati anche tutti gli altri profili di censura, posto che la motivazione è stata esplicitata in maniera congrua e esaustiva dalla Corte di merito ed è immune da vizi.
Non si ravvisa, infine, alcuna violazione del diritto di difesa e del principio di eguaglianza, posto che la stessa previsione dell’art. 306 c.c. delimita i confini della revocabilità dell’adozione per indegnità mediante la relatio agli istituti penalistici dei delitti e delle pene restrittive della libertà personale che i ricorrenti non contestano, ed attua un bilanciamento tra i contrapposti interessi familiari presi in considerazione dalla norma.
5.- In conclusione, il ricorso va rigettato.
Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva dell’intimato.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52;
– Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. del 30 maggio 2002, n.115, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 3 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2025.
