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Cassazione civile sez. I, 03/02/2025, n.2545

Massima

La revisione dell’assegno di divorzio di cui all’articolo 9 della legge n. 898 del 1970, postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata.

 

 

Supporto alla lettura

ASSEGNO DIVORZILE

Si definisce assegno divorzile l’obbligo di uno dei due coniugi, a seguito di pronuncia di divorzio, di corrispondere periodicamente all’altro un contributo economico, se questi non ha mezzi adeguati o per ragioni oggettive non se li può procurare.

Tra le principali conseguenze di carattere patrimoniale del divorzio, il riconoscimento del diritto a percepire l’assegno divorzile si realizza in circostanze differenti rispetto a quanto succede per l’assegno di mantenimento.

  1. Assegno di mantenimento: deve garantire al coniuge che ha meno risorse economiche lo stesso tenore di vita che aveva quando la coppia stava ancora insieme, durante la fase di separazione personale antecedente al divorzio, con l’obiettivo di bilanciare la condizione economica dei due soggetti.
  2. Assegno divorzile: viene disposto quando gli effetti del matrimonio sono ufficialmente annullati in seguito al divorzio e, di conseguenza, viene meno la necessità di operare un bilanciamento economico tra i due ex coniugi: chi dei due gode di una condizione economica maggiormente favorevole dovrà garantire all’altro non più il passato tenore di vita, bensì soltanto l’autosufficienza economica, in virtù del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio (economico e personale) della famiglia.

Il diritto a percepire l’assegno divorzile cessa quando il coniuge che lo percepisce passa a nuove nozze. La giurisprudenza più recente in tema di perdita del diritto dell’assegno divorzile, chiarisce come anche in caso di convivenza con il nuovo partner tale diritto venga meno. La convivenza deve tuttavia essere stabile e non temporanea: è sufficiente la prova in ordine ad un periodo di convivenza stabile protrattasi per un arco di tempo rilevante successivo al divorzio.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
Considerato che:

La Corte di appello di Brescia con il decreto indicato in epigrafe accoglieva il reclamo proposto da Pi.Al. nei confronti di Fr.Cl. avverso il provvedimento emesso dal Tribunale di Brescia con cui era stato parzialmente accolto il ricorso ex art 9 L. 898/1970 proposto da To.Fr. e ridotto ad Euro 400,00 l’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge.

Il giudice del reclamo riteneva che non fossero state allegate e dimostrate circostanze effettive e significative tali da considerare “destabilizzato l’assetto patrimoniale siccome concordato tra gli ex coniugi in sede di divorzio.

In questa prospettiva osservava che la beneficiaria dell’emolumento aveva usufruito di entrate reddituali di modesta rilevanza (siccome risultanti dalle relative dichiarazioni dei redditi – doc. 20 Fr.Cl.) e come tali inidonee a giustificare la modifica dell’importo concordato tra le parti.

Sottolineava peraltro che l’attività di insegnamento era già in essere nel 2013, siccome dedotto dalla stessa già nel giudizio di separazione (doc. 8) e non contestato, così come la situazione relativa agli immobili, non era tale da alterare in modo significativo detti equilibri.

Il Giudice del gravame rilevava, come non risultassero indicazioni circa la portata dello squilibrio in essere siccome ponderati dagli ex coniugi in sede di definizione concordata dell’assegno divorzile né se, pur in presenza dello stesso, le parti – nel determinare l’importo dell’assegno alla ex moglie – avessero voluto valorizzare o meno il ruolo materno ed il sacrificio delle aspettative di lavoro della sig.ra Fr.Cl. (siccome dalla stessa dedotto).

Escludeva poi, che potesse essere rilevante – al fine della riduzione dell’assegno all’ex coniuge – il contributo per il mantenimento delle figlie, avente oggetto e finalità del tutto diverse e, peraltro, non sopravvenuto in quanto previsto proprio in sede di divorzio.

Avverso tale decreto Pi.Al. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui ha resistito Fr.Cl. con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ritenuto che:

Con il primo motivo ha denunciato l’omessa motivazione del provvedimento impugnato in quanto priva di uno dei requisiti “minimi costituzionali” richiesti dall’art. 111 Cost., comma 6, indispensabili, oltre che previsti dall’art. 132 c.p.c. per il raggiungimento del suo scopo.

Sotto altro distinto profilo ha censurato il decreto per violazione Ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., in quanto reso in violazione e falsa applicazione di legge e, segnatamente, dell’art. 9,1 co., l n. 898/1970 e ss. e dei principi ad esso correlati.

Ha lamentato infatti che la Corte di appello, pur riconoscendo che fosse stata data la prova in atti di un intervenuto aumento della capacità reddituale/patrimoniale in capo alla sig.ra Fr.Cl. negli anni successivi alla pronuncia di divorzio, avrebbe stabilito senza alcuna motivazione sul punto e quindi del tutto apoditticamente, che tale aumento (seppur, come detto, accertato in atti) non sarebbe stato idoneo ad “alterare l’equilibrio” nei rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi per come definiti in sede di divorzio.

Il ricorso, con riferimento a tutti i profili di censura illustrati, deve ritenersi inammissibile.

Questa Corte ha più volte enunciato il principio, condiviso dal collegio, secondo cui la revisione dell’assegno divorzile di cui all’art. 9 della L. n. 898 del 1970 postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata (Cass. 10133/2007; Cass. 787/2017; Cass. 11177/2019; Cass 2024 n. 3761)

La Corte di appello – nel pronunciarsi sul reclamo della Fr.Cl., che aveva contestato la decisione del Tribunale di ridurre l’assegno divorzile all’ex coniuge, deducendo che le proprie condizioni economiche non erano complessivamente migliorate, e nell’affermare che l’assetto quale convenuto in sede di divorzio non aveva subito sostanziali variazioni tale da giustificare una revisione dell’assegno divorzile percepito dalla reclamante, si è uniformata al principio di diritto in precedenza enunciato, sulla base di una sufficiente motivazione, correlata alle risultanze documentali acquisite e alla loro argomentata valutazione, idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico posto a fondamento della decisione.

Ha infatti vagliato sia la posizione reddituale di entrambi gli ex coniugi che quella immobiliare pervenendo alla conclusione su richiamata.

Il ricorrente, pur prospettando la violazione di norme di diritto (violazione comunque insussistente alla stregua delle considerazioni che precedono), ha in realtà sollevato censure sulla motivazione posta a base della decisione impugnata, in relazione all’accertamento dei fatti e alla valutazione delle risultanze processuali compiuti dalla stessa Corte, alla stregua dei quali le norme indicate dal ricorrente sono state in concreto applicate.

Tali censure sono però inammissibili in questa sede di legittimità.

Infatti, il decreto camerale della Corte d’Appello che decide sul reclamo avverso il decreto del Tribunale emesso ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 13, in ordine alla revisione dell’assegno divorzile, è impugnabile soltanto con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., quale provvedimento definitivo a carattere decisorio (Cass. 1997/1084). Con tale mezzo di gravame possono essere denunciate solo violazioni della legge regolatrice del rapporto sostanziale e di quella regolatrice del processo, con la conseguenza che la inosservanza del giudice civile all’obbligo della motivazione su questioni di fatto integra “violazione di legge”, e come tale è denunciabile con il detto ricorso, quando si traduca in mancanza della motivazione stessa (con conseguente nullità della pronuncia per difetto di un requisito di forma indispensabile), la quale si verifica nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sè, restando esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie (Cass. S.U. 1993/9674; 1996/4469; Cass. 1996/8064; 2002/9490).

Poichè, in base a quanto precedentemente rilevato, non ricorrono nella specie gli estremi del difetto di motivazione, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso proposto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore di Fr.Cl. le spese di questa fase liquidate in Euro 3000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed al 15 % per spese generali.

Dispone che, in caso di diffusione, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nell’ordinanza, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma il 3 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2025.

Allegati

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