Massima

Qualora il lavoratore abbia segnalato all’ente previdenziale competente l’omissione contributiva da parte del datore di lavoro e tale ente non abbia provveduto al recupero dei contributi dovuti, esso è comunque obbligato, nell’ambito del rapporto giuridico con l’interessato—anche ai sensi degli artt. 1175 e 1176 c.c.—a esercitare la diligente riscossione del credito. Sebbene tale credito sia proprio dell’ente, la sua funzione è quella di garantire la tutela di un diritto costituzionalmente protetto del lavoratore. Di conseguenza, l’ente previdenziale è tenuto a procedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore, laddove quest’ultimo non possa avvalersi della costituzione della rendita ex art. 13 della legge n. 1338/1962 né intentare un’azione di risarcimento danni ai sensi dell’art. 2116 c.c.

(Rocchina Staiano)

Supporto alla lettura

CONTRIBUTI

Rappresentano le quote della retribuzione (nel caso di rapporti di lavoro subordinato) o del reddito di lavoro (nel caso del lavoro autonomo, in collaborazione o associato) destinate al finanziamento delle prestazioni previdenziali ed assistenziali previste dalla legge.

Il loro versamento è, di norma, obbligatorio, infatti l’onere contributivo sorge generalmente all’avvio di una qualunque attività lavorativa. Nello specifico, incombe sia sul lavoratore (mediante una trattenuta effettuata sulla retribuzione lorda mensile) sia sul datore di lavoro. Tuttavia, l’obbligo di pagamento dei contributi è gravante esclusivamente sul datore di lavoro, il quale è tenuto a versare le trattenute all’ente previdenziale – assistenziale. Il lavoratore può in ogni caso verificare l’avvenuto versamento dei contributi: o tramite l’attestazione che viene rilasciata annualmente dai datori di lavoro, oppure inoltrando la richiesta dell’estratto contributivo direttamente all’ente previdenziale.

La loro riscossione, unitamente all’erogazione delle prestazioni ed al controllo della corretta applicazione delle norme, è affidata agli enti di previdenza.

Si possono classificare in due differenti tipologie:

  • contributi previdenziali: versamenti obbligatori effettuati dal datore di lavoro nei confronti dell’ente previdenziale al fine di ottenere la prestazione pensionistica;
  • contributi assistenziali: versamenti effettuati all’INPS o all’INAIL, al fine di ottenere una copertura dei rischi legati agli infortuni e alle malattie professionali, all’invalidità, malattia.

Il sistema sanzionatorio in materia previdenziale e assistenziale è disciplinato dalla L. 388/2000 la quale prevede due diverse tipologie di sanzioni:

1. civili: variano a seconda del debito. Al fine di stabilire l’entità delle sanzioni civili applicabili, la giurisprudenza distingue due diverse ipotesi:

  • l’omissione contributiva: si verifica ogniqualvolta vi sia un ritardo nel pagamento dei contributi, risultante dalle registrazioni e dalle documentazioni obbligatorie regolarmente denunciate dal datore di lavoro: in questi casi, le sanzioni previste sono pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti e non possono essere superiori al 40% dell’importo dei contributi o premi non corrisposti;
  • l’evasione contributiva: ravvisabile ogniqualvolta le predette registrazioni o le denunce contributive mensili siano state del tutto omesse o occultate dal datore di lavoro (fenomeno del c.d. “lavoro nero”) ovvero siano non conformi al vero. In tali casi, le sanzioni civili irrogate per l’omesso versamento dei contributi sono pari al 30% e, in ogni caso, non possono essere superiori al 60% dell’importo dei contributi o premi non corrisposti.

2. penali: si configura il reato di omissione o falsità di registrazione o di denuncia obbligatoria, ogniqualvolta il datore di lavoro abbia omesso una o più denunce o registrazioni obbligatorie ovvero abbia eseguito una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero, al fine di sottrarsi dagli obblighi previsti a suo carico dalla normativa previdenziale o assistenziale (salvo il caso in cui non sia ravvisabile un reato più grave). Inoltre, si era in presenza del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ogniqualvolta il datore non avesse provveduto al versamento dei contributi omessi entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, ovvero avesse corrisposto il pagamento delle retribuzioni “in nero”. Il D.Lgs. 8/2016 ha previsto una parziale depenalizzazione di tale reato, infatti si possono distinguere due diversi tipi di sanzioni in relazione all’omissione contributiva: nel caso in cui l’omissione sia tale da superare i 10.000 € annui permane l’illecito penale; invece, se l’omissione è inferiore a questa soglia, si applica una sanzione amministrativa. L’omissione non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, se il datore di lavoro versa le somme dovute entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.

Tra i datori di lavoro soggetti al nuovo regime devono essere ricompresi anche i datori che operano con il Sistema Uniemens, i committenti della Gestione Separata e, infine, i datori di lavoro agricoli.

Nel caso di omesso o insufficiente versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, spettano al lavoratore due differenti azioni legali:

  • richiesta di condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi omessi;
  • risarcimento del danno (art. 2116 c. 2 c.c.), qualora dalla inadempienza contributiva sia conseguita la perdita totale o parziale del diritto alla prestazione assicurativa.

Nel caso in cui sia intervenuta prescrizione dei contributi (5 anni dal giorno della scadenza prevista per il versamento degli stessi), il lavoratore può chiedere all’Istituto previdenziale la costituzione di “una rendita vitalizia reversibile” per ottenere l’accredito del periodo di omissione contributiva: tale rimedio consente, attraverso un versamento all’INPS il cui importo varia a seconda di diversi fattori, l’accreditamento del periodo non coperto da contribuzione. La prescrizione contributiva diviene decennale qualora  l’omissione contributiva sia denunciata direttamente dal dipendente lavoratore, e non dall’ente previdenziale; in tal caso, decorso tale termine,  il lavoratore potrà esperire un’azione giudiziale volta unicamente ad ottenere il versamento da parte del datore di lavoro, della somma corrispondente al c.d. “vuoto contributivo”, utile ai fini del percepimento della pensione.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza n. 148 del 30 aprile 2015, la Corte d’appello di Genova ha accolto l’impugnazione proposta da M.I. nei confronti dell’INPS e di C.M. (chiamata in causa dall’INPS) avverso la sentenza di primo grado di rigetto della domanda proposta dalla stessa M., nei confronti dell’INPS, al fine di ottenere dall’Istituto la regolarizzazione della propria posizione assicurativa, con accredito dei contributi omessi dalla datrice di lavoro relativamente al periodo 1.1.200714.10.2010;

a fondamento della decisione, la Corte territoriale, ritenuta provata la sussistenza del rapporto di lavoro nel periodo contestato, ha fatto applicazione del disposto dell’art. 2116 c.c., accertando il diritto della M. alla regolarizzazione della propria posizione assicurativa con accredito dei contributi omessi dal datore di lavoro ed ha dichiarato inammissibile la domanda proposta dall’Inps nei riguardi di C.M. (erede della datrice di lavoro);

avverso tale sentenza, ricorre l’INPS sulla base di due motivi: violazione e falsa applicazione dell’art. 2116 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; in particolare, si denuncia l’erronea applicazione della disposizione posto che nessuna prestazione era stata domandata ma si era lamentata la carenza di contribuzione; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 436 e 343 c.p.c., laddove la domanda formulata dall’INPS in via subordinata era stata rigettata ritenendosi formato un giudicato interno, seppure l’INPS fosse rimasto totalmente vittorioso in primo grado, per cui non era stato gravato di alcun onere di impugnativa;

resiste con controricorso M.I.;

C.M. non ha svolto attività difensiva;

il P.G. ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo con assorbimento del secondo ed in subordine il rigetto del secondo.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Il primo motivo è fondato;

la sentenza impugnata ha ritenuto, nella sostanza, l’INPS soggetto garante della regolarità della posizione contributiva della lavoratrice e ciò per effetto del cd. principio di automaticità delle prestazioni, previsto dall’art. 2116 c.c., come interpretato dalla sentenza di questa Corte di Cassazione n. 5767 del 2002; la questione dibattuta è relativa alla tutela della integrità della posizione contributiva del lavoratore;

questa Corte di legittimità ha senz’altro affermato (vd. da ultimo Cass. n. 3661 del 2019) che il lavoratore, sulla base delle previsioni contenute nella l. n. 153 del 1969, art. 39 e della l. n. 467 del 1978, art. 4, ha un vero e proprio diritto soggettivo al regolare versamento dei contributi previdenziali in proprio favore ed alla conformità alle prescrizioni di legge della propria posizione assicurativa, costituendo questa un bene suscettibile di lesione e di tutela giuridica nei confronti del datore di lavoro che lo abbia pregiudicato (cfr. Cass. 23 novembre 1989, n. 379; n. 9850 del 2002) ed ogni qualvolta non trovi applicazione il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali fissato dall’art. 2116 c.c., o il lavoratore subisca pregiudizio nella realizzazione della tutela previdenziale, egli ha diritto ad essere risarcito dal datore di lavoro ai sensi del disposto dell’art. 2116 c.c., comma 2;

si è pure affermato che l’azione a tutela della posizione previdenziale nei confronti del datore di lavoro, possa avere ad oggetto la condanna del datore di lavoro al pagamento della contribuzione non prescritta ed in tal caso va chiamato necessariamente in giudizio anche l’Ente previdenziale in quanto unico legittimato attivo nell’obbligazione contributiva (Cass. n. 19398 del 2014; Cass. n. 8956 del 2020);

diversamente, in caso di prescrizione del credito contributivo, si giustifica l’azione risarcitoria una volta che si siano realizzati i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale poichè tale situazione determina l’attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante (Cass. n. 3790 del 1988; n. 27660 del 2018);

da ciò si evince che l’obbligazione contributiva ha quale soggetto attivo l’ente assicuratore e quale soggetto passivo il datore di lavoro, debitore dei contributi nella parte maggiore (ex art. 2115 c.c.), ovvero nell’intero (l. n. 218 del 1952, art. 23 in caso di pagamento tardivo o parziale) e ne consegue che il lavoratore non è legittimato ad agire nei confronti dell’Istituto previdenziale per accertare l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, nè può chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, residuando in suo favore, nel caso di omissione contributiva, il rimedio dell’art. 2116 c.c. e la facoltà di chiedere all’INPS la costituzione della rendita vitalizia di cui alla l. 12 agosto 1962, n. 1138, art. 13 (Cass. 3491 del 2014); Cass. n. 6569 del 2010, ha pure precisato che tale facoltà spetta innanzi tutto al datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione onde può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo comma 4, una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi, mediante il versamento della corrispondente riserva matematica;

analoga facoltà è altresì attribuita al lavoratore, in sostituzione del datore di lavoro, quando non possa ottenere da quest’ultimo la costituzione dell’anzidetta rendita, salvo il diritto a risarcimento del danno (in tal caso, il lavoratore, per potere agire direttamente nei confronti dell’Inps, deve allegare e comprovare che non ha potuto far valere questa pretesa nei confronti del datore di lavoro (cfr, ex plurimis, Cass. n. 23584/2004);

la normativa citata ha dunque la funzione di consentire al lavoratore, ricorrendone gli specifici presupposti, di eliminare, attraverso la costituzione della rendita vitalizia, il detrimento pensionistico conseguente all’intervenuto omesso versamento dei contributi dovuti;

non è invece prevista la regolarizzazione della posizione assicurativa, in ipotesi di omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, laddove l’Istituto assicuratore, pur se messo a conoscenza dell’inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione, non si sia attivato per l’adempimento nei confronti del soggetto obbligato; anche in tale ipotesi, infatti, in difetto di previsione di diverso segno, la tutela del lavoratore deve ritenersi affidata al ricorso alla descritta procedura di costituzione della rendita;

con il che deve rilevarsi come non possa trovare applicazione nel presente giudizio il principio affermato dalla sentenza di questa Corte di cassazione n. 7459 del 2002, siccome resa nell’ipotesi, qui non ricorrente, in cui il lavoratore non aveva potuto, nè avrebbe potuto in futuro, sopperire ricorrendo ai rimedi apprestati dal legislatore per i casi di inadempimento datoriale;

la fattispecie relativa a Cass. 7459 del 2002, infatti, era riferita ad ipotesi in cui il diritto alla regolarizzazione della posizione assicurativa era stato azionato non nei confronti del datore di lavoro, obbligato al versamento dei contributi, bensì nei confronti dell’Istituto assicuratore a causa di un duplice ordine di ragioni tra loro collegate: perchè l’Istituto, nonostante la tempestiva comunicazione della omissione contributiva, non aveva provveduto a riscuotere i contributi dovuti, lasciando, anzi, trascorrere, il termine di prescrizione e perchè a tale inottemperanza, l’assicurato, alla stregua di un accertamento di fatto, operato dal Giudice del merito, non aveva potuto e neppure avrebbe potuto in futuro sopperire ricorrendo ai rimedi apprestati dal legislatore nei casi di suddetti inadempimenti datoriali;

in siffatta situazione, è apparso conforme al diritto far gravare sull’Ente istituzionalmente deputato, oltre tutto, alla tutela di interessi di rango costituzionale (art. 38 Cost.), – che non si era adeguatamente attivato per la riscossione di un credito, che, ancorchè proprio, vale a soddisfare altro diritto inerente alle esigenze di vita del lavoratore in caso di invalidità, vecchiaia, ecc. (arg. Ex art. 38 Cost., comma 2), le conseguenze che discendono dalla violazione di obblighi di comportamento (ivi compresi quelli derivanti dalle ordinarie regole di correttezza e diligenza ex artt. 1175 e 1176 c.c.) cui l’Istituto è tenuto nell’ambito del rapporto giuridico con l’assicurato;

si è, quindi, affermato che, ove l’Istituto previdenziale non abbia provveduto a conseguire dal datore di lavoro i contributi omessi, nonostante sia venuto tempestivamente a conoscenza dell’omissione, lo stesso è tenuto a provvedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore, che ne abbia fatto richiesta ad al quale è precluso ricorrere alla costituzione della rendita l. n. 1338 del 1962, art. 13 o all’azione di risarcimento danni ex art. 2116 c.c., comma 2; tali circostanze non sono state accertate nel caso di specie; altrettanto non pertinente è il richiamo a Cass. n. 5767 del 2002, operato dalla sentenza impugnata, laddove si è fatta applicazione del principio di automaticità delle prestazioni con riferimento all’istituto della ricongiunzione, cioè in fattispecie di pregiudizio specifico alla posizione assicurativa del lavoratore, determinato oltre che dall’inadempimento datoriale anche dal diniego opposto dall’Istituto a che operasse la ricongiunzione anche dei periodi non coperti; questa Corte di legittimità (Cass. n. 10477 del 2019) ha evidenziato che Cass. n. 5767 del 20 aprile 2002 come anche Cass. n. 6772 del 10 maggio 2002 hanno configurato il diritto all’integrità della posizione previdenziale in casi in cui si era manifestato un interesse attuale alla definizione della posizione trasferita, prendendo le mosse dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 374 del 1997, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della l. n. 29 del 1979, art. 2 comma 2 e art. 6 comma 2, nella parte in cui non prevede il principio di automatismo delle prestazioni previdenziali nei casi di contributi non effettivamente versati, ma dovuti nei limiti della prescrizione decennale, affermando che tale principio opera anche nel caso di ricongiunzione, in quanto la gestione di provenienza deve versare a quella di destinazione anche i contributi dovuti e non riscossi;

la presente fattispecie non poggia su tali presupposti per cui il richiamo al precedente è del tutto inappropriato;

il primo motivo del ricorso va, pertanto, accolto restando assorbito il secondo;

la sentenza impugnata va cassata e la domanda originaria deve essere rigettata;

le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo per ciascun grado di merito e per il presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da M.I.; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, quanto al primo grado, in Euro 1350,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge, quanto al grado d’appello, in Euro 1860,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge e, quanto al giudizio di legittimità, in Euro 2000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2021

Allegati

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