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Cassazione civile sez. II, 07/12/2022, n. 35931

Massima

Sulla responsabilità extracontrattuale in solido dell’appaltatore e dell’appaltante.

Supporto alla lettura

CONTRATTO DI APPALTO

Si tratta dunque di un contratto di risultato e non di attività. Inoltre, si distingue dal contratto d’opera in quanto l’appaltatore non deve personalmente occuparsi del compimento delle opere commissionate, ma servirsi della propria organizzazione e gestirla a tal fine. Tale contratto può avere ad oggetto tanto il compimento di un’opera quanto essere un appalto di servizi. Il contratto d’appalto ha forma libera. Può quindi essere concluso anche oralmente, salvo nella circostanza in cui abbia ad oggetto la realizzazione di navi od aeromobili o in cui si tratti di un appalto pubblico. Il corrispettivo dell’appaltatore, salvo patto contrario, si matura soltanto al compimento ed al collaudo dell’opera. Il contratto di appalto consente al committente l’utilizzo dei rimedi risolutori generali, così come previsti dagli articoli 1453 e seguenti del codice civile, non senza qualche particolarità. La natura indivisibile della prestazione dell’appaltatore determina infatti che anche un inadempimento parziale dell’appaltatore corrisponda di fatto ad un inadempimento totale. Anche al di fuori dei casi di inadempimento, i rimedi risolutori specificamente previsti dal legislatore nell’ambito del contratto di appalto presentano delle peculiarità. L’articolo 1668 del codice civile prevede infatti un rimedio per il caso di difformità o vizi dell’opera. Nel caso questi non siano tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, l’appaltatore dovrà, alternativamente, eliminarli a proprie spese o ridurre il proprio corrispettivo. Nel caso invece le difformità o i vizi siano tali da renderla inadatta alla propria funzione, il committente potrà legittimamente domandare la risoluzione dell’appalto. Per ciò che invece riguarda il recesso unilaterale “ad nutum”, del committente, lo stesso, non è tuttavia privo di conseguenze giuridiche. L’esercizio di tale diritto potestativo non lo dispensa infatti dal dover tenere indenne l’appaltatore dalle spese sostenute, dalla parte dell’opera eseguita ed anche dal mancato guadagno. In sintesi la possibilità di recedere del committente è controbilanciata dal legislatore che, di fatto, prende in considerazione questo recesso alla stregua di un inadempimento. Le conseguenze pratiche non sono infatti dissimili.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

  1. A.M. ha adito il tribunale di Milano, per ottenere l’annullamento per errore di fatto o la risoluzione per inadempimento del contratto di vendita di un appartamento cedutole dalla omissis s.r.l., oltre al risarcimento del danno, lamentando che l’immobile presentava gravi difetti di costruzione.

La società si è costituita, resistendo alla domanda; ha chiesto la chiamata in giudizio di M.C.A., in veste di progettista e direttore dei lavori, e dell’Impresa Edile P.G., che aveva realizzato gli immobili, per essere manlevata.

Il M., oltre a negare la propria responsabilità, ha formulato istanza di chiamata in giudizio della omissis s.p.a. e dell’arch. Barbara G., specificando che quest’ultima aveva redatto il progetto delle costruzioni.

Il tribunale ha autorizzato le chiamate in causa e – all’esito – ha dichiarato la risoluzione del contratto di vendita per inadempimento della omissis, che ha condannato alla restituzione del prezzo, pari ad Euro 121.290,00; ha respinto ogni altra richiesta, ponendo a carico della convenuta le spese processuali sostenute dall’attrice e a carico del M. quelle dei terzi chiamati in giudizio.

La sentenza è stata parzialmente riformata in appello.

La Corte territoriale di Milano ha dichiarato la società venditrice responsabile dei difetti dell’immobile, riconoscendo all’acquirente, a titolo di risarcimento del danno, l’importo di Euro 32.654,00, con obbligo di M.C.A. e dell’Impresa Edile P.G. di tenere indenne la omissis dagli effetti della condanna e di rimborsare le spese processuali anche ai terzi chiamati in giudizio.

La cassazione della sentenza è chiesta da M.C.A. con ricorso in tre motivi, cui resistono con controricorso la omissis s.p.a. e A.M..

Le altre parti non hanno svolto difese.

La causa è stata decisa in camera di consiglio nelle forme di cui al D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni con L. n. 176 del 2020, non essendo stata richiesta la discussione orale.

In prossimità dell’adunanza camerale M.C.A. e A.M. hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 101 c.p.c., artt. 3 e 24 Cost., lamentando che la Corte distrettuale abbia disatteso l’istanza di rinnovazione della consulenza tecnica basata su un accertamento tecnico preventivo, espletato ante causam, non opponibile al ricorrente, non avendo il M. partecipato al relativo procedimento.

Il motivo è infondato.

Contrariamente a quanto eccepito dalla omissis, la censura non può ritenersi preclusa, avendo il M. sollevato in appello il tema dell’inopponibilità dell’a.t.p. per l’ipotesi che fossero state accolte le domande di manleva, questione su cui la Corte distrettuale si e’, per tale motivo, espressamente pronunciata (cfr. sentenza, pag. 8).

Non sussiste la violazione denunciata.

Già il tribunale, disposta l’acquisizione dell’a.t.p. svoltosi senza la partecipazione del M., aveva rinnovato gli accertamenti: la c.t.u., espletata nel contraddittorio delle parti era volta ad accertare la riconducibilità dei vizi all’attività svolta rispettivamente dal progettista e dal direttore dei lavori, come emerge chiaramente dai quesiti formulati al c.t.u. (cfr. controricorso di A.B., pag. 5)

Inoltre, nelle difese sollevate dinanzi al Tribunale (trascritte alle pagg. 17 e ss. del ricorso), il M. si era limitato a fornire giustificazioni alternative delle cause dei vizi rispetto a quelle individuate in sede di a.t.p., non negando – come ha evidenziato il giudice distrettuale, con motivato apprezzamento delle allegazioni del ricorrente, insindacabile in cassazione (Cass. 27490/2019; Cass. 3680/2019) – che quei danni fossero effettivamente sussistenti.

In tale situazione la c.t.u., svolta nel contraddittorio delle parti e con piena garanzia dei diritti di difesa, non era inficiata dall’inopponibilità del precedente a.t.p., ormai superato dagli autonomi approfondimenti svolti nel giudizio di merito riguardo alla responsabilità dei tecnici, non avendo recepito i risultati delle indagini svolte ante causam neppure in merito alla sussistenza dei vizi, che – come ha posto in evidenza la sentenza – non erano oggetto di contestazione.

Non è dunque invocabile il principio secondo cui l’accertamento tecnico preventivo non è opponibile ai terzi che non abbiano avuto modo di partecipare al procedimento (Cass. 11598/2005; Cass. 24981/2020): è invece insindacabile, in assenza di cause di nullità, la decisione, del tutto discrezionale, di non disporre la rinnovazione degli accertamenti (Cass. 21525/2019; Cass. 2103/2019; Cass. 15666/2011).

  1. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la Corte di merito accolto la domanda di manleva proposta dalla omissis verso il direttore dei lavori, ritenendo configurabile un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, sebbene a fondamento della domanda verso il ricorrente fosse dedotta la violazione degli obblighi derivanti dal contratto professionale concluso dal M. con l’Impresa Edile P.G., e non della disposizione dell’art. 1669 c.c., evocata nei soli rapporti tra la società venditrice e l’impresa appaltatrice.

Il motivo è infondato.

Trova riscontro dall’esame degli atti che l’azione di manleva indicava il negligente espletamento della prestazione professionale quale fatto potenzialmente produttivo di danno anche nella sfera della società che aveva commissionato la realizzazione dei manufatti, sebbene quest’ultima non avesse intrattenuto alcun rapporto contrattuale diretto con il ricorrente, nominato direttore dei lavori dall’impresa appaltatrice; è inoltre pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che l’art. 1669 c.c. delinea un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale in cui possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando la loro opera, abbiano contribuito per colpa professionale all’insorgenza dei vizi (Cass. 3406/2006; Cass. 19868/2009; Cass. 14650/2012; Cass. 17874/2013; Cass. 18289/2020).

Non poteva pervenirsi ad una diversa soluzione interpretativa per il solo fatto che l’art. 1669 c.c. era richiamato nell’atto di chiamata in causa dell’impresa appaltatrice ma non in quello indirizzato al direttore dei lavori: nell’interpretazione e qualificazione della domanda, non sussiste un vincolo alle espressioni adoperate dalla parte, ma occorre accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento in concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta (Cass. 8225/2004; Cass. 13602/2019).

Non risulta – in definitiva – violato il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., il quale implica unicamente il divieto di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che la pronuncia sia resa in base ad una ricostruzione dei fatti di causa – alla stregua delle risultanze istruttorie – autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata, purché – come nel caso in esame restino immutati il petitum e la causa petendi (Cass. 2209/2016). Può quindi il giudice – fermi restando i fatti posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni – ritenere una fattispecie di responsabilità di tipo extracontrattuale, pur quando la parte abbia dedotto il diverso titolo contrattuale, limitandosi in tal caso soltanto a dare una diversa qualificazione giuridica della domanda (Cass. n. 18289/2020; Cass. 2746/2007).

  1. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 106 c.p.c., contestando alla Corte di merito di aver posto a carico del ricorrente anche le spese processuali sostenute dalla progettista, chiamata in causa dal ricorrente, pur non essendo stata proposta verso quest’ultima una domanda di garanzia.

La censura non può essere condivisa.

L’iniziale domanda di responsabilità era indirizzata nei confronti del M. anche quale progettista delle opere e il ricorrente aveva chiesto di chiamare in causa la G. per essere esonerato da eventuali responsabilità per la progettazione.

La partecipazione al giudizio della progettista era funzionale all’accertamento dell’effettivo responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario, in modo che il M. fosse semplicemente liberato dalla pretesa avanzata, per la descritta causale, dall’acquirente dell’immobile (Cass. 5164/2003; Cass. 4722/2018).

Il fatto che il chiamante non avesse proposto un’azione di manleva verso i chiamati non poteva – da solo – esonerare il M. dalla condanna alle spese, avendo egli chiesto l’estensione del contraddittorio nel giudizio conclusosi con l’accoglimento delle domande risarcitorie formulate dall’attrice.

Il ricorso è respinto, con regolazione delle spese processuali liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5300,00, per compenso in favore di ciascun controricorrente, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, il 14 settembre 2022.

 

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