Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con decreto di citazione emesso in data 22.02.2013 (omissis) veniva tratto a giudizio dinanzi al Giudice monocratico del Tribunale di Napoli per rispondere del reato in epigrafe per l’udienza del 3.03.2014.
Instaurato il dibattimento, all’udienza del 3.3.2014 veniva controllata la regolare costituzione delle parti e rinnovata la notifica del decreto all’imputato. All’udienza del 2.2.2015, dichiarata l’assenza dell’imputato e superata la fase delle questioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimentoe pronunciava l’ordinanza di ammissione delle prove rinviandosi per l’esame dei testimoni.
All’odierna udienza, su consenso delle parti ex art.493. c.p.p., si dava lettura degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero (annotazione di servizio del 5.5.2012 e comunicazione di notizia di reato redatta dal Nucleo Operativo Compagnia Carabinieri Napoli Vomero). Quindi si ascoltava il teste di P.G. in servizio presso il N.O. Carabinieri Napoli/Vomero. All’esito, stante l’assenza dell’imputato, si dava lettura, ai sensi dell’art.513 c.p.p., delle dichiarazioni rese in data 10.12.2012 in sede di interrogatorio delegato dal Pubblico Ministero alla Polizia Giudiziaria.
Terminata l’istruttoria dibattimentale, dichiarata l’utilizzabilità degli atti del fascicolo e delle prove orali assunte, le parti formulavano le rispettive conclusioni in epigrafe trascritte.
All’esito della camera di consiglio, veniva data pubblica lettura del dispositivo di sentenza.
Osserva il Giudice che le risultanze processuali comprovano univocamente, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell’imputato per i fatti come contestati.
Dalle fonti di prova acquisite poste a fondamento della decisione (annotazione di servizio del 5.5.2012, comunicazione di notizia di reato redatta dal Nucleo Operativo Compagnia Carabinieri Napoli Vomero; testimonianza resa dall’ufficiale di P.G. (omissis) in servizio presso il N.O. Carabinieri Napoli/Vomero), è emerso che, in data 5.5.2012, carabinieri del Nucleo Operativo Compagnia Napoli-Vomero, alle ore 12,40, nell’ambito di un servizio di pattuglia svolto in abiti ed auto di copertura finalizzato alla repressione di furti, procedettero al controllo di due individui stranieri i quali, a piedi, furono notati percorrere la strada che conduce in Piazza Vanvitelli, particolarmente affollata e piena di attività commerciali.
Alla richiesta di fornire le rispettive generalità anagrafiche, preventivamente rivelata la qualifica di agenti di polizia, non avendo con sé documenti identificativi, gli stessi, accertata dai carabinieri operanti la comprensione della lingua italiana, asserivano di chiamarsi rispettivamente (omissis) e (omissis) , entrambi di di nazionalità rumena. Invitati a salire sul veicolo di servizio al fine di raggiungere l’ufficio di polizia per la compiuta identificazione, il (omissis) vi ottemperava senza contestare mentre il (omissis) esprimeva dapprima un diniego verbale quindi tentò di indietreggiare per allontanarsi. Tempestivamente bloccato dai militari e trattenuto alle braccia, il (omissis) iniziò a dimenarsi nel tentativo di divincolarsi dalla presa ed a strattonare con violenza, sferrando gomitate ai carabinieri che lo bloccavano e spintonandoli, creando oltretutto scompiglio nella calca di persone.
La condotta, perdurata per pochi istanti, cessò grazie all’intervento di forza dei militari che, in superiorità numerica, lo costrinsero ad entrare in auto.
Condotto presso gli uffici di polizia per la identificazione, gli accertamenti foto dattiloscopici ebbero esito negativo.
Queste le risultanze processuali, deve ritenersi pienamente provata la penale responsabilità dell’imputato per l’ascritto.
In punto di diritto, si osserva che il reato di cui all’art.337 c.p. si configura laddove il soggetto ponga in essere una condotta aggressiva, violenta o minacciosa tale da coartare la libertà del pubblico ufficiale mentre compie un atto del proprio ufficio o che sia idoneo ad ostacolare l’esplicazione della propria funzione. Infatti, la norma salvaguarda la libertà di azione del pubblico ufficiale ed è posta a tutela della pubblica amministrazione.
La condotta criminosa sanzionata è specificamente diretta ad ostacolare il compimento dell’attività doverosa e legittima del pubblico ufficiale sicchè la violenza o minaccia è usata durante il compimento dell’atto d’ufficio al fine di impedirlo e di opporsi ad esso senza restare nell’ambito della mera manifestazione offensiva quale espressione di un semplice disprezzo verso il pubblico ufficiale.
Rientra nell’ambito delle condotte penalmente rilevanti e sanzionabili, ogni comportamento idoneo ad opporsi all’atto che il pubblico ufficiale sta doverosamente compiendo che costituisca oggettivamente minaccia e ponga in pericolo la pubblica e privata incolumità quali, la guida spericolata inseguiti dagli agenti, il divincolarsi o lo strattonare, esulando tali condotte dalla mera resistenza passiva.
Al riguardo, ha statuito la Suprema Corte di Cassazione che, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 337; c.p., l’atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, quando non costituisce una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l’azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga (cfr. Cass.pen.Sez. 6, Sentenza n. 8997 del 11/02/2010 Imputato: Palumbo e altro; conforme Sez. 6, Sentenza n. 35125 del 26/06/2003 Imputato: Graziotti).
La materialità del delitto di resistenza al pubblico ufficiale è integrata, infatti, anche dalla violenza cosiddetta impropria, la quale, pur non aggredendo direttamente il suddetto soggetto, si riverbera negativamente nell’esplicazione della relativa funzione pubblica, impedendola o semplicemente ostacolandola. Solo la resistenza passiva, in quanto negazione di qualunque forma di violenza o di minaccia, rimane al di fuori della previsione legislativa di cui all’art. 337 c.p. (cfr. Cass. pen. Sez. 6, Sentenza n. 7061 del 25/05/1996 Imputato: Solfrizzi).
Quanto al profilo psicologico, la fattispecie richiede la coscienza e volontà di usare violenza o minaccia per opporsi al compimento dell’atto e la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un rappresentante dell’autorità che sta adempiendo ad un dovere del proprio ufficio (cfr. Cass. pen. sez. 6 16.4.2004 nr. 17701 imp.Fontana).
L’elemento psicologico è costituito dall’azione dell’imputato diretta a sfuggire comunque all’operato del pubblico ufficiale, e cioè nella coscienza e volontà di precludergli, con la propria condotta minacciosa e violenta, l’atto di ufficio ritenuto pregiudizievole ai propri interessi (Sez. 6, Sentenza n. 12554 del 30/10/1985), mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira dall’agente (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 9119 del 01/06/1995).
Tanto premesso, non può dubitarsi, nel caso di specie, della sussistenza del reato contestato riconducibile all’odierno imputato.
Ed invero, la condotta posta in essere dall’imputato descritta negli atti della P.G. e dal teste di polizia intrinsecamente credibile che ha deposto su attività istituzionale doverosa del proprio ufficio, si è estrinsecata in comportamenti positivi e fattivi finalizzati ad interdire e contrastare l’attività d’ufficio del pubblico ufficiale. In particolare, l’imputato ha posto in essere una condotta aggressiva e violenta, dimenandosi e spintonando i carabinieri che stavano procedendo al suo controllo ed alla identificazione, condotta strettamente correlata all’attività istituzionale dei militari.
Non può dubitarsi della intrinseca obiettiva pericolosità e capacità intimidatoria dell’azione posta in essere dall’imputato la quale, lungi dal costituire una mera forma di contestazione o di malanimo, è connotata da violenza ed aggressività e deve ritenersi strettamente correlata e consequenziale all’attività doverosa che gli agenti stavano compiendo in virtù della rispettiva qualifica di pubblici ufficiali al fine di opporsi ad essa.
Le circostanze sopra evidenziate dimostrano pacificamente il dolo del reato, non potendosi nutrire alcun dubbio circa la intenzionalità della resistenza attuata contro gli agenti di polizia – sia pur per un lasso di tempo contenuto tuttavia sufficiente ed apprezzabile in termini di rilevanza penale atteso, peraltro, il ricorso alla forza fisica da parte dei militari al fine di bloccare l’imputato e costringerlo coattivamente ad entrare in auto per essere condotto presso gli uffici di polizia- ben riconoscibili all’imputato, trattandosi di carabinieri i quali, prima di procedere al controllo ed alla identificazione dei due individui, si sono preventivamente qualificati come appartenenti alle forze di polizia anche attraverso l’esibizione del tesserino istituzionale accertando altresì la comprensione della lingua italiana da parte dei due connazionali stranieri tant’è che gli stessi, alla richiesta dei militari, fornirono le rispettive generalità anagrafiche così mostrando di avere contezza di essere al cospetto di appartenenti alle forze dell’ordine.
Le risultanze probatorie, fondate su atti provenienti da soggetti qualificati che hanno riferito su attività doverosa del proprio ufficio senza alcun intento calunniatorio evidenziano, dunque, a carico del prevenuto un quadro accusatorio del tutto granitico che non consente alcuna ricostruzione alternativa del fatto storico.
A fronte di tali lineari emergenze probatorie, alcun elemento significativo di opposto tenore è stato offerto dalla difesa.
L’imputato si è difeso asserendo di aver avuto timore di trovarsi al cospetto di impostori ed a tal proposito ha narrato la vicenda accaduta ad un proprio familiare in merito a presunti soggetti qualificatisi come agenti di polizia in realtà rivelatisi dei rapinatori (vds. interrogatorio verbale del 10.12.2010), sostenendo di non avere, peraltro, una perfetta comprensione della lingua italiana. Ha ammesso di essersi rifiutato di salire in auto negando di aver avuto colluttazioni con i militari e precisando di aver cessato ogni reazione alla presenza di agenti della polizia municipale nel frattempo intervenuti i quali lo rassicurarono che si trattava effettivamente di appartenenti alle forze di polizia (cfr. verbale di interrogatorio in atti).
Si tratta, come è evidente, di dichiarazioni per un verso parzialmente confessorie, per altro verso illogiche ed inverosimili (in specie, non è credibile che il (omissis) si sia tranquillizzato solo al cospetto degli agenti di polizia municipale nel frattempo intervenuti laddove i carabinieri ben avrebbero potuto -come hanno fatto- mostrare il tesserino istituzionale) e smentite dalle risultanze investigative. Si rammenta, infatti, che l’imputato, alla iniziale richiesta di declinare le proprie generalità, fornì ai militari i dati anagrafici con ciò mostrando di avere consapevolezza che la richiesta promanasse da agenti di polizia attuando la reazione fisica solo dopo, all’atto dell’invito dei carabinieri a salire in auto ed andare presso gli uffici di polizia per la compiuta identificazione.
Affermata la penale responsabilità, quanto alla pena, l’imputato non è gravato da precedenti penali come emerge dalla lettura del casellario e come accertato dai carabinieri anche attraverso banca dati ed i rilievi foto dattiloscopici.
La personalità dell’imputato (del tutto incensurato), la necessità di adeguare la sanzione all’effettivo disvalore del fatto le cui modalità ne evidenziano la natura occasionale, consentono il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Valutati i criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., stimasi pertanto equo irrogare la pena di mesi quattro di reclusione cui si perviene:
– pena base mesi sei di reclusione
– ridotta per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche alla pena di mesi quattro di reclusione
Segue per legge il pagamento delle spese processuali.
Sussistono i presupposti per concedere il beneficio della sospensione condizionale consentendolo l’assenza di precedenti condanne a carico definitive e presumendosi positivamente, in ragione della natura occasionale ed episodica del fatto, delle modalità non particolarmente gravi della condotta come descritta e della incensuratezza, che l’imputato si asterrà dalla commissione di ulteriori reati.
P.Q.M.
Letti gli artt.533 – 535 c.p.p. dichiara l’imputato colpevole del reato ascrittogli in rubrica e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre spese processuali.
Pena sospesa.
Così deciso in Napoli, il 25 gennaio 2016.
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2016.
