Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza emessa in data 08.03-02.05.2017 dal Tribunale di Napoli, in composizione collegiale, (omissis) è stato dichiarato penalmente responsabile dei reati di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, indicati al capo B) dell’imputazione, e lo ha condannato, riconosciuto il vincolo della continuazione, alla pena di anni otto e mesi cinque di reclusione e 30.000,00 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Il Giudice di prime cure ha disposto, altresì, nei confronti dell’imputato l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e l’interdizione legale per la durata della pena, nonché il divieto di espatrio e il ritiro della patente di guida per il periodo di anni tre.
L’appellante è stato assolto, invece, dal delitto di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, indicato al capo A) dell’imputazione, poiché il Tribunale ha valutato che l’istruttoria dibattimentale non ha fornito elementi sufficienti ad affermare la partecipazione del R. all’associazione criminale in contestazione.
Il giudizio di colpevolezza espresso nei confronti dell’imputato è stato assunto sulla scorta del compendio probatorio acquisito all’esito dell’Istruttoria dibattimentale, costituito, principalmente, dalle dichiarazioni dei testi di accusa e dei collaboratori di giustizia, dalla documentazione acquisita con il consenso delle parti, nonché dalle conversazioni captate, oggetto di perizia.
In primo luogo, il Tribunale ha richiamato la sentenza n. 2968/2010 emessa dal Gup di Napoli in data 23.12.2010, nonché quella pronunciata dal Tribunale di Napoli in data 12.04.2012, con le quali è stata acclarata l’esistenza del sodalizio, dedito al traffico di stupefacenti, operante presso il c.d. R.D.G. e facente capo alia famiglia (omissis).
In particolare, nelle suddette pronunce, è stata accertata l’appartenenza all’associazione di (omissis) e (omissis), rispettivamente padre e sorella dell’odierno imputato, i quali hanno detenuto diverse tipologie di narcotico per conto del clan, avendo come referente (omissis), questi a sua volta sottoposto di (omissis), individuato quale uno dei capi e promotori dell’organizzazione criminale.
Con riguardo alla specifica posizione di (omissis), sulla scorta delle menzionate risultanze processuali, il primo Giudice ha affermato la sua penale responsabilità per i reati contestati al capo B) dell’imputazione, attribuendogli la condotta di aver trasportato e consegnato lo stupefacente in contestazione, in ottemperanza alle disposizioni dettate, di volta in volta, dal padre (omissis).
Sul punto, infatti, sono state menzionate diverse intercettazioni telefoniche, intercorse tra l’imputato, la sorella ed il proprio genitore, in cui quest’ultimo ha fornito indicazioni in ordine al narcotico – custodito dai figli – da recapitare, servendosi di un linguaggio criptico.
Difatti, nella conversazione n. 2428, (omissis) ha ordinato a (omissis) di portargli “due panini con un poco di formaggio” attraverso il fratello (omissis), assicurandosi che fossero “quelli là di ieri”) e ancora, nella conversazione n. 2430, (omissis) è stato incaricato di consegnare “duecento grammi di prosciutto e cinquanta grammi di parmigiano” ad una donna individuata dal padre.
Tra le captazioni più significative, inoltre, è stata ricordata la n. 787 in cui (omissis) ha chiesto a (omissis) se gli servissero i “panni” rispondendo quest’ultimo di necessitare “della stessa cosa” e di operare lo “stesso prezzo”.
Analogamente, è stata ritenuta rilevante la registrazione n. 1486 in cui (omissis) ha domandato a (omissis) di prelevare “i loffio” per poterli cedere ad un soggetto non meglio identificato.
Orbene, i termini “panino, formaggio, panni, prosciutto e parmigiano”, utilizzati dagli interlocutori, sono stati valutati dal Tribunale come un chiaro riferimento allo stupefacente custodito dai fratelli (omissis).
Ciò anche in base alla considerazione che (omissis) ha convissuto con la propria sorella; di talché, è apparso inverosimile che fosse il figlio a dover provvedere ai suoi pasti e al suo vestiario.
Ha spiegato il Tribunale, infatti, che una diversa interpretazione avrebbe privato di qualsivoglia significato le richieste, ad esempio, di recapitare “i loffio” o di applicare le medesime condizioni rispetto alle precedenti transazioni.
Per questi motivi, peraltro, non è stata valutata credibile la spiegazione alternativa ai contenuto delle intercettazioni fornita dall’imputato e dai testi della difesa.
Da ultimo, l’identificazione di (omissis), quale interlocutore delle captazioni, è stata ritenuta indubbia dal Giudice di primo grado, sia perché l’istante ha nominato (omissis) con l’appellativo “papà”, sia perché i conversanti hanno utilizzato il nome di battesimo dell’imputato o, per meglio dire, l’ipocoristico “(omissis)”,
Il tutto, infine, ha corroborato le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, con particolare riguardo a quanto asserito da (omissis), il quale non solo ha riconosciuto in fotografia (omissis), ma lo ha indicato anche come colui che ha accompagnato la sorella “(omissis) ((omissis)) per il trasporto della droga nella sua auto”.
Avverso la sentenza ha interposto appello il difensore dell’imputato, con ricorso tempestivamente depositato, formulando quattro specifici motivi di appello:
1) con il primo motivo di gravame, è stata contestata la dichiarazione di penale responsabilità di (omissis), chiedendo l’emissione di una sentenza assolutoria, quantomeno ai sensi dell’art. 530, co. 2, c.p.p., in quanto, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, non è stata dimostrata la sussistenza dei presupposti costitutivi dei delitti in contestazione.
In primo luogo, sono state mosse doglianze in ordine all’impostazione dell’Accusa, avallata dal Tribunale, di attribuire fede privilegiata alle dichiarazioni rese da! collaboratore di giustizia (omissis) (sottolineandosi il suo stato di detenzione in buona parte del periodo di svolgimento dei fatti in contestazione), anziché a quelle del fratello (omissis), reggente effettivo dell’associazione criminale in oggetto.
Ed invero, è stato fatto notare che quest’ultimo non solo ha riferito di non aver mai dato ordini diretti a (omissis), ma ha anche aggiunto di non sapere che questi fosse un suo “dipendente”; difatti, (omissis) ha precisato che soltanto il padre e la sorella dell’imputato sono stati da lui retribuiti per l’attività svolta in suo conto.
Peraltro, (omissis) ha fornito ulteriori dettagli che, secondo la tesi difensiva, non sono stati correttamente valutati dal Giudice di prime cure.
Questi, infatti, ha chiarito che (omissis) ha vissuto presso l’abitazione della sorella (in quanto separato dalla moglie), situata sullo stesso corridoio del suo appartamento e che i due versassero in pessime condizioni di salute.
Il difensore ha evidenziato, pertanto, che, in questo modo, sarebbero state confermate le giustificazioni fornite da (omissis) in ordine al contenuto delle captazioni, secondo le quali lo stesso avrebbe effettivamente provveduto alle esigenze del padre, portandogli i pasti e il vestiario.
Confermative della versione resa dall’imputato, sarebbero poi le dichiarazioni relative all’attività lavorativa dallo stesso svolta,
E ancora, è stata contestata l’interpretazione data dal Tribunale alle conversazioni registrate e poste a fondamento della decisione impugnata.
Nei dettaglio, con riguardo alle captazioni nn. 787, 1486 e 2430, è stato rilevato che esse, alla luce delle suddette premesse, non hanno fatto altro che confermare, da un lato, la disponibilità di (omissis) nei soddisfare le esigenze primarie dei padre (cibo e vestiti) e, dall’altro lato, l’intenzione dell’imputato di vendere le merci asportate dai pacchi che avrebbe dovuto consegnare per lavoro. Peraltro, si è evidenziato come la conversazione n. 2430 sia stata erroneamente attribuita all’appellante, in quanto gli interlocutori sono stati individuati in (omissis) e in (omissis).
Analogamente si è precisato che la registrazione n. 787 non ha avuto ad oggetto beni di natura illecita, bensì gli abiti che effettivamente (omissis) avrebbe dovuto portare ai padre il giorno successivo.
Da ultimo, è stata sottolineata l’incoerenza della valutazione del Giudice di prime cure, in ordine alla captazione n. 1486, facendo notare che se si fosse fatto riferimento a qualche tipologia di sostanza stupefacente, data la sua natura scadente (in quanto definito “loffio”), non troverebbe spiegazione la successiva disposizione di vendere il narcotico ad un prezzo superiore a quello di mercato.
In ogni caso, è stato puntualizzato che ai fratelli R. è stato attribuito l’esclusivo compito di custodire lo stupefacente per conto del clan in questione, pertanto, sarebbe incompatibile con tale ruolo l’ulteriore attività di distribuzione al dettaglio.
Infine, il difensore ha lamentato l’erronea individuazione da parte del Tribunale del narcotico detenuto dai germani R., poiché, pur essendo stato contestato all’imputato il possesso ai fini di spaccio di hashish ed eroina, è stato indicata nella parte motiva della sentenza impugnata la disponibilità di cocaina ed eroina;
2) con il secondo motivo di appello, la difesa ha censurato la qualificazione giuridica del fatto, ritenendo che la fattispecie debba essere ricondotta all’ipotesi autonoma di cui all’art. 73, co. 5, D.P.R. n. 309 del 1990.
In particolare, è stato osservato che le intercettazioni in esame non hanno consentito di stabilire, con certezza, se ii narcotico custodito da (omissis) fosse del tipo hashish o eroina e, soprattutto, quali fossero le quantità e qualità dello stesso; di talché, in ottemperanza al principio del favor rei, avrebbe dovuto ritenersi che la sostanza stupefacente detenuta dall’imputato rientrasse esclusivamente nella categoria della c.d. “droga leggera” e, in assenza di qualsivoglia dato ponderale, ricondurre la fattispecie all’ipotesi di lieve entità. È stato rilevato, inoltre, che la sussunzione del fatto nella previsione di cui all’art. 73, co. 5, D.P.R. n. 309 del 1990, determinerebbe l’estinzione dei reati contestati per intervenuta prescrizione;
3) con il terzo motivo di gravame, il difensore ha richiesto la rideterminazione della pena, entro il limite minimo edittale previsto dalla norma incriminatrice, in modo tale da adeguare la pena alla reale entità dei fatti, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche. A sostegno dell’invocata applicazione dell’art. 62 bis c.p., la difesa ha posto in evidenza che l’imputato ha sempre svolto un’attività lavorativa lecita, anche se non in maniera continuativa, tenuto conto della stagionalità dell’impiego, e che lo stesso è padre di quattro figlie;
4) in ultima istanza, è stata eccepita la nullità della sentenza impugnata, conseguente alla violazione degli artt. 234 e 243 c.p.p., derivante dalla mancata assunzione del verbale di prova di altro procedimento, così come da istanza istruttoria avanzata in data 8.2.2017 e, ribadita, a seguito della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in data 8.3.2017. Ed invero, è stato contestato che l’acquisizione del suddetto verbale, essendo stata oggetto di specifica richiesta istruttoria del difensore, avrebbe dovuto prescindere dalla volontà manifestata dalla Pubblica Accusa. Ad ogni modo, la difesa ha ribadito che il rigetto in questione avrebbe dovuto essere motivato dal Giudice di prime cure.
All’odierna udienza si è dato corso alla discussione, nell’ambito della quale il Procuratore Generale ed il difensore hanno concluso come da verbale. La Corte, dopo essersi ritirata in camera di consiglio, ha dato lettura del dispositivo, riservando il termine per il deposito della motivazione.
Ciò premesso, l’appello è infondato e va rigettato, dovendosi unicamente procedere alla rideterminazione della pena, in ossequio al dettato della Corte Costituzionale con la sentenza n. 40/19.
In primo luogo, con riguardo alla eccepita nullità della sentenza impugnata, derivante dalla violazione degli artt. 234 e 243 c.p.p., deve rilevarsi l’infondatezza della stessa, con conseguente rigetto del relativo motivo di gravame.
A tal riguardo, infatti, deve richiamarsi la disciplina in materia, in applicazione della quale, ai sensi dell’art. 238 c.p.p., i verbali di dichiarazioni rese in un diverso procedimento, possono essere acquisiti a carico dell’imputato, soltanto se il suo difensore ha partecipato all’assunzione della prova.
In difetto di tale condizione, è necessario che vi sia il consenso delle parti, affinché il dato probatorio possa essere legittimamente utilizzato; circostanza che non si è verificata nel caso di specie.
Ad ogni modo, l’ingresso nel presente procedimento de! suddetto verbale di dichiarazioni deve valutarsi superfluo.
Ed invero, la sua acquisizione è stata richiesta dalla difesa al solo scopo di saggiare la credibilità e l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (omissis).
Tuttavia, nella fattispecie, deve ritenersi che la veridicità delle propalazioni debba essere valutata in maniera autonoma, sulla scorta delle risultanze processuali formatesi in tale contesto; ciò tenuto anche conto della circostanza che, nel diverso procedimento, il S. è stato chiamato a riferire su fatti che esulano da quelli in esame.
Per quanto riguarda, poi, il merito della decisione di condanna dell’imputato in ordine al reato contestato per il quale il predetto è stato ritenuto responsabile, va preliminarmente osservato che, questa Corte ritiene integralmente condivisibile l’analitica ricostruzione dei fatti e la motivazione posta a fondamento della decisione di primo grado, in aderenza alle risultanze processuali, legittimamente acquisite e pertanto pienamente utilizzabili, da parte del giudice di primo grado, ad esse riportandosi (così come ormai ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, vedi tra le altre Cass. Sez. I sent. n. 46350 del 2/10-3/12-2003 e da ultimo Cass. sez. III sent. n.27300 del 14-5/17-6-2004 che sottolinea come la motivazione della sentenza di secondo grado “deve essere concisa e riguardare gli aspetti ‘nuovi’ o contradditori o effettivamente mal valutati”).
Ciò posto, le censure svolte nel gravame sono state sostanzialmente già esaminate e risolte, nel senso della loro infondatezza, dal primo giudice. E, qualora siano dedotte questioni già esaminate e risolte, il giudice dell’impugnazione può motivare per relationem (Cass. pen sez. V 15 febbraio 2000, n. 3751). Tale motivazione è consentita con riferimento alla pronuncia di primo grado, laddove le censure formulate contro quest’ultima non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, poiché il giudice di appello non è tenuto a riesaminare dettagliatamente questioni sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte ed esenti da vizi logici (Cass. sez, V 22 aprile 1999 n. 7572).
Per tale motivo la Corte fa proprie, sul punto, le argomentazioni spese nella sentenza impugnata, che possono ritenersi in questa sede integralmente richiamate. Ritiene solo di aggiungere il Collegio che le risultanze processuali acquisite, consentono di affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati contestatigli.
In primo luogo, invero, hanno assunto rilevanza in tal senso le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (omissis), giudizialmente dichiarato – con sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, G.U.P., in data 23.12.2010 – organizzatore e promotore del clan (omissis), il quale non si è limitato a riconoscere in fotografia (omissis), ma gli ha attribuito uno specifico ruolo nell’ambito del commercio di sostanze stupefacenti.
Difatti, l’imputato è stato individuato come il soggetto che ha accompagnato la sorella (omissis) (definita “(omissis)”) nell’esecuzione del compito di trasporto del narcotico per conto del sodalizio.
Tali propalazioni, peraltro, non sono rimaste isolate, ma hanno trovato puntuale riscontro, così come imposto dall’art. 192, co. 3 e 4, c.p.p., nell’attività di captazione, confluita nella relazione peritale depositata in data 20.07.2015.
In particolare, le registrazioni in parola non solo hanno consentito di corroborare quanto riferito dal suddetto collaboratore di giustizia, ma hanno permesso anche di definire, in maniera più nitida, l’effettiva veste assunta dall’Imputato nel contesto associativo da cui ha tratto origine il presente procedimento.
Orbene, in via preliminare, occorre, inoltre, ricordare che “in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nei corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato ii sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell’art.192, comma secondo, cod. proc. pen., deve essere compiuta dai giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate più ipotesi ricostruttive dei fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “a! di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionate, con esclusione soltanto delle eventualità più remote (Sez. 6, Sentenza n. 27434 del 14/02/2017).
Ciò significa, dunque, che “la prova dei reati di traffico e di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti può essere desunta non soltanto dal sequestro o dai rinvenimento delle sostanze, ma anche da altre fonti probatorie (quali, come nel caso di specie, ii contenuto di intercettazioni)” (Sez. 2, Sentenza n. 19712 del 06/02/2015).
Ne consegue che, affinché un soggetto possa essere considerato colpevole, non occorre che gli sia stata sequestrata un minimo di sostanza stupefacente, ma sono sufficienti le conversazioni registrate nel corso dell’attività investigativa, purché rivestano i caratteri di cui all’art. 192, co. 2, c.p.p.; difatti, l’intercettazione non necessariamente deve trovare delle conferme esterne.
Nella fattispecie, l’ascolto delle conversazioni registrate ha consentito di appurare che i fratelli (omissis) e (omissis) hanno custodito presso la propria abitazione sostanze stupefacenti eterogenee e che le stesse sono state trasportate e consegnate a chi di dovere, a seconda delle disposizioni impartite dal padre.
Ed invero, dalle intercettazioni in questione, è stato possibile accertare il modus operandi di (omissis), il quale, all’occorrenza, ha contattato uno dei suoi figli per conferirgli l’ordine da eseguire.
Che l’argomento delle loro telefonate fosse proprio il narcotico detenuto dai fratelli (omissis), peraltro, è facilmente ricavabile dal tenore delle comunicazioni e dalla tipologia di linguaggio utilizzato.
Difatti, a ben vedere, le suddette captazioni sono state caratterizzate dalla sinteticità e dall’impiego di una terminologia criptica, talvolta inconferente e apparentemente illogica; ciononostante, però, i diretti interlocutori hanno dimostrato di comprendere perfettamente le disposizioni impartite, confermando l’ipotesi della natura illecita dell’oggetto della conversazione.
Quanto detto, è particolarmente evidente nella registrazione n. 787, in cui (omissis) ha riferito, dapprima alla figlia (omissis) e poi al figlio (omissis), che l’indomani avrebbe necessitato dei “panni”, chiarendo che questi ultimi avrebbero dovuto essere “la stessa cosa” e, dunque, avere “lo stesso prezzo”.
Ebbene, è opportuno notare che se in tale occasione si fosse voluto rappresentare l’effettiva esigenza di vestiario, così come sostenuto dall’imputato in sede di esame, l’ulteriore specificazione “stessa cosa, stesso prezzo” sarebbe priva di significato rispetto al contesto complessivo del colloquio.
E ancora, va richiamata la conversazione n. 2428, in cui (omissis) ha ordinato alla figlia (omissis) di fargli recapitare, per il tramite del figlio (omissis), “due panini e un po’ di formaggio”, ribadendo, più volte, che la consegna avrebbe dovuto consistere in due panini, no uno, due panini…con un po’ di formaggio, tutto cinquanta grammi”.
La premura con cui (omissis) ha chiesto alla figlia di portargli i generi alimentari menzionati, insistendo affinché la stessa comprendesse con certezza quanto preteso e giungendo a richiedere all’interlocutrice di accompagnare il fratello per realizzare un compito di semplice definizione, non può che suggerire che ciò a cui è stato fatto riferimento, in realtà, è proprio il narcotico custodito presso l’abitazione dell’imputato, appartenente a tipologie eterogenee, così come evincibile dalla indicazione di diversi alimenti.
È appena il caso di osservare, inoltre, che “i due panini con un po’ di formaggio” non sono stati domandati dal (omissis) per sé, bensì per un soggetto terzo, così come dimostrato dalla telefonata n. 2429 (avvenuta pochi minuti dopo rispetto alla n. 2428), ove quest’ultimo ha revocato la propria disposizione, informando la figlia che “la merenda”sarebbe stata ritirata da altri.
Ciò, dunque, permette dì destituire le giustificazioni fornite da (omissis), secondo cui egli si sarebbe occupato di acquistare del cibo per il padre, presso la salumeria in prossimità della sua abitazione, senza, peraltro, specificare l’esatta ubicazione o denominazione dell’esercizio commerciale.
A riprova di quanto appena sostenuto, devono analizzarsi le intercettazioni nn. 2430 e 2431, risultando opportune alcune precisazioni in ordine alla prima.
Vero è che la conversazione n. 2430 ha avuto come interlocutori (omissis) e (omissis), così come contestato dalla difesa; di talché, a quest’ultima è stato inizialmente impartito l’ordine di consegnare “duecento grammi di prosciutto e cinquanta grammi formaggio” ad una donna che la (omissis) ha dimostrato di conoscere.
Tuttavia, nella successiva telefonata n. 2431, effettuata nei due minuti seguenti, la disposizione è stata reindirizzata a (omissis), in quanto egli stesso si è offerto di portare a termine il comando, in sostituzione della sorella.
Ad ogni modo, la vicenda riportata e l’utilizzo dell’evidenziato linguaggio criptico non fanno altro che confermare la tesi accusatoria, ovvero che l’imputato ha custodito, unitamente a (omissis), presso la loro abitazione, la sostanza stupefacente in contestazione, provvedendo alla sua distribuzione solo ed esclusivamente nei modi e nei tempi dettati dal padre (omissis), Allo stesso tempo, come già detto, le risultanze processuali sintetizzate non consentono di attribuire veridicità alle dichiarazioni rese da (omissis) a suo discarico.
Ed invero, in proposito, non è stata fornita alcuna giustificazione in ordine al motivo per il quale l’appellante avesse assunto l’incarico di provvedere alle esigenze del padre, considerato che quest’ultimo ha convissuto con la propria sorella.
Peraltro, se – come sostenuto dalla difesa – (omissis) e la propria germana non avessero potuto provvedere ai propri bisogni, a causa delle loro condizioni di salute, è inverosimile che (omissis) e (omissis) si siano attribuiti il compito di occuparsi solo ed esclusivamente del padre e non anche della zia; né, tantomeno, l’imputato ha fornito elementi dai quali desumere che egli effettivamente svolgesse tale attività.
Si ricordi, invero, che, ai sensi dell’art. 495 c.p.p., spetta alla difesa dare la prova dell’esistenza di fatti favorevoli all’imputato. A ben vedere, nel nostro ordinamento processuale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è quest’ultimo che, in considerazione del principio della c.d. “vicinanza della prova”, può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva, (Cfr. Sez. 2, Sentenza n. 6734 del 30/01/2020),
Da ultimo, va fatto riferimento alle conversazioni nn. 1486 e 1493, in cui (omissis) ha domandato a (omissis) di portargli “i loffi”, affinché potesse venderli ad un certo “Totore” al prezzo di trentamila lire.
Anche questa captazione, dunque, corrobora ulteriormente quanto ipotizzato, ovvero che l’abitazione dei fratelli R. è stata adibita quale deposito dei narcotico, per essere smistato all’occorrenza da (omissis) con l’ausilio dei suoi figli.
Difatti, tale circostanza, oltre ad essere stata confermata dalla stessa (omissis) in sede di esame, è stata, talaltro, giudizialmente accertata con la sentenza n. 2968/2010, emessa dal Tribunale di Napoli, G.U.P., atteso che, al momento dell’arresto della suddetta, sono stati rinvenuti presso il suddetto appartamento 184 grammi di eroina e 366 grammi di sostanza da taglio
Alia luce del materiale probatorio sin qui analizzato, dunque, non può che ritenersi che le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (omissis) abbiano trovato piena conferma, fornendo, altresì, un quadro ben più delineato della figura di (omissis).
Peraltro tali propalazioni non sono state neanche smentite da quelle rese da (omissis), il quale non ha escluso che l’imputato possa aver realizzato la condotta criminosa contestatagli, limitandosi a riferire di non sapere se anche l’appellante agisse su disposizione del padre (omissis).
Per questi motivi, pertanto, va confermata la dichiarazione di penale responsabilità emessa nei confronti di (omissis), in ordine ai reati oggetto di imputazione.
È infondata, altresì, la richiesta di riqualificazione giuridica del fatto, ovvero di ricondurre lo stesso all’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990.
In particolare, giova rammentare che, nell’avviso della Suprema Corte, ai fini della derubricazione del reato in quello di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo, conseguentemente, escludere la derubricazione quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve entità”. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell’attenuante la diversità qualitativa delle sostanze detenute per la vendita, indicativa dell’attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori). (Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015 – dep. 27/07/2015, G. e altri, Rv. 26449101).
Nel caso di specie non sussistono i presupposti idonei a consentire una diversa qualificazione giuridica, tenuto conto, principalmente, delle circostanze e delle modalità di realizzazione del fatto delittuoso.
Ed invero, nonostante sia stata esclusa l’appartenenza di (omissis) al sodalizio facente capo alla famiglia (omissis), ciò non fa venir meno la circostanza secondo cui la sua condotta si è, in ogni caso, inserita in un contesto associativo, finendo per agevolare – anche se in via indiretta – gli scopi di un’organizzazione criminale di stampo mafioso.
Inoltre, tenuto conto del lungo arco temporale in cui si è svolta la condotta dell’imputato, ovvero per circa un anno, e del numero delle commissioni eseguite per conto del padre, deve ritenersi che l’istante abbia contribuito ad immettere nel mercato un’ingente quantità di sostanza stupefacente, senza contare quella ritrovata presso l’abitazione dei fratelli (omissis).
Pertanto, le modalità di esecuzione della condotta contestata, unitamente al contesto in cui la stessa si è innestata, depongono in senso negativo ad una riconduzione del fatto alla nozione di lieve entità.
Passando ai motivi quoad poenam, non merita accoglimento la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in quanto, nel caso di specie, non sono emersi elementi idonei a legittimare la concessione del suddetto beneficio.
In proposito, va richiamato il consolidato principio di diritto per cui, nel valutare le modalità di concessione del beneficio in questione, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (per tutte, Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, L., Rv. 259899). Inoltre, per riconoscere le invocate attenuanti non è sufficiente, alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 62-bis comma 3 c.p., neppure lo stato di incensuratezza.
Orbene, applicando alla fattispecie i parametri enunciati dall’art. 133 c.p. occorre attribuire il dovuto rilievo alle modalità dell’offesa e alla gravità del contegno tenuto dall’imputato, il quale ha dimostrato un’elevata capacità di organizzazione dei mezzi nel supportare il padre (omissis) nella commercializzazione di ingenti quantità di sostanze stupefacenti, di diverse tipologie, determinando un importante pregiudizio, anche potenziale, per la salute pubblica.
Ad ogni modo, la diversa intensità del dolo imputabile a (omissis) è stata già valutata dal primo Giudice ai fini della determinazione della pena base ad egli irrogabile, essendo stata contenuta entro il limite minimo edittale previsto dalla norma incriminatrice; giudizio a cui questo Collegio ritiene di aderire.
Tuttavia, la pena irrogata all’imputato deve essere rideterminata, in ottemperanza alla nuova cornice edittale individuata con la sentenza n. 40/2019, emessa dalla Corte costituzionale, per il reato di cui all’art. 73, co. 1, D.P.R. n. 309 del 1990, riducendo la sanzione minima irrogabile ad anni sei di reclusione.
Per tale motivo e considerato che il contegno dell’istante è stato valutato dal Giudice di prime cure meritevole di una pena contenuta entro il limite edittale individuato per il delitto in esame, si stima equo, in ossequio ai criteri ex art. 133 c.p., applicare la sanzione di anni sei di reclusione e 25.822,00 di multa, aumentata per la continuazione ad anni sei e mesi cinque di reclusione e 30.000,00 euro di multa.
Stante il rilevante carico di ruolo dell’ufficio, i termini per il deposito della motivazione sono stati indicati in sessanta giorni, non interamente fruiti.
P.Q.M.
visto l’art. 605 c.p.p.,
in parziale riforma della sentenza n. 3238/2017 emessa dal Tribunale di Napoli in data 8.3.17, appellata dall’imputato (omissis), riduce la pena inflitta ad anni sei mesi cinque di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa.
Conferma nel resto.
Giorni sessanta per la motivazione.
Così deciso in Napoli, il 17 gennaio 2023.
Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2023.
				