Fatto
RITENUTO IN FATTO
La difesa dell’imputato: si riporta ai motivi di appello.
Con semenza n. 6919/25, emessa in data 06/12/23, depositata in data 05/03/24. entro il prefissato termine di 90 giorni, il Tribunale di Bari in composizione monocratica, all’esito di giudizio svoltosi secondo le forme de) rito dibatti mentale, dichiarava D’A.Co. colpevole dei reati ascrittigli e, per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispettò alle contestate aggravanti, lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; tale decisione perveniva il primo giudice sulla scorta delle emergenze istruttorie e, specificamente, delle dichiarazioni rese dall’offesa in seno alle querele sporte, rispettivamente, in data 08/11/16 e 04/07/17 – acquisite agli atti anche a fini probatorie -, le quali, oltre a rivelarsi perfettamente collimanti con la versione dei fatti dalla stessa fornita in udienza, risultavano in linea con le attestazioni della di lei amica De.Pa., con il contenuto dell’annotazione del Commissariato di pubblica sicurezza di Bitonto – anch’esso acquisito al fascicolo del dibattimento – e con la documentazione medica allegata.
la Ch.Fr., riferiva di aver conosciuto, nel marzo del 2003. l’odierno imputato, con il quale aveva iniziato una relazione, poi sfociata, nel 2007. in una convivenza, svoltasi dapprima nella città di Milano – ove l’uomo si era inizialmente recata per svolgere il servizio di leva – e proseguila, a partire dal 22/12/24. nella città di Ma., presso l’abitazione dei suoceri, a causa delta difficoltà riscontrate dal compagno nel reperire un impiego stabile presso il capoluogo lombardo. Nello specifico, la donna precisava che fa relazione, già a partire dal 2009, si era rivelata particolarmente dolorosa a causa del frequente contegno aggressivo serbato dal compagno, avvezzo – spesso anche in preda agli effetti derivanti dall’eccessivo consumo di alcool e cocaina – a malmenarla e offenderla, in svariate occasioni anche alla presenza della figlia minore, D’A.Ga., nata il (…), durante uno dei rari periodi di serenità delia coppia.
Emblematico sì rivelava l’episodio occorso nell’ottobre del 2016. in occasione del quale la donna, nonostante gli inviti dell’assistente sociale a regolarizzare gli orari dei pasti per il bene della minore, era stata costretta a digiunare sino ali arrivo dell’imputato, che. nonostante ii tardivo rientro, mentre stavano pranzando, aveva, dapprima, iniziato con l’inveirle contro e. di lì a poco, approfittando di un momento in cui la Ch. si era alzata da tavola con in braccio la bambina, aveva lanciato al suo indirizzo una bottiglia piena d’acqua, finendo, tuttavia, col colpire il vetro della porta di ingresso che sì frantumava, come in seguito appuralo tanto dal padrone di casa quanto dalla suocera, intervenuta per finanziare la riparazione.
Nonostante la frequenza delle umiliazioni e delle percosse subite dal D’A., la Ch., sperando in un suo miglioramento, aveva sempre subito in silenzio te vessazioni, arrivando a sporgere una prima querela solo in data 08/1 1/16, allorquando l’uomo, rientrato a casa in seguito ad una sua chiamata in cui gli chiedeva di acquistare la pasta per la bambina, le aveva urlato contro, offendendola con frasi del tipo “puttana, mancia-merda”, nonché colpendola con un calcio al polso, circostanze in seguito alle quali la stessa aveva chiesto l’intervento delle Forze dell’Ordine e, dopo aver trascorso una notte presso Una casa famiglia, aveva fatto rientro a Milano presso l’abitazione dei propri genitori. Pochi giorni dopo l’accaduto, tuttavia, persuasa dai toni amorevoli usati dall’uomo nel corso di una telefonata, aveva latto rientro a casa, ove la relazione era proseguila serenamente solo per un breve periodo di tre mesi, ossia sino alla loro convocazione dinanzi al Tribunale dei minori, interessato alla vicenda per via della precedente denuncia sporta dalla donna, sebbene rimessa dopo la riappacificazione con il compagno, precisamente in data 24.12.2016.
La Ch., infatti, riferiva di come tale ultimo avvenimento avesse incrinato nuovamente i rapporti, al punto che il D’A. aveva regolarmente ripreso a malmenarla e offenderla, nonché a fare frequentemente uso di cocaina, peraltro acquistata con i guadagni derivanti dai suoi occasionali impieghi, posto lo stato di disoccupazione del compagno.
Le costanti sopraffazioni fisiche e psichiche messe in atto ai danni dell’offesa erano, cosi, nuovamente proseguite in silenzio sino al 03.07.2017, ossia quando il D’A., durante uno dei loro luigi, l’aveva aggredita e, pretendendo del denaro che la donna aveva riposto in un luogo diverso rispetto a quanto ricordava, l’aveva ingiuriata e presa a pugni, il tutto dinanzi alla suocera Ga.Ca., sopraggiunta su richiesta del figlio.
L’indomani, poi. l’imputato, dopo essere rincasato, aveva prelevato alcuni soldi ed era nuovamente uscito di casa senza riferire alcunché, salvo rientrare circa trenta minuti dopo per insultarla ed accusarla di non aver cucinato bene il pranzo; di lì a poco. poi. si era scaglialo contro di lei e le aveva strappato la maglietta, circostanza questa direttamente riscontrata dagli agenti durante la presentazione della querela da parte della donna, avvenuta io stesso giorno.
La Ch. – che in occasione di tale ennesima aggressione, aveva riportato delle lesioni consistite in “ecchimosi avambraccio sinistra e gamba .sinistra”, con prognosi di giorni 3, come all’uopo refertato dal Punto di Primo Intervento di Bitonto – aveva, così, contattato telefonicamente i propri genitori chiedendo aiuto, per poi rifugiarsi presso l’abitazione della sua amica. De.Pa., con l’aiuto del cui marito aveva fatto, di lì a poco, rientro presso il proprio domicilio, ove, nel frattempo, erano sopraggiunti i poliziotti, prontamente allertati dal padre; ebbene, giunti sul posto, gli agenti avevano rinvenuto il D’A. che, steso sul letto in leggero stato di ebbrezza, confermava quanto accaduto, pur minimizzando la portata della propria condotta, riconducendola ad un normale litigio di coppia.
Attesi i convergenti elementi acquisiti in sede istruttoria, il giudice di prime cure riteneva pienamente raggiunta la prova della colpevolezza del D’A. in ordine ai reati contestati in seno ad entrambi i capi d’accusa, sulla cui scorta questi veniva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione, così determinata: p.b. per il più grave reato di cui al capo I) anni due e mesi sci di reclusione, ridotti) per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alle contestate aggravanti ad anni uno e mesi otto di reclusione, aumentata di mesi quattro di reclusione per la continuazione con il reato di cui al capo 2). sino a giungere alla pena oltre al pagamento delle spese processuali.
Avverso la predetta sentenza, con atto depositato in data 02/04/2024, lui proposto tempestivo e rituale appello il difensore dell’imputato, articolando i seguenti motivi.
Con il primo motivo di appello, ha chiesto l’assoluzione del proprio assistilo dal reato ascrittogli al capo 1), deducendo, a sostegno della propria istanza, hi scarsa tenuta degli elementi probatori posti alla base della ritenuta colpevolezza del D’A.
In particolare, in riferimento al periodo compreso tra il 2013 ed il 2017, la persona offesa si sarebbe limitata a riferire di aver continuativamente subito le angherie del compagno, senza, tuttavia, essere in grado di circostanziare in alcun modo i maltrattamenti subiti, ed anzi menzionando genericamente la Verificazione di reciproci diverbi scaturenti da problematiche di natura economica. Invero, la prima denuncia, sporta solo nel 2016, sarebbe stata immediatamente rimessa per via della subitanea riappacificazione tra l’imputato e la Ch., la quale, peraltro, in sede dì esame testimoniale, avrebbe riferito di aver subito per la prima volta un allo di violenza da parte del compagno sorto in tale occasione; nondimeno, la Ch. avrebbe menzionato le numerose difficoltà lavorative riscontrate dall’uomo spesso nervoso a causa dello stato di frustrazione legato alla sua disoccupazione -, specificando di non aver mai subito inerme le sue sopraffazioni, alle quali, anzi, reagiva denigrandolo ed incolpandolo di non essere in grado di contribuire economicamente. Avuto, invece, riguardo agli episodi del 3-4 luglio 2017. la donna sarebbe caduta in contraddizione riferendo, dapprima, di essere stata insultata e percossa dal D’Amato, e. in seguito – precisamente all’udienza del 17/05/23 -, di aver avuto con lui solo un acceso scontro verbale, circostanza questa che. unitamente agli scarsi elementi di accusa riscontrati dagli agenti occorsi sul posto, non consentirebbe di ritenere provata la responsabilità penale dell’imputato olire ogni ragionevole dubbio.
Difatti, gli agenti, intervenuti in seguito alla segnalazione del padre della Ch., oltre a trovare la casa perfettamente in ordine, riscontravano la presenza di graffi sulla mano destra dell’imputato, ben potendosi da tanto inferire il vivace temperamento della donna ed il carattere reciproco dei loro scontri.
Ad ogni buon conto, secondo il costrutto difensivo, oltre all’elemento oggettivo, difetterebbe anche quello soggettivo, posto che. ai tini dell’integrazione del delitto de quo, occorrerebbe la piena consapevolezza, da parie del reo, della propria attitudine maltrattante e vessatoria, nella specie insussistente: invero, le pur deprecabili condotte aggressive perpetrate net confronti della Ch., oltre ad inserirsi in occasionali contesti di reciprocità, non risulterebbero assistite dalla volontà del D’A. di sottoporre sistematicamente la propria compagna ad un regime di vita umiliante, risultando, ai più. frutto di estemporanei e circostanziati scatti d’ira indotti dalle difficoltà riscontrate dall’uomo.
Con il secondo motivo di appello, la difesa chiede la ridetemi inazione in meglio del trattamento sanzionatone inflitto al prevenuto, sì da adeguare la risposta sanzionatomi all’effettiva gravità degli illeciti e alla sua personalità, tanto più tenendo conto dei recenti sviluppi della relazione tra il D’A. e la Ch., i quali, oltre ad aver avuto un secondo bambino nel 2018, attualmente convivono in assoluta serenità ed armonia.
All’odierna udienza del 16/10/24, in assenza di richiesta di discussione orale sia del Pubblico Ministero sia delle parti private, la Corte d’Appello ha proceduto in Camera di Consiglio non partecipata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’appello proposto dalla difesa dell’imputato può trovare solo parziale accoglimento con riferimento alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Privo di fondamento appare il motivo di appello con cui la difesa dell’imputato ne ha chiesto l’assoluzione, dovendosi ritenere, in adesione alle valutazioni già espresse dal giudice di primo grado, che, nel caso di specie, sussistano i presupposti oggettivi e soggettivi del reato di maltrattamenti in famiglia unitamente a quello di lesioni personali.
Giova ricordare come, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell’imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, commi 3 e 4. cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni; tuttavia, qualora la persona offesa sì sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Cfr. Corte Cass, Sez. 5 -, Sentenza n. 12920 del 13/02/2020).
Ebbene, il racconto della persona offesa è apparso lineare ed esente da vizi logici, avendo la stessa sostanzialmente confermato quanto raccontato nelle denunce, pur dichiarando di essere tornata a convivere con il compagno e di aver dunque rimesso le querele.
La Ch. ha. in particolare, confermato di essere stata vittima negli anni oggetto di imputazione di condotte vessatorie e fortemente ingiuriose, tra cui volgari epiteti e frasi denigratorie, da parte del coniuge, nonché di aggressioni di carattere tisico, come quelle consumatesi nell’ottobre del 2016 quando, tra l’altro, l’odierno imputalo le lanciava contro una bottiglia piena di acqua, nonché in data 04/07/2017.
Sebbene, le dichiarazioni rese dalla persona offesa trovano riscontro nel referto medico in aiti da cui risulta che in data 04/07/2017 i sanitari intervenuti accertavano che la donna versava in uno stato d’ansia reattivo e che aveva riportato contusioni sulla gamba sinistra e sull’avambraccio, nonché dalla relazione di servizio degli agenti occorsi in pari data, dal cui tenore complessivo emergeva una panoramica dei latti perfetta mente sovrapponibile ai racconto della Ch., che era trovata con la maglia strappata.
Allo stesso tempo, riscontrano le dichiarazioni rese dalla Ch. le parole della De Palma Elisa, la quale, pur precisando di non aver mai personalmente assistito alle aggressioni perpetrate dal D’A., riferiva di aver spesso ricevuto le confidenze dell’amica, trovala frequentemente in lacrime e con evidenti segni di lesione sul corpo, come in. occasione dell’episodio del 03/07/17. allorquando veniva da lei trovata per strada con la bambina in braccio e il labbro evidentemente tumefatto. La De.Pa. a sostegno dell’episodio del lancio della bottiglietta riferiva di aver personalmente visto il vetro rotto della porta dell’abitazione dell’imputato, nell’ottobre del 2016.
Risulta, altresì, accertato che nel novembre del 2016. proprio a causa delle condotte poste in essere dal coniuge, la Ch. decideva di lasciare l’abitazione coniugale e di trovare rifugio presso una casa famiglia per poi raggiungere i genitori a Milano.
Dall’annotazione di servizio acquisita sull’accordo delle parti, risulta che in data 04/07/2017, gli agenti della PS di Bitonto erano contattati dal padre della Ch. il quale li pregava di recarsi presso l’abitazione della figlia che, a suo dire, era stata appena aggredita dal coniuge; giunti sul posto, gli agenti trovavano effettivamente la Ch. in lacrime, con ecchimosi sul braccio, la quale riferiva di essere stata percossa dal coniuge già il giorno precedente.
Sussiste, dunque, a parere della Corte; il presupposto oggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia che è integrato da comportamenti reiterati, ancorché non sistematici, che. valutati complessivamente, siano volti a ledere, con violenza fisica o psicologica, la dignità e l’identità della persona offesa, limitandone la sfera di autodeterminazione.
A nulla rileva, come diversamente dedotto dal difensore, che le condotte poste in essere dall’odierno imputato siano scaturite dalla sua condizione di nervosismo e umiliazione per non reperire una adeguata occupazione lavorativa piuttosto che dall’intento di mortificare la compagna. Come noto, ai lini dell’integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia, il dolo non richiede la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale sia finalizzata. Sin dalla loro rappresentazione iniziale, la serie di condotte tale da cagionare le abituali sofferenze fisiche o morali della vittima, essendo, invece, sufficiente la sola consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima (C’fr. Corte Cass. Sez. 1 Sentenza n. 13013 del 28/0W2020).
Nel caso di specie, non v ‘è dubbio dei la sussistenza del reati” di maltrattamenti in famiglia, in ragione
della reiterazione delle condotte vessatorie, che hanno trovato manifesta/ione in plurime condotte aggressive sotto il profilo verbale, anche fisico, non potendosi certo ridurre tali episodi a semplici scaturiti da normali problematiche di coppia.
Non c’è altresì, dubbio della consapevolezza da parte dell’imputalo di perseverare in una condotta vessatoria avuto riguardo alla natura ed alla reiterazione delle condotte.
Premesso quanto sopra, rileva la Corte che deve essere esclusa la contestata recidiva risultando l’imputato, dal certificato penale, soggetto del tutto incensurato, emergendo esclusivamente nei suoi confronti l’apertura, in data 16/03/2022, di un’amministrazione di sostegno a causa della condizione susseguente ad un grave incidente che lo ha interessato.
Rileva, inoltre, la Corte che sussiste discrasia tra il dispositivo in cui è riportato che le circostanze attenuanti generiche sono concesse con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti e la motivazione, in cui le predette circostanze sono concesse con giudizio di prevalenza, pur essendo il Tribunale comunque pervenuto allo stesso trattamento sanzionatone indicato in anni due di reclusione.
In considerazione, delle precarie condizioni di salute dell’imputato e tenuto conto della non gravità delle lesioni riportate dalla Ch. in data 04/07/2017. l’aumento per la continua/ione con il reato di lesioni personali può essere rideterminato in mesi due di reclusione.
In riforma della sentenza impugnata, pertanto, la pena da infliggere all’odierno imputato va determinata in anni uno e mesi dieci d” reclusione, cosi calcolata: pena base per il più grave reato di maltrattamenti in famiglia, anni due e mesi sei di reclusione, ridotta ad anni uno e mesi olio di reclusione per la concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti, ed aumentata di mesi due per la continuazione con il reato di lesioni personali.
Va confermata nel resto l’impugnata sentenza.
La Corte riserva il termine di giorni sessanta per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Visto l’art. 605 c.p.p. in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Bari in data 06/12/2023. appellala dall’imputato D’A.CO., esclusa la contestala recidiva e concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti, ridetermina la pena allo stesso inflitta in anni uno e mesi dieci di reclusione.
Motivazione riservata nel termine di giorni sessanta ex an. 544. comma 3, c.p.p.
Così deciso in Bari il 16 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 9 dicembre 2024.