Fatto
FATTI DI CAUSA
Lo (omissis), nonché Cr.Gi., Fa.Br., Fa.Ni. e Be.Gi., sulla base di titolo esecutivo di formazione giudiziale, hanno pignorato i crediti vantati dalla loro debitrice (omissis) Srl nei confronti del Comune di Todi. Il giudice dell’esecuzione ha assegnato in favore dei creditori procedenti, “nelle rispettive quote, così come specificate nell’atto di precisazione del credito”, gli importi oggetto della dichiarazione di quantità resa dall’ente locale terzo pignorato.
Il Comune di Todi ha proposto opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione, ai sensi dell’art. 617 c.p.c..
Disposta dal giudice dell’esecuzione “la sospensione dell’azione esecutiva”, all’esito del giudizio di merito, interrotto a seguito della dichiarazione di fallimento di Todi 2 Costruzioni Generali Srl e riassunto nei confronti della curatela fallimentare, l’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Spoleto.
Ricorre il Comune di Todi, sulla base di cinque motivi.
Resistono con distinti controricorsi: a) lo (omissis); b) la curatela del fallimento della (omissis) Srl .
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c. .
L’ente comunale ricorrente e l’associazione controricorrente (omissis) hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. .
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “in relazione capo della sentenza con la quale è stata dichiarata l’esistenza del credito assegnato con l’ordinanza opposta, vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1399,1366,1175,1337,1375, cc, e prima ancora dell’art. 2 Costituzione, in relazione all’art. 360,1 comma, n. 3, c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 L. n. 21 dell’08.02.2001, dei relativi DM (Ministero Infrastrutture) attuativi 27.12.2001 n. 24050 e 30.12.2002 n. 10856, nonché degli artt. 11, 21 della legge regionale dell’Umbria n. 11/2005 e degli artt. 1362 e 1399 cc in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”.
Con il secondo motivo si denunzia “In relazione capo della sentenza con la quale è stato dichiarato l’esistenza del credito assegnato con l’ordinanza opposta, vizio di violazione o falsa applicazione dell’art. 4 L. n. 21 dell’ 08.02.2001 e dei relativi DM (Ministero Infrastrutture) attuativi 27.12.2001 n. 24050 e 30.12.2002 n. 10856, nonché degli artt. 11, 21 della legge regionale dell’Umbria n. 11/2005 in relazione all’art. 360,1 comma, n. 3, c.p.c.”.
Con il terzo motivo si denunzia “Sempre in relazione al capo della sentenza con la quale è stata dichiarata l’esistenza del credito assegnato con l’ordinanza opposta, vizio di omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.”.
I primi tre motivi del ricorso sono connessi, avendo tutti ad oggetto l’esistenza del credito assegnato dal giudice dell’esecuzione; come tali, possono essere esaminati congiuntamente.
Essi non possono trovare accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
1.1 Va premesso, in diritto, che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, laddove il giudice dell’esecuzione, preso atto della dichiarazione di quantità positiva del terzo, assegni le somme sulle quali si è, in tal modo, perfezionato il pignoramento, non è più possibile per il terzo pignorato contestare l’esistenza del credito assegnato, proponendo opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione, nemmeno laddove la dichiarazione positiva sia stata resa per errore, anche scusabile (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5489 del 26/02/2019, Rv. 652835 – 03; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18109 del 31/08/2020, Rv. 658767 – 01).
1.2 Nella specie, non vi è dubbio che il giudice dell’esecuzione abbia ritenuto positiva la dichiarazione di quantità resa dal Comune di Todi.
In tale dichiarazione, d’altra parte, a fronte del pignoramento specificamente diretto sul credito restitutorio della società debitrice esecutata nei confronti del comune, per le somme versate quali oneri concessori in relazione a fabbricati non più realizzati, erano state indicate in dettaglio le somme versate a tale titolo dalla società debitrice, con la precisazione che non era stata effettuata alcuna richiesta di rimborso. E la suddetta dichiarazione risulta ulteriormente ed espressamente confermata da un funzionario delegato del comune, comparso in udienza davanti al giudice dell’esecuzione, senza che risulti manifestata, neanche in tale sede, alcuna espressa e specifica contestazione della sussistenza del credito restitutorio della società debitrice esecutata.
Il giudice dell’esecuzione ha, evidentemente, ritenuto di carattere positivo tale dichiarazione di quantità.
1.3 Per quanto ciò non abbia immediato rilievo ai fini dell’esito del giudizio (posto quanto si dirà in prosieguo), è opportuno osservare – per completezza espositiva – che tale valutazione non può certo ritenersi irragionevole.
La dichiarazione del terzo nel procedimento esecutivo di cui agli artt. 543 e ss. c.p.c., infatti, deve avere necessariamente carattere positivo o negativo: il terzo deve riconoscere o negare di essere debitore del debitore esecutato e non può certamente limitarsi ad esporre fatti potenzialmente costitutivi di una obbligazione, rimettendo al giudice dell’esecuzione di stabilire se la stessa sussista o meno, al di fuori del procedimento di accertamento del suo obbligo di cui all’art. 549 c.p.c., il quale, però, presuppone anch’esso una dichiarazione in tutto o in parte negativa.
D’altra parte, una dichiarazione “neutra” (senza, cioè, un espresso riconoscimento o una espressa negazione del proprio obbligo, da parte del terzo) non può che essere considerata come una dichiarazione non resa (cioè, non resa nei termini imposti dalla legge), il che, nel sistema attuale che regola l’espropriazione presso terzi, conduce all’applicazione della regola cd. della ficta confessio, ovvero, in altri termini, è nella sostanza equiparata ad una dichiarazione positiva.
1.4 Dunque, sulla base della dichiarazione di quantità (ritenuta) positiva del terzo, in relazione alla quale, in tale fase del processo esecutivo, non risultano neanche sorte contestazioni di sorta (secondo quanto emerge dall’esposizione dei fatti di causa contenuta nel ricorso stesso), il giudice dell’esecuzione ha provveduto all’assegnazione delle somme pignorate.
In siffatta situazione:
a) in base all’interpretazione data dal giudice dell’esecuzione della dichiarazione di quantità resa dal Comune di Todi (certamente intesa come dichiarazione positiva, come già chiarito), la contestazione della relativa obbligazione, da parte del terzo pignorato, non può più ritenersi possibile, una volta intervenuta l’assegnazione delle somme pignorate, mediante l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione;
b) d’altra parte, se, al contrario, l’interpretazione data dal giudice dell’esecuzione della dichiarazione di quantità resa dal Comune di Todi, quale dichiarazione positiva, non fosse stata corretta (perché, eventualmente, in ipotesi, con essa il comune aveva in realtà espressamente negato di essere debitore della società esecutata, ovvero sulla stessa erano sorte contestazioni nel momento in cui era stata resa o, comunque, prima della definitiva assegnazione delle somme pignorate, circostanze che peraltro non risultano adeguatamente documentate in concreto), allora il giudice dell’esecuzione non avrebbe affatto potuto procedere all’assegnazione dei crediti pignorati, ma avrebbe dovuto disporre farsi luogo al procedimento sommario di accertamento dell’obbligo del terzo, ai sensi dell’art. 549 c.p.c. affinché in quella sede – cioè l’unica a tanto deputata – si potesse accertare l’esistenza di tali crediti; in tal caso, il terzo pignorato avrebbe ben potuto impugnare con l’opposizione agli atti esecutivi l’ordinanza di assegnazione, facendo valere la sua illegittimità, semplicemente per essere stata adottata in mancanza di una dichiarazione positiva di quantità non contestata (ma non certo, neanche in tal caso, per ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo, che in ogni caso avrebbe dovuto avvenire mediante il procedimento di cui all’art. 549 c.p.c., previa revoca dell’ordinanza di assegnazione illegittima e riapertura del processo esecutivo, con tutte le conseguenze del caso, anche in relazione alla sopravvenuta dichiarazione di fallimento della debitrice esecutata).
1.5 Va precisato che, nel ricorso, il comune ricorrente afferma, tra l’altro, di avere contestato, con l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione, che la sua dichiarazione di quantità avrebbe dovuto intendersi come negativa e non come positiva.
Sul punto, però, nella sentenza impugnata, non vi è alcuna statuizione espressa ed in relazione a tale eventuale omissione di pronuncia non risultano formulate specifiche censure nel ricorso.
Di conseguenza – se anche non possa perfino ritenersi implicitamente riconosciuto dal tribunale che la dichiarazione di quantità avesse carattere positivo, non essendovi una espressa statuizione sul punto – quanto meno deve certamente escludersi che sia stato accolto il motivo di opposizione con il quale era stata contestata l’interpretazione del giudice dell’esecuzione in senso positivo della dichiarazione di quantità.
Onde, mancando nel ricorso una specifica censura diretta a far valere il vizio di omessa pronuncia in relazione a tale motivo di opposizione, si deve ritenere sussistente una situazione equivalente a quella in cui il motivo di opposizione volto a far valere l’erronea interpretazione come positiva (invece che negativa) della dichiarazione di quantità non fosse stato mai proposto, non essendo stato preso in esame dal tribunale e non essendo stata fatta valere l’omissione di pronuncia sul punto.
Ne consegue, ulteriormente, che, ormai, non ha più alcun rilievo – nella presente sede – stabilire se fosse corretta o erronea l’interpretazione della dichiarazione di quantità da parte del giudice dell’esecuzione, perché si deve ritenere che tale interpretazione non sia più in discussione nella presente sede: la dichiarazione è stata certamente intesa come positiva dal giudice dell’esecuzione, che ha assegnato i crediti pignorati prendendo atto di tale suo carattere e tale interpretazione della dichiarazione di quantità non è (più) oggetto di contestazioni nella presente sede (più precisamente, se anche lo fosse stata, l’omissione di pronuncia sul punto, non censurata, avrebbe determinato una situazione equivalente alla mancata contestazione).
1.6 Deve, in definitiva, ritenersi che il giudice dell’esecuzione abbia assegnato i crediti pignorati sulla base di una dichiarazione di quantità positiva.
Di conseguenza, l’esistenza del credito assegnato non poteva più essere contestata dal terzo, in sede di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c. avverso l’ordinanza di assegnazione.
Tanto premesso, è agevole rilevare che, con i motivi di ricorso in esame, il comune ricorrente impugna, nella sostanza, l’ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati facendo valere un errore nella sua stessa dichiarazione di quantità (ormai da ritenersi definitivamente) positiva, errore non dedotto prima della pronuncia della stessa ordinanza di assegnazione.
Ciò comporta senz’altro l’originaria inammissibilità dei motivi posti a base dell’opposizione stessa, con conseguente sua radicale infondatezza, anche se per ragioni diverse da quelle esposte nella motivazione della decisione impugnata; poiché, però, quest’ultima risulta conforme a diritto nel dispositivo finale, questo può essere confermato, con una mera correzione della motivazione, come sin qui chiarito, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c. .
2. Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”.
Il comune ricorrente deduce di avere contestato, con l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione, la nullità della suddetta ordinanza “per difetto del requisito di liquidità ex art. 474 c.p.c. del titolo evidenziando che l’ordinanza impugnata ha liquidato le spese di procedura ha determinato il credito globale “dei creditori procedenti in complessivi Euro 91.739,26 oltre IVA e CPA come per legge” che ha poi assegnato “nelle rispettive quote” ai singoli creditori senza però minimamente indicare l’ammontare delle dette rispettive quote”.
Il motivo è inammissibile.
2.1 In primo luogo, va rilevato che le censure non risultano sufficientemente specifiche, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., già con riguardo al presupposto di fatto che è alla base delle argomentazioni in diritto sviluppate dall’ente ricorrente, cioè la insufficiente individuazione, da parte del giudice dell’esecuzione, dell’ammontare delle rispettive quote spettanti ai creditori assegnatari, sull’importo complessivo assegnato.
A tal fine, in realtà, nell’ordinanza di assegnazione opposta, dopo l’indicazione dell’importo complessivo assegnato, è operato un espresso richiamo ad un altro atto processuale e, precisamente, all’atto di precisazione del credito degli stessi creditori (risulta, infatti, assegnato l’importo di “Euro 91.739,26 oltre IVA e CPA come per legge, nelle rispettive quote, così come specificate nell’atto di precisazione del credito”, secondo quanto esposto nello stesso ricorso).
Nel ricorso, però, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non è in alcun modo indicato in quale fase processuale, nonché in quali esatte modalità e/o termini fosse stato posto in essere – o prodotto – da parte dei creditori procedenti, il suddetto “atto di precisazione del credito”, che costituisce, in qualche modo, parte integrante del contenuto dell’ordinanza di assegnazione, né viene, neanche indirettamente, richiamato l’esatto contenuto dello stesso.
Ciò non consente di accedere al merito delle censure in diritto formulate con il motivo di ricorso in esame e sarebbe di per sé sufficiente per dichiarane l’inammissibilità.
2.2 È, peraltro, opportuno rilevare un ulteriore profilo di inammissibilità di tali censure.
Il comune ricorrente sostiene che l’ordinanza di assegnazione sarebbe nulla “per difetto del requisito di liquidità ex art. 474 c.p.c. del titolo”.
Orbene, il difetto di liquidità del titolo esecutivo (qualunque natura abbia detto titolo) può certamente essere fatto valere dal debitore avverso il quale sia fatto valere il titolo stesso, con l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.. Ma, nel caso di specie, l’ordinanza di assegnazione oggetto di opposizione non risulta affatto essere stata posta alla base di un’azione esecutiva minacciata o intrapresa nei confronti del comune: quest’ultimo sostiene, in realtà, che l’ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati emessa ai sensi dell’art. 553 c.p.c. dal giudice dell’esecuzione dovrebbe ritenersi di per sé nulla laddove il credito assegnato non sia “liquido” e, poiché – a suo dire – nella specie non sarebbe stata sufficientemente chiarita ed espressamente indicata nella stessa ordinanza la quota spettante a ciascun creditore sull’importo complessivo assegnato, per questa ragione sussisterebbe una violazione dell’art. 474 c.p.c. .
L’art. 474 c.p.c. ed il difetto di liquidità del “titolo esecutivo” sono però, in tal modo, invocati dalla parte ricorrente in modo non conferente rispetto alla fattispecie concreta, dal momento che (il rilievo appare addirittura ovvio) l’ordinanza di assegnazione non costituisce, nell’ambito del processo di espropriazione di crediti di cui agli artt. 543 e ss. c.p.c., il titolo esecutivo su cui si fonda il processo esecutivo (né, come già osservato, tale ordinanza risulta, nella specie, essere stata fatta valere come tale contro il terzo pignorato), ma costituisce semplicemente il provvedimento che definisce detto processo, chiudendo l’esecuzione forzata contro il debitore.
Ed è appena il caso di osservare che il rispetto dei requisiti di cui all’art. 474 c.p.c. non è affatto un presupposto di validità dell’ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati di cui all’art. 553 c.p.c., in quanto tale, ma solo un requisito necessario ai fini della sua efficacia come titolo esecutivo: tanto ciò è vero, che è pacifico che l’espropriazione di crediti presso terzi e la conseguente ordinanza di assegnazione possano avere ad oggetto anche crediti eventuali, futuri, illiquidi, condizionati o non ancora venuti ad esistenza, di cui sia, quindi, addirittura non specificato l’importo (con il solo limite della necessaria esistenza del rapporto base da cui essi potranno eventualmente sorgere in futuro), cioè crediti senza alcun dubbio radicalmente privi dei requisiti richiesti dall’art. 474 c.p.c. (cfr., ex multis: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14419 del 24/05/2023, Rv. 667976 -01: “l’espropriazione presso terzi può riguardare anche crediti futuri, non esigibili, condizionati e financo eventuali, purché riconducibili ad un rapporto giuridico identificato e già esistente e suscettibili di capacità satisfattiva futura”; conf. : Sez. 3, Sentenza n. 31844 del 27/10/2022, Rv. 666055 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 25042 del 08/10/2019, Rv. 655177 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15607 del 22/06/2017, Rv. 644742 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5235 del 15/03/2004, Rv. 571141 – 01).
In altri termini, la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 474 c.p.c. in relazione al credito pignorato ed assegnato non costituisce, di per sé, una condizione necessaria per l’emissione dell’ordinanza di assegnazione o un requisito di validità di essa, ma solo il necessario presupposto affinché l’ordinanza di assegnazione possa essere fatta valere come titolo esecutivo contro il terzo pignorato.
Dunque, non può ritenersi ammissibile la contestazione della validità dell’ordinanza di assegnazione da parte del terzo pignorato, con l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c. avverso la stessa, sull’assunto che il credito assegnato non fosse certo, liquido o esigibile.
L’ordinanza di assegnazione di cui all’art. 553 c.p.c. opera il trasferimento della titolarità del credito pignorato dal debitore esecutato al creditore assegnatario (o ai creditori assegnatari): il terzo pignorato ha certamente l’interesse a contestare la predetta ordinanza, laddove venga assegnato il credito pignorato in misura superiore o comunque diversa da quanto da egli riconosciuto nella dichiarazione di quantità, in quanto in tal modo la sua posizione obbligatoria sarebbe illegittimamente aggravata.
Non ha, invece, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., alcun interesse a contestare l’ordinanza di assegnazione sotto il profilo della liquidità del credito assegnato (in particolare, come nella specie, per la mancata specificazione delle quote assegnate in favore di ognuno dei creditori procedenti), dal momento che ciò non aggrava affatto la sua posizione obbligatoria, ma, al più, impedisce ai creditori di utilizzare l’ordinanza stessa come titolo esecutivo, senza previa esatta determinazione giudiziale di dette quote e, di conseguenza, sotto tale profilo, i creditori assegnatari sarebbero gli unici che avrebbero effettivo e concreto interesse a contestarla.
Diverse sarebbero state le conclusioni, laddove uno o più dei creditori assegnatari avessero fatto effettivamente valere l’ordinanza di assegnazione in questione come titolo esecutivo, quanto meno intimando precetto, sulla base di essa, al terzo pignorato (senza eventualmente neanche allegare alla stessa l’atto processuale che ne costituiva parte integrante ai fini della individuazione delle quote spettanti a ciascuno di essi): in questo caso, il terzo avrebbe ben potuto contestare (con l’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c.) il difetto di liquidità del credito oggetto di assegnazione e, quindi, dell’ordinanza di assegnazione quale titolo esecutivo. Ma si tratta di una questione del tutto estranea all’oggetto del presente giudizio (ciò anche considerato che non è ammissibile una opposizione all’esecuzione volta a contestare il diritto di procedere ad esecuzione forzata anteriore all’inizio o, almeno, alla minaccia dell’esecuzione stessa).
3. Con il quinto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 826 cc, 159 D.Lgs. 267/2000, e dell’art. 617 cpc in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c.”.
Il comune ricorrente deduce “la nullità/inefficacia della ordinanza di assegnazione per essere il credito colpito impignorabile in quanto definitivamente incamerato dal Comune e da esso specificatamente destinato e speso per la realizzazione di un’opera pubblica, quale era l’ampliamento della scuola elementare di P”.
Il motivo è inammissibile.
È consolidato l’indirizzo di questa Corte per cui il terzo pignorato non è legittimato a dedurre l’impignorabilità del credito oggetto dell’espropriazione presso terzi (ex multis: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 28625 del 13/10/2023, Rv. 668952 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26549 del 30/09/2021, Rv. 662540 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23631 del 28/09/2018, Rv. 650882 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3790 del 18/02/2014, Rv. 630151 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4212 del 23/02/2007, Rv. 595615 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 387 del 11/01/2007, Rv. 595611 – 01; Sez. L, Sentenza n. 6667 del 29/04/2003, Rv. 562536 – 01).
D’altra parte, il motivo di ricorso in esame risulta inammissibile anche per un’altra ragione.
Se, come sostiene il comune, il credito pignorato era stato “definitivamente incamerato dal Comune e da esso specificatamente destinato e speso per la realizzazione di un’opera pubblica”, ciò in realtà significa che quel credito, in quanto effettivamente già “incamerato”, non sussisteva affatto, al momento della notificazione del pignoramento: e, allora, il comune avrebbe dovuto rendere una dichiarazione di quantità negativa, mentre (come chiarito in relazione ai primi tre motivi del ricorso) ha reso una dichiarazione che è stata intesa come positiva e non sono più possibili contestazioni, in questa sede, sulla suddetta interpretazione.
In sostanza, con il motivo di ricorso in esame, vengono di fatto riproposte, sotto diversa ottica, le medesime contestazioni relative all’esistenza del credito assegnato, della cui inammissibilità si è già detto.
4. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna l’ente ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole: a) per lo (omissis), in complessivi Euro 7.600,00 (settemilaseicento/00), oltre Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge; b) per la curatela del fallimento della (omissis) Srl, in complessivi Euro 5.800,00 (cinquemilaottocento/00), oltre Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte dell’ente ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 17 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2024.