Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13.12.2022, la Corte di appello di Roma ha dichiarato estinto per prescrizione il reato ex artt. 113,589 cod. pen. ascritto agli imputati e confermato le statuizioni civili, anche a carico dei responsabili civili Ares 118 e Asl di Latina.
Agli imputati era stato contestato di avere colposamente cagionato il decesso di Da.Ka., avvenuto alle ore 05,55 circa del 9.4.2013 a causa di uno shock settico in soggetto affetto da colite pseudomembranosa.
Per tale reato il giudice di primo grado aveva dichiarato responsabili il medico curante, Ma.An., per aver omesso, a fronte della sintomatologia a carico del tratto intestinale evidenziata dalla paziente, di procedere all’esecuzione di un esame obiettivo volto a verificare i segni patologici dei vari organi ed apparati della paziente e di fornire indicazioni per l’espletamento di indagini cliniche di laboratorio necessarie per l’accertamento dell’entità dell’infezione gastroenterica e dello stato di disidratazione; Ro.Il., infermiera del 118, per avere omesso, la mattina del 6.4.2013, a fronte dello stato di ipertermia, tachicardia e diarrea – in atto da diversi giorni – della paziente, di procedere al trasferimento immediato della stessa in ospedale; Ad.An. infermiera preposta al triage del pronto soccorso all’ospedale di Latina, di aver sottovalutato la gravità delle condizioni della persona offesa, inquadrandola come codice verde; Ba.Va., medico di guardia in servizio al pronto soccorso dell’ospedale di Latina, a partire dalle ore 8.30 del 7.4.2013, di avere omesso di visitare con l’urgenza dei caso la paziente e di non avere rilevato la gravità delle sue condizioni, nonostante la denunciata sintomatologia dolorosa che la affliggeva e nonostante alle ore 11.15 risultasse, in base agli esami ematochimici, uno stato di grave insufficienza renale ed epatica ed un rilevante aumento dei globuli bianchi, delle piastrine e della proteina C reattiva e l’esame ecografia” dell’addome evidenziasse un versamento endoaddominale, omettendo pertanto di procedere a tempestiva diagnosi e di segnalare l’assoluta urgenza dell’intervento chirurgico, avvenuto solo alle ore 18.15 del 7.4.2013.
2. Avverso la sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione gli imputati Ro.Il., Ma.An., Ad.An. e Ba.Va., nonché il responsabile civile Ares 118.
3. La difesa di Ro.Il. ha proposto ricorso ai soli effetti civili, lamentando manifesta illogicità della motivazione rispetto alla perizia medico – legale espletata nella fase processuale di appello nonché al “modulo di rilevazione dati per interventi di soccorso” compilato dalla ricorrente in occasione dell’accesso infermieristico compiuto nell’abitazione di Da.Se.
Si deduce come i periti non abbiano espresso alcun giudizio in merito alla condotta del personale paramedico intervenuto il 6.4.2013 nell’abitazione della persona offesa, esclusivamente attestando la presenza, “seppure poco comprensiva, di un atto scritto inerente il rifiuto al trasporto in ambito ospedaliero sottoscritto dalla madre del paziente”. Il compito della Ro.Il. era solo quello del trasporto in ospedale, che non è stato consentito dai familiari della paziente, su consenso della stessa. Trattasi di condotta che non ha avuto alcuna efficacia „ causale nella determinazione dell’evento.
4. La difesa di Ad.An. ha proposto ricorso articolando i seguenti motivi.
I) Violazione di legge, non avendo la Corte territoriale tenuto conto della rinuncia alla prescrizione, espressa all’udienza del 2,11.2022, con conseguente inesistenza della motivazione sul punto.
II) Violazione di legge, relativamente all’affermata responsabilità dell’imputata ai fini delle statuizioni civili e conseguente vizio motivazionale, non avendo la condotta della ricorrente avuto alcuna efficienza causale rispetto all’evento mortale per cui è causa.
4.1. Con atto datato 12.2.2024 il procuratore speciale della ricorrente ha dichiarato di rinunciare all’impugnazione proposta.
5. La difesa di Ba.Va. lamenta quanto segue.
I) Vizio di motivazione, per mancata indicazione degli elementi a sostegno della tesi accusatoria, con particolare riguardo all’indicazione dei tempi che. avrebbe dovuto impiegare la Ba.Va. eguale avrebbe dovuto essere il parametro temporale oltre il quale si doveva considerare l’attendismo quale comportamento “omissivo”.
Si deduce che° nonostante il codice verde, la ricorrente si è effettivamente attivata ed ha accertato l’urgenza di un intervento operatorio indispensabile per acclarare ed eliminare la patologia in corso. Secondo la perizia era impossibile, in sede di pronto soccorso, giungere alla diagnosi precisa di “Clostridium difficile”. Il ritardo nell’esecuzione dell’intervento chirurgico non è imputabile alla Ba.Va.
II) Vizio di motivazione, per non avere considerato che la Ba.Va. nulla dì più celere poteva fare di ciò che ha fatto.
III) Travisamento del fatto, atteso che la perizia ha escluso ogni ritardo nell’attività della ricorrente nei confronti della paziente, né viene specificato quale
“terapia urgente” la stessa avrebbe dovuto adottare, in assenza di una diagnosi precisa.
IV) Violazione di legge con riferimento al primo motivo, anche per deposito tardivo della motivazione oltre i 90 giorni.
6. Il difensore di Ma.An. premesse le ragioni di interesse del prevenuto alla proposizione del ricorso, lamenta quanto segue.
I) Vizio di motivazione e travisamento della prova, con riguardo alla causa del decesso della pèrsona offesa e al nesso di causalità; mancanza di motivazione in relazione alle specifiche doglianze formulate dall’appellante con il terzo motivo di appello.
Si deduce come il processo non abbia acquisito la prova che il decesso sia etiologicamente riconducibile ad una infezione da Clostridium Difficile. La colite pseudomembranosa non è una eziologia bensì è uno stadio patologico che può determinarsi per molteplici cause (batteriche, virali, parassitarie ecc.) e non si è raggiunta la prova sul tipo di infezione che ha prodotto l’insorgere della malattia. I periti nominati dalla Corte di appello non hanno riconosciuto alcuna correlazione tra i farmaci antibiotici assunti dalla persona offesa e la infezione da Clostridium Difficile. Sussiste una frattura logica tra le premesse e le conseguenze che se ne traggono, essendosi addebitato al prevenuto l’omissione di ogni tipo di indagine indotta dalla constatazione dei sintomi manifestati dalla paziente. Sono state travisate le risultanze istruttorie su un argomento decisivo (etiopatogenesi), omettendo di offrire una esaustiva e convincente risposta alle deduzioni dell’imputato sulle cause del decesso e sul nesso di causalità. Non essendo stata accertata la causa della colite fulminante, non è possibile identificare ex ante alcuna condotta alternativa utile a dimostrare che l’evento pregiudizievole non si sarebbe verificato (o si sarebbe ugualmente verificato). I periti si sono limitati ad evidenziare l’entità clinica della colite fulminante, precisando trattarsi di una “patologia rara nei giovani, esordita nei caso di specie in forma subacuta e di difficile diagnosi e gestione”.
II) Violazione di legge in relazione alle dichiarazioni rese dai familiari della persona offesa; omessa motivazione in relazione alla prova dichiarativa di Be.Gi.; vizio di motivazione con riguardo alla esatta data di insorgenza della sintomatologia intestinale e al nesso di causalità.
Si deduce che nel caso concreto, data la giovane età della paziente e il carattere non patognomico dei sintomi palesati, l’unico elemento in grado di condizionare in maniera favorevole la prognosi residuerebbe nel fattore tempo. I giudici di appello hanno travisato le dichiarazioni rese in dibattimento da Be.Gi., da cui è chiaramente emerso che il primo sintomo diarroico in forma lieve si era palesato il sabato prima di Pasqua (30 marzo 2013) e non quindici giorni prima del 6.4.2013, come erroneamente affermato dai giudici sulla base del modulo di intervento degli operatori Ares 118. Dalla diversa ricostruzione offerta dai familiari della paziente in dibattimento non emerge alcuna violazione delle linee guida o buone pratiche mediche ad opera del ricorrente, tenuto conto che la persona offesa, purtroppo, muore decorsi poco più di 8 giorni dal primo episodio diarroico in forma lieve (dal 30 marzo al 9 aprile 2013). Non è possibile convalidare il giudizio negativo espresso dai giudici di appello, tenuto conto che il comportamento esigibile descritto colloca l’avvio di un percorso diagnostico di qualità o la rimessione del caso ad uno specialista non prima del decimo giorno dall’inizio della sintomatologia intestinale, mentre le risultanze istruttorie hanno chiarito che il ricorrente interviene per la prima volta decorsi neanche tre giorni dal primo sintomo diarroico in forma lieve ed autorizza una flebo di soluzione fisiologica dopo ulteriori due giorni, senza essere più coinvolto nei giorni a seguire.
7. Il difensore del responsabile civile Ares 118 lamenta quanto segue.
I) Vizio di motivazione in relazione all’affermata responsabilità della Ro.Il. e alla conseguente responsabilità civile di Ares 118, essendo emerso dall’istruttoria dibattimentale che l’infermiera Ro.Il. ha puntualmente svolto l’attività funzionale alla rivalutazione dei sintomi e dei parametri vitali della paziente, assegnando correttamente il codice verde ed omettendo il trasporto in ospedale della persona offesa su suo espresso rifiuto.
II) Omessa valutazione dell’incidenza causale della condotta posta in essere dalla Ro.Il. in relazione alle cause antecedenti nonché sopravvenute e interruttive della serie causale; erronea applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen.
8. Sono state depositate memorie scritte da parte dei difensori delle parti civili costituite, con cui si conclude per la reiezione dei ricorsi.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente, si deve dare atto della rituale rinuncia all’impugnazione depositata dalla difesa diAd.An., cui consegue la declaratoria di inammissibilità del relativo ricorso ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. d), cod. proc. pen.
2. Passando all’esame dei restanti ricorsi, si osserva che appaiono fondate e assorbenti le comuni doglianze con cui, essenzialmente, si censurano i vizi logico-giuridici della sentenza impugnata in tema di accertamento del nesso di causalità.
3. Appare opportuno premettere qualche cenno sul tema in questione.
È noto l’approdo della giurisprudenza assolutamente dominante, secondo cui è “causa” di un evento quell’antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato: un comportamento umano è dunque causa di un evento solo se, senza di esso, l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo è se, anche in mancanza di tale comportamento, l’evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa).
Da questo concetto nasce la nozione di giudizio controfattuale (“contro i fatti”), che è l’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica tenuta dell’imputato), ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza: se dovesse giungersi a conclusioni positive, risulterebbe, infatti, evidente che la condotta dell’imputato non costituisce causa dell’evento. Il giudizio controfattuale costituisce, pertanto, il fondamento della teoria della causalità accolta dal nostro codice e cioè della teoria condizionalistica. Naturalmente esso, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento, richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è effettivamente accaduto e cioè la formulazione del c.d. giudizio esplicativo (Sez. 4, n. 416 del 12/11/2021 – dep. 2022, Rv. 282559 – 01; Sez. 4, n. 23339 del 31/01/2013, Rv. 256941 – 01). Per effettuare il giudizio controfattuale è, quindi, necessario ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all’evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall’agente, l’evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o posticipato (Sez. 4, n. 43459 del 04/10/2012, Rv. 255008 – 01). In tema di responsabilità medica, è dunque indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o differito (Sez. 4, n. 26568 dei 15/03/2019, Rv. 276340 – 01).
L’importanza della ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica è stata sottolineata, in giurisprudenza, laddove si è affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l’evento lesivo, non si può prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla “causa” dell’evento stesso, giacché solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia è possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto (Sez. 4, n. 25233 del 25/05/2005, Rv. 232013 – 01).
Le Sezioni Unite , con impostazione sostanzialmente confermata dalla giurisprudenza successiva, hanno enucleato, per quanto attiene alla responsabilità professionale del medico, relativamente al profilo eziologico, i seguenti principi di diritto: il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Non è però consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosicché, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto grado di credibilità razionale”. L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese). Ne deriva che, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (Sez. 4, n. 30469 del 13/06/2014, Rv. 262239 – 01). Sussiste, pertanto, il nesso di causalità tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorché risulti accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato’ ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa (Sez. 4, n. 18573 del 14/02/2013, Rv. 256338 – 01).
Si tratta di insegnamento ribadito dalle Sezioni Unite, che si sono nuovamente soffermate sulle questioni riguardanti l’accertamento della causalità omissiva e sui
limiti che incontra il sindacato di legittimità, nel censire la valutazione argomentativa espressa in sede di merito (Sez. U, n. 38343 del 24.04.2014, Espenhahn, Rv. 261106 – 01). Nella sentenza ora richiamata, le Sezioni Unite hanno sviluppato il modello epistemologico già indicato nella citata pronunzia del 2002 – che delinea un modello dell’indagine causale capace di integrare l’ipotesi esplicativa delle serie causali degli accadimenti e la concreta caratterizzazione del fatto storico – ribadendo che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento dì deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. In particolare, si è sottolineato che, nella verifica dell’imputazione causale dell’evento, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta.
4. Nel caso di specie, il giudice a quo non ha fatto buon governo dei principi appena delineati.
La decisione della Corte distrettuale si fonda sulla considerazione secondo cui, in esito alla disposta perizia medico-legale, la “causa” della morte della persona . offesa sia da ricondursi ad una condizione di shock settico in paziente affetta da colite pseudomembranosa fulminante con segni di megacolon tossico. Gli stessi giudici osservano che, a detta dei periti, tale patologia si palesa raramente nei giovani (la persona offesa, al momento del decesso, aveva 26 anni) e nel caso essa era “esordita in forma subacuta e di difficile diagnosi e gestione”. La Corte territoriale riconosce che non siano state chiarite con certezza le cause determinanti l’esordio e l’evoluzione di tale patologia, che solitamente (ma non sempre) si sviluppa per infezione batterica da “Clostridrium Difficile”, agente patogeno a sua volta difficile (come indicato dallo stesso nome) da diagnosticare (almeno all’epoca dei fatti). Tuttavia, i giudicanti, affidandosi alla valutazione dei periti, affermano che non sarebbero “decisive le circostanze di non aver trovato il Clostridium Diffìcile nei reperti istologici cui ricondurre in termini di certezza la colite pseudomembranosa né di non aver chiaramente inserito nei formulare ta diagnosi differenziale la ricerca dei Clostridium Difficile, ma l’omissione di ogni tipo di indagine indotta dalla constatazione dei sintomi manifestati da Da.Ka. con l’avvio di un percorso diagnostico che avrebbe consentito di individuare mediante successivi approfondimenti la causa della malattia, poi conclamata nella colite pseudomembranosa che ha portato la giovane alla morte”.
5. Si tratta di argomentazioni palesemente illogiche e non rispettose dei principi dianzi richiamati, che devono sempre informare l’accertamento del nesso causale tra la condotta ascritta ai sanitari ed il decesso della paziente, nel caso sostanzialmente basato su un giudizio ipotetico privo di adeguato supporto indiziario quanto al fattore scatenante e all’evoluzione che ha determinato la patologia fulminante da cui è derivato l’evento letale che gli imputati – secondo i giudici di merito – avrebbero dovuto e potuto evitare.
Sotto questo profilo, appaiono fondati i rilievi difensivi nella misura in cui constatano l’assenza di un solido e chiaro giudizio esplicativo in ordine alle cause di insorgenza e sviluppo della malattia, idoneo a supportare una adeguata valutazione di sussistenza del nesso causale fra le contestate condotte omissive e l’evento morte.
6. Le motivazioni della sentenza impugnata, in definitiva, non chiariscono in che modo gli imputati avrebbero dovuto e potuto evitare l’evento o comunque non forniscono un giudizio di aita probabilità logica in ordine alla sicura idoneità salvifica della condotta doverosa omessa, limitandosi ad offrire generiche considerazioni in ordine alla necessità di “effettuare i dovuti approfondimenti”, ovvero all’esigenza di affrontare “un percorso di approfondimento diagnostico vantaggioso”, atteso che, secondo i giudici, “Io stato clinico di Da.Ka. è stato sottovalutato con sbrigativa formulazione di diagnosi di influenza intestinale”; per contro, opina la Corte di appello, “L’individuazione della causa e l’approntamento di terapia mirata avrebbero con aita probabilità arrestato l’iter infausto della patologia”.
Tali affermazioni appaiono manifestamente illogiche laddove gli stessi periti non sono stati in grado di individuare le cause di insorgenza e i tempi di evoluzione della patologia, definita “fulminante” e di difficile diagnosi dagli stessi esperti, sicché si fatica a comprendere quali approfondimenti diagnostici” i medici avrebbero dovuto adottare e, soprattutto, se gli stessi avrebbero consentito di intraprendere un tempestivo percorso terapeutico idoneo ad impedire o, quantomeno, ritardare in maniera significativa l’evento morte. In particolare, la logica della decisione appare largamente insoddisfacente laddove, nella sostanza, per dare risposta al quesito “da quale momento poteva pretendersi dai sanitari intervenuti, in presenza di un fenomeno patologico ingravescente, l’effettuazione di mirati accertamenti diagnostici”, i giudici hanno condiviso il ragionamento adottato dai periti, sintetizzabile nella formula “prima si interviene e meglio è”, di per sé generico, carente e, come tale, inidoneo a fondare un serio giudizio controfattuale e, ancora prima, ad individuare con cognizione di causa il comportamento alternativo lecito che avrebbe dovuto essere seguito dai sanitari nel caso concreto.
Del resto, la sentenza impugnata evidenzia tutta la sua illogicità là dove osserva che “il tempestivo ricovero nella struttura ospedaliera avrebbe permesso l’anticipazione degli accertamenti diagnostici, con esami ematici e strumentali, e dei trattamenti per fronteggiare il grave stato di disidratazione rallentando l’evoluzione della malattia e aumentando le possibilità di individuazione delle cause della gastroenterite da cui era affetta che, esordita in forma subacuta e poi cronicizzata, virava velocemente, in mancanza di alcuna azione efficace di contrasto, verso una forma fulminante”. Argomentazione con cui i giudicanti abbandonano lo schema condizionalistico seguito dalla giurisprudenza di legittimità degli ultimi venti anni, per affidarsi alla superata teorica dell’aumento del rischio o della perdita di chances, espressa da un indirizzo giurisprudenziale esauritosi nei primi anni duemila, in base al quale, nella verifica del nesso di causalità tra la condotta del sanitario e la lesione del bene della vita del paziente, occorreva privilegiare un criterio meramente probabilistico, sulle possibilità di successo del comportamento alternativo. Si tratta di una valutazione che si pone in frontale – e non motivato – contrasto con le indicazioni ermeneutiche espresse dal diritto vivente, sul tema dell’imputazione causale dell’evento (cfr. Sez. 4, n. 24372 del 09/04/2019, Rv. 276292 – 03). Al riguardo, va qui ribadito che per offrire la prova del fatto il giudice non può attingere a criteri di mera probabilità statistica (nel caso, peraltro, nemmeno evidenziati), ma deve fare riferimento al criterio della probabilità logica, intesa come “la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica” rispetto al singolo evento oggetto dell’accertamento giudiziale (cfr. Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138 – 01), secondo i noti principi dianzi richiamati.
7. Nel caso, pertanto, si impone un pronunciamento rescindente, atteso che l’accertamento del nesso causale operato dai giudici del gravame di merito non sviluppa un adeguato giudizio di tipo induttivo, elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto, compiutamente argomentato e fondato su un attento scrutinio di dati indiziari, singolarmente e nel loro complesso (cfr. Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261103 – 01); conseguentemente, non è stata offerta una ragionevole e convincente spiegazione in ordine alla concreta attitudine dei predetti dati ad incidere sul coefficiente probabilistico e statistico, sì da rendere elevato il giudizio di credibilità razionale che l’evento non si sarebbe verificato ove fosse stato adottato l’intervento omesso (Sez. 4, n. 30229 del 11/05/2021, Rv. 282378 – 01).
In definitiva, l’analisi sul nesso eziologico è stata svolta dai giudici di merito con argomentazioni erronee ed insoddisfacenti, trascurando di valutare in termini rigorosi e scientificamente accettabili i dati indiziari disponibili, al fine di verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dai sanitari, l’evento lesivo sarebbe stato ragionevolmente evitato o differito con (umana) certezza (cfr. Sez. 4, n. 5901 del 18/01/2019, Rv. 275122 – 01).
8. Stante la già dichiarata estinzione del reato per prescrizione, statuizione che non è stata espressamente contestata dagli imputati ricorrenti, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di Ma.An., Ro.Il., Ba.Va. e del responsabile civile Ares 118 ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gii interessi civili, con rinvio per nuovo giudizio, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., al giudice civile competente per valore in grado di appello. Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Il ricorso di Ad.An., invece, come già detto, va dichiarato inammissibile per rinuncia all’impugnazione, cui consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Ma.An., Ro.Il., Ba.Va. e del responsabile civile Ares 118 e rinvia, per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
Dichiara inammissibile il ricorso di Ad.An., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro cinquecento a favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 2 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria l’11 dicembre 2024.