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Cassazione civile sez. trib., 01/07/2024, n. 18060

Massima

Nell’ambito del processo tributario, l’Amministrazione finanziaria può fondare l’accertamento dell’inesistenza di operazioni fatturate su un insieme di presunzioni, anche se queste derivano da fatti a loro volta accertati tramite presunzioni, purché l’inferenza probatoria sia grave, precisa e concordante e basata su una valutazione complessiva degli elementi indiziari disponibili, senza che ciò configuri una violazione del divieto di “presunzione da presunzione”. Elementi come l’omessa presentazione di dichiarazioni fiscali dei fornitori, la loro mancanza di capacità patrimoniale e operativa, le loro dichiarazioni sull’assenza di mezzi idonei, e le modalità anomale di conferimento e pagamento possono concorrere a fondare tali presunzioni.

Supporto alla lettura

PROCESSO TRIBUTARIO

Il Processo Tributario è un procedimento giurisdizionale che ha ad oggetto le controversie di natura tributaria tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, è disciplinato nel d.lgs. 546/1992 e non è incluso in nessuna delle giurisdizioni indicate dalla Costituzione, rappresenta quindi un’eccezione giustificata dal grande tecnicismo della materia.

Il 03 gennaio 2024 è stato pubblicato in G.U. il d.lgs. 220/2023 recante disposizioni in materia di contenzioso tributario, le quali vanno a modificare il d.lgs. 546/1992, e sono da collocare in attuazione della L. 111/2023, con la quale è stata conferita delega al Governo per la riforma fiscale.

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

 

FATTI DI CAUSA

1. La Eurometal Srl ha proposto appello nanti la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania contro la sentenza n. 10027/19 della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Napoli che aveva respinto il suo ricorso contro l’avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA per il 2015 fondato sul disconoscimento di acquisti di materiale ferroso da soggetti di etnia rom, i quali erano risultati privi di adeguate risorse e avevano disconosciuto le operazioni loro imputate.

2. La CTR della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello sulla base della mole degli elementi indiziari forniti: omessa presentazione di dichiarazioni fiscali dei soggetti rom fornitori, mancanza di capacità patrimoniale, strutturale e operativa idonea a giustificare le ingenti forniture di materiale ferroso contabilizzate, dichiarazioni degli stessi fornitori in ordine all’assenza di mezzi idonei per la raccolta e il trasporto di ingenti quantitativi di rottami, alle modalità di conferimento presso lo stabilimento della Eurometal Srl attraverso la consegna dei timbri relativi ai soggetti titolari di partita IVA, alla mancata compilazione di documenti o formulari e all’assenza di libri o registri contabili relativi alla propria raccolta e conferimento, al pagamento in contanti del corrispettivo.

3. I Giudici d’appello hanno, quindi, ritenuto che “i rom fossero in grado di conferire solo modeste quantità di merce e non compilassero personalmente le fatture ed i relativi formulari, per cui tale attività era compiuta dai responsabili della Eurometal Spa che la effettuava indicando valori superiori allo scopo di creare costi fittizi per abbattere i ricavi”; la CTR ha quindi aggiunto che il contribuente non aveva fornito prova della effettività delle operazioni dovendo considerarsi insufficienti la regolarità contabile e la tracciabilità dei pagamenti, “poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia”, e ha citato giurisprudenza di questa Corte a sostegno.

4. La società ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza fondato su cinque motivi.

5. E’ rimasta intimata l’Agenzia delle entrate.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e omissione di pronuncia in ordine al motivo d’appello contro la sentenza della CTP che aveva tratto la prova presuntiva sulla scorta di elementi indiziari tratti esclusivamente dalle dichiarazioni rese da terzi soggetti ritenuti inattendibili.

1.1. Il motivo è infondato in quanto ricorre il rigetto implicito della questione una volta che la CTR ha considerato quelle dichiarazioni ai fini dell’accertamento dei fatti.

1.2. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 24953 del 2020). Ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Cass. n. 12131 del 2023).

1.3. Non sarà superfluo aggiungere che la questione è pure infondata nel merito, perché le dichiarazioni dei terzi – che rilevano quali fonti di conoscenza, come fatti o indizi che spetta al giudice di merito valutare insieme agli altri elementi presuntivi che completano il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria, al fine di decidere se l’Ufficio abbia soddisfatto l’onere della prova a suo carico, con conseguente trasferimento al contribuente dell’onere della prova contraria (Cass. n.32024 del 2022) – in questo caso sono state considerate nell’ambito di una valutazione complessiva che comprendeva anche altri elementi (omessa presentazione di dichiarazioni fiscali da parte dei soggetti rom fornitori, mancanza di capacità patrimoniale, strutturale ed operative idonea a giustificare le ingenti forniture di materiale ferroso contabilizzate).

2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente sulla medesima questione, in ordine alla quale la CTR aveva dato una risposta meramente assertiva e priva degli elementi necessari a riconoscere l’iter logico – giuridico seguito.

3. Con il terzo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente laddove la CTR non aveva dato rilevanza alla documentazione contabile e bancaria sulla base di un mero richiamo ai principi astratti ma senza spiegare perché, in concreto, quella documentazione non fosse sufficiente.

4. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi denunziano motivazione apparente della sentenza con riguardo a due specifiche questioni, e sono inammissibili, posto che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, il Giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass. n. 407 del 2006; Cass. n. 24542 del 2009; Cass. n. 12652 del 2020).

4.1. In questo caso, come si desume dalla superiore espositiva, la motivazione della sentenza raggiunge il c.d. “minimo costituzionale” – a cui si riduce dopo la modifica dell’art. 360 comma 1 n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. sez. un. n. 8053 del 2014) – rendendo chiaramente intelligibile il fondamento della decisione, con argomentazioni congrue e confortate dalla citazione della giurisprudenza di questa Corte, sicché è agevolmente ricostruibile il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass. sez. un. n. 22232 del 2016).

5. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c. laddove la CTR ha affermato l’insufficienza della documentazione allegata dalla ricorrente, costituita da documentazione contabile, bancaria, registri di carico e scarico nonché dai formulari debitamente compilati, che dimostrava invece la perfetta coincidenza tra le movimentazioni di magazzino, le fatture e i pagamenti.

5.1. Il motivo è, per un verso, inammissibile e, per altro, verso infondato.

5.2. E’ inammissibile perché in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360,1 comma, n. 4, c.p.c., bensì un errore di valutazione dei fatti, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360,1 comma, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. n. 23940 del 2017).

5.3. E’ infondato perché la decisione della CTR di disattendere le risultanze documentali portate dalla società, oltre che adeguatamente giustificata in fatto sulla scorta degli elementi indiziari forniti dall’Ufficio, è del tutto in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 24471 del 2022; Cass. n. 27566 del 2018; Cass. n. 28628 del 2021), secondo cui la prova a carico del contribuente “non può ridursi all’esibizione della fattura o alla dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale una operazione fittizia”.

6. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. avendo la CTR violato le regole in materia di prove presuntive poiché ha tratto il fatto ignoto (l’inesistenza delle operazioni fatturate) da altri fatti ignoti e, in particolare, dal convincimento, desunto dalle dichiarazioni di terzi, che i fornitori non fossero nella disponibilità necessarie per gestire quella mole di traffici.

6.1. Il motivo è infondato. Il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (“divieto di doppie presunzioni” o “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”), nei termini dedotti dalla ricorrente, non sussiste. Quel principio, spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perché non è riconducibile né agli evocati artt. 2729 e 2697 cod. civ. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea – in quanto, a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 27982 del 2020; Cass. n. 23860 del 2020; Cass. n. 20748 del 2019; Cass. n. 15003 del 2017; Cass. n. 983 del 2015). Questa soluzione è coerente con l’orientamento di questa Corte, secondo cui, ai fini del soddisfacimento dell’onere probatorio dell’Ufficio, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 23231 del 2022; Cass. n. 13807 del 2019; Cass. n. 4168 del 2018; Cass. n. 17833 del 2017; Cass. n. 25129 del 2016). Ciò che conta, di fronte ad una prova inferenziale caratterizzata da una serie lineare di inferenze, è che ciascuna di esse sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, di modo che il fatto “noto” attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato” (Cass. n. 27982 del 2020). In questo caso, attraverso la valutazione complessiva degli elementi a disposizione che, secondo quanto riportato in sentenza, non si esaurivano nelle dichiarazioni dei terzi ma comprendevano anche dati oggettivamente accertati dai verificatori, si è giunti ad accertare l’indisponibilità da parte dei fornitori dei mezzi necessari per far fronte alla mole di traffici risultante dalla contabilità, ciò che, secondo una comune regola di esperienza, deponeva per l’inesistenza delle operazioni oggetto delle fatture contestate.

7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e non vi è da provvedere sulle spese atteso che l’Agenzia è rimasta intimate.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma il 14 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria l’1 luglio 2024.

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