IN FATTO
Rilveto che:
1. Ca.Ma. impugnò innanzi alla Commissione Tributaria provinciale le cartelle emesse ai sensi dell’art. 36 ter D.P.R. n. 600/73 nei suoi confronti con cui veniva recuperato a tassazione per gli anni d’imposta (IRPEF ed accessori) 2010/2011 l’importo – dedotto dai contribuenti dal reddito derivante da alcuni immobili realizzati su arenile in concessione demaniale – del canone concessorio dei suoli. La CTP accoglieva il ricorso, ma la CTR riformava la pronuncia limitatamente all’anno d’imposta 2010 da cui il ricorso in cassazione della ricorrente, basato su due motivi, ed avverso il quale resiste l’Agenzia con controricorso.
IN DIRITTO
Considerato che:
1. Col primo motivo si deduce motivazione carente e contraddittoria.
1.1. Le carenze motivazionali, salvo l’ipotesi dell’assenza o mera apparenza della motivazione, non costituiscono vizio della sentenza denunciabile in sede di legittimità. Nell’ambito della motivazione meramente apparente, la contraddittorietà viene in rilievo solo se la motivazione sia appunto caratterizzata da invincibile contraddizione, in modo che appunto non sia ricostruibile la ratio su cui poggia la decisione. Nella specie la contraddizione individuata dalla ricorrente, non che invincibile, non è neppure sussistente, visto che la sentenza chiarisce come la concessione dello ius ad aedificandum non sempre discende dalla costituzione di un diritto di superficie ma può derivare da un rapporto meramente obbligatorio, e poi appunto specifica che tale è il caso di quello derivante dalla concessione amministrativa che ricorre nella specie.
2. Col secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 10 TUIR.
Nello specifico va detto che la contribuente risulta proprietaria di un immobile – da essa dato in locazione – realizzato su area (allora) demaniale, per la quale versava un canone di concessione. Di contro l’art. 10 TUIR permette la deduzione dal reddito che produce un bene immobile di “canoni, livelli e censi ed altri oneri gravanti sui redditi degli immobili”.
Trattasi all’evidenza di oneri reali, cioè obbligazioni legate al bene e caratterizzate dall’ambulatorietà.
Viceversa, appare ictu oculi evidente che il canone concessorio è costituito da un’obbligazione ricollegata al rapporto intercorrente fra la pubblica amministrazione e il privato concessionario, che non solo non ha natura reale né è caratterizzata dall’ambulatorietà ma al contrario e connessa alla persona del concessionario.
Pur volendo poi ritenere che il canone non riguarda esclusivamente il suolo ma anche il fabbricato la cui locazione costituisce il reddito da cui il canone era stato dedotto, in relazione alla riespansione del diritto del proprietario demaniale alla scadenza della concessione, analogamente a quanto avviene in caso di riespansione della nuda proprietà sulla proprietà superficiaria – ed in effetti il “Capitolato delle concessioni comunali” del comune di Viareggio (all’art.7) esplicitamente riconosce in capo ai concessionari la proprietà delle edificazioni sul suolo demaniale in costanza di concessione – ciò non muta la sostanza del canone come non reale ed è oltremodo evidente che il corrispettivo per la costituzione del diritto di superficie non è certo deducibile dal reddito derivante dai canoni locatizi che il titolare della proprietà superficiaria ritrae dal fabbricato realizzato sfruttando lo ius aedificandi (salvo il caso della natura strumentale ad un’attività d’impresa del fabbricato, per la quale ipotesi – che non ricorre – valgono i principi giurisprudenziali richiamati tanto dalla ricorrente quanto dalla Procura Generale).
2.2. In definitiva quindi il motivo dev’essere rigettato, poiché appunto l’Agenzia ha effettuato una rettifica a seguito di un controllo meramente formale fondato sull’esclusione ictu oculi del canone dedotto dal novero degli oneri deducibili dal reddito ai sensi dell’art. 10 TUIR, ed appunto l’art. 36 ter D.P.R. n. 600/1973 consente, al comma 2, lett. c) di escludere in sede di controllo formale le deduzioni dal reddito non spettanti, dovendosi procedere in via ordinaria (quindi previo apposito avviso di accertamento) solo allorché occorra una complessa attività di verifica o di interpretazione.
3. Il ricorso merita dunque integrale rigetto, con aggravio di spese in capo alla ricorrente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17,
della L. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 2000,00, oltre spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2024.
