FATTI DI CAUSA
L’oggetto della controversia è l’avviso di accertamento in rettifica n. 373, emesso il 15 dicembre 2020 dalla So.Ge.R.T. Spa con cui il comune di Cardito (d’ora in poi ente intimato) ha chiesto all’Istituto autonomo case popolari della provincia di Napoli in liquidazione (d’ora in poi istituto ricorrente) il versamento del complessivo importo di Euro 7.754,88, comprensivo di sanzioni e interessi a titolo di Imu per l’anno 2015.
La questione centrale del giudizio ruota intorno al quesito se sia applicabile agli immobili assegnati dallo Iacp l’esenzione dell’IMU di cui all’art. 13 comma 2, lett. b) del D.L. n. 201/2011 prevista per i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali come definiti dal Decreto del Ministro delle Infrastrutture 22 aprile 2008, pubblicato in G.U. n. 146 del 24 giugno 2008, ovvero se trovi applicazione il comma 10 della richiamata norma che prevede l’applicazione di una detrazione di 200,00 Euro, fino a concorrenza dell’imposta dovuta, agli alloggi assegnati dagli IACP.
La CTP ha rigettato il ricorso proposto dall’odierno ricorrente;
La CTR ha confermato la decisione di primo grado sulla base delle seguenti ragioni:
– va applicata l’esenzione dall’IMU per gli immobili degli IACP che hanno le caratteristiche di immobili sociali “come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture 22aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008”;
– nel merito manca la prova che gli immobili oggetto dell’accertamento abbiano le caratteristiche per l’esenzione dal’Imu;
– l’appellante (ndr odierno ricorrente) a supporto dell’affermata sussistenza di tali caratteristiche ha depositato una perizia che risulta, tuttavia, del tutto generica, in quanto “dopo aver operato una ricostruzione del quadro normativo, si limita a fornire a titolo meramente esemplificativo (con riferimenti “a campione”), e non dettagliato per tutte le diverse n. 8 unità immobiliari oggetto di accertamento, una descrizione delle caratteristiche strutturali degli alloggi, in termini di altezza, dimensioni e salubrità, senza fornire, tuttavia, alcuna indicazione utile sui criteri di assegnazione delle abitazioni, sulla loro effettiva destinazione a nuclei familiari disagiati, sulla composizione numerica di tali nucleo in rapporto alle dimensioni degli immobili, sull’ammontare dei canoni agevolati corrisposti da tali famiglie e sul rapporto tra tali canoni e la loro condizione di disagio sociale ed economico. Risulta dirimente ai fini della qualificazione come “alloggio sociale” di un immobile proprio la sua destinazione funzionale alla riduzione del disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado per le loro condizioni economiche di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato, per cui tale perizia risulta insufficiente a fornire la prova di tale destinazione, anche in considerazione della eterogeneità degli immobili oggetto di accertamento”.
L’odierno ricorrente ha proposto ricorso fondato su un unico motivo, le altre parti non hanno svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 13, comma 2 lett. b) del d.l. n. 201 del 2011 e del d.m. 22 aprile 2008. Deduce di avere documentato la destinazione sociale degli immobili e lamenta che la sentenza si sia limitata ad affermare che la perizia non ha fornito in dettaglio una descrizione delle caratteristiche strutturali degli alloggi, in violazione anche dell’art. 112 c.p.c.
Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata ha ritenuto che la perizia prodotta dall’appellante fosse del tutto generica e inidonea a fornire la prova che gli immobili oggetto di accertamento avessero le caratteristiche degli alloggi sociali come richiesti dalla normativa, in particolare dal d.m. 22 aprile 2008. Si tratta di una conclusione resa sul quadro probatorio agli atti che non può essere censurata in questi termini in sede di legittimità.
Dietro lo schermo della deduzione del vizio di violazione di legge si cela difatti una contestazione della motivazione della sentenza impugnata.
Già da tempo in sede di legittimità è stato affermato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Sez. 5, n. 19547/2017, Rv. 645292 – 01, Sez. 6 – 5, n. 29404/2017, Rv. 646976 – 01).
Si deve, dunque, ribadire che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U, n. 34476/2019, Rv. 656492 – 03, Sez. 1, n. 5987/2021, Rv. 660761 – 02) La valutazione degli elementi probatori è attività da tempo riconosciuta istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. 23286 del 2005, Rv. 585444 – 01, Sez. L, n. 11660/2006, Rv. 589044 – 01, Sez. L, n. 11670/2006, Rv. 589071 – 01, Sez. 6 – 5, n. 1414 del 2015, Rv. 634358 – 01).
2. Da quanto esposto consegue l’inammissibilità del ricorso proposto. Nulla sulle spese, stante la mancanza di attività difensiva.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell‘art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’11 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2024.
