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Cassazione penale sez. V, 28/10/2021, n. 697

Massima

L’invio di un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati contenente espressioni offensive e non veritiere integra il reato di diffamazione, e l’esimente prevista dall’art. 598 c.p. non è applicabile a tali esposti, in quanto l’autore non è parte nel successivo giudizio disciplinare; pertanto, il ricorso avverso la condanna per diffamazione basata su tali fatti è rigettato.

Supporto alla lettura

DIFFAMAZIONE

Rispetto all’ingiuria ex art. 594 c.p., l’art.595 c.p. consiste nell’offesa all’altrui reputazione fatta comunicando con più persone, con il mezzo della stampa o tramite i social network a causa della loro capacità di raggiungere un numero indeterminato o apprezzabile di persone; persegue la condotta dell’offendere rivolta verso persone non presenti, ovvero non solo assenti fisicamente, ma anche non in grado di percepire l’offesa (la c.d. maldicenza in assenza dell’interessato).

La nuova costituzione italiana (art. 21) ha esteso la garanzia costituzionale a tutte indistintamente le manifestazioni del pensiero. Alla costituzione ha fatto seguito la legge 8 febbraio 1948, n. 47, che, pur avendo carattere provvisorio, tuttavia regola per la prima volta compiutamente la materia della stampa. Mentre la CEDU si è espressa più volte sul tema sostenendo che quando la diffamazione si realizza a mezzo social network, ad essere violato è l’art. 8 della CEDU, che tutela la vita privata del singolo in cui deve intendersi ricompreso anche il diritto alla reputazione.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata il 26/10/2020, il Tribunale di Firenze ha parzialmente riformato, quanto alla determinazione della pena, e confermato nel resto la sentenza del 16/01/2020 con la quale il Giudice di pace di Firenze aveva dichiarato (omissis) responsabile del reato di diffamazione (perché, presentando un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze nei confronti dell’Avv. (omissis), offendeva la reputazione di questi, descrivendo, contrariamente al vero, episodi di mancanza di lealtà e di correttezza), condannandola alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile liquidati in Euro 1.500.

2. Avverso l’indicata sentenza del Tribunale di Firenze ha proposto ricorso per cassazione (omissis), attraverso il difensore Avv. (omissis), articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Il primo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 595 c.p. in relazione all’art. 51 c.p., in quanto nel caso di specie non sono stati travalicati i limiti del corretto esercizio del diritto di critica, laddove erroneamente la sentenza impugnata esclude che la parte convenuta per responsabilità professionale e la propria assicurazione costituiscano un unicum procedurale, mentre, a fronte del comportamento tenuto dall’Avv. (omissis), che non ha salutato la collega ed è stato apostrofato con l’epiteto villano, legittimamente è stato esercitato il diritto di critica.

Il secondo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 595 c.p. in relazione all’art. 598 c.p., erroneamente ritenuto non applicabile al caso di specie.

Il terzo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione al quantum del risarcimento del danno.

3. Con requisitoria scritta ex D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dr. (omissis) ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.

Il difensore e procuratore speciale della parte civile, Avv. (omissis), ha trasmesso una memoria, con la quale conclude per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso, allegando nota spese.

L’Avv. (omissis), difensore dell’imputata, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non merita accoglimento.2. Il primo motivo è inammissibile. La sentenza impugnata ha fondato il giudizio di sussistenza del fatto diffamatorio correlandolo all’espressione “villano” utilizzata dall’imputata nell’esposto contro il collega avvocato, espressione che, ad avviso del giudice di appello, contiene un’evidente carica dispregiativa ed è comunemente avvertita come espressiva di una chiara volontà di offendere la reputazione della persona cui viene riferita. Il ricorso censura il punto della decisione impugnata rilevando che (omissis) non aveva salutato l’imputata in udienza, ma, a questo proposito, la sentenza impugnata ha rilevato che la stessa (omissis), nella corrispondenza allegata all’esposto, fa espresso riferimento all’eventualità che (omissis) non la conoscesse, riferendosi al mancato saluto di fronte all’ascensore del Tribunale. Al riguardo, il ricorso non articola alcuna specifica doglianza, ma, come si è anticipato, si limita a far riferimento al mancato saluto “in udienza”, ossia a un diverso contesto, il che rende, per questa parte, il motivo versato in fatto.

Nel resto, l’espressione utilizzata non consiste nella prospettazione di dubbi o perplessità sull’operato del legale o di violazioni di regole deontologiche proprie della professione legale, sicché risultano inconferenti i richiami giurisprudenziali proposti dal ricorso.

Esulano dal nucleo essenziale della ratio decidendi le questioni attinenti ai ruoli processuali del difensore dell’assicurazione e di quello dell’assicurato, poiché, come si è detto, è l’espressione sopra richiamata ad integrare, nella valutazione del giudice di merito, il fatto di diffamazione.

3. Il secondo motivo deve essere rigettato. Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, l’esimente di cui all’art. 598 c.p. non è applicabile agli esposti inviati al Consiglio dell’Ordine forense (come quello che viene in rilievo nel caso di specie, volto a chiedere l’applicazione di provvedimenti disciplinari nei confronti di (omissis)), in quanto l’autore dell’esposto non è parte nel successivo giudizio disciplinare e l’esimente di cui all’art. 598 c.p. attiene agli scritti difensivi in senso stretto, con esclusione di esposti e denunce (Sez. 5, n. 39486 del 06/07/2018, Ruggieri, Rv. 273888; conf. Sez. 5, n. 8421 del 23/01/2019, Gigli, Rv. 275620, che ha ritenuto applicabile l’esimente, ma nella diversa fattispecie concernente il ricorso in prevenzione presentato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati per contestare alcuni crediti professionali, ipotesi, questa, nella quale il ricorrente era parte, sia pure potenziale, nell’eventuale giudizio di verifica presso il Consiglio dell’Ordine).

4. Il terzo motivo, che denuncia vizi di motivazione, è inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 2-bis.

5. Pertanto, il ricorso, complessivamente valutato, deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, che, alla luce della memoria e nota spese depositate, si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (omissis), che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

Allegati

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