Parte attrice chiede la restituzione della somma di € 48.239,64, corrispondente alla metà di quanto da lui pagato per l’adempimento del mutuo contratto per l’acquisto della casa familiare. Tale importo si compone:
della somma di € 20.000 pagati a titolo di acconto; da € 50.000 pagati una tantum nel 2018; da rate mensili di circa € 600 per complessivi € 26.479.
Ciò posto, in punto di diritto la questione controversa è chiara.
Il (omissis) agisce ai sensi dell’art. 2041 c.c., secondo cui “chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”. Tale norma configura la cd. “azione generale di arricchimento”, che consente a un soggetto che si sia impoverito di ottenere un indennizzo per la locupletazione ottenuta da un altro soggetto, laddove tale locupletazione sia avvenuta senza giusta causa.
Come noto, ciò non è possibile qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o – come prospettato nel caso per cui si procede – dell’adempimento di un’obbligazione naturale. In tema di famiglia di fatto, infatti, non vi è dubbio che le prestazioni rese da un convivente more uxorio nei confronti dell’altro possano integrare l’adempimento di un’obbligazione naturale. Tuttavia, è necessario che tali prestazioni rispettino i limiti di proporzionalità e di adeguatezza (cfr. Cass. 11330/2009).
Al contrario, la natura di obbligazione naturale va esclusa, ed è possibile agire ai sensi dell’art. 2041 c.c., laddove gli esborsi appaiano sproporzionati rispetto ai mezzi di ciascuno dei partner e superino il normale contributo alle spese ordinarie della convivenza (Cass. 1266/2016; così anche così anche Cass. 5086/2022 e Cass. 18632/2015).
Ai fini della presente causa, si tratta quindi esclusivamente di stabilire se i pagamenti effettuati dal (omissis) sino al dicembre 2022 possano considerarsi proporzionati e adeguati rispetto ai suoi redditi, e quindi integrino l’adempimento di un’obbligazione naturale, o se travalichino tali limiti.
Ebbene, ad avviso di questo Giudice, è necessario distinguere tra le tre diverse somme di cui il (omissis) chiede la restituzione.
1) Partendo dalle rate di mutuo, per complessivi € 26.479, deve ritenersi che i pagamenti in questione integrino effettivamente adempimenti di obbligazioni naturali, in quanto effettuati in un contesto familiare e compatibili con i redditi del Gr..
Ciò perché va valorizzato quanto segue:
a. tra le parti sussisteva, per il periodo in questione, un’evidente disparità reddituale; il Gr., infatti, si faceva carico quasi interamente del ménage familiare con il proprio reddito di circa € 2.500 mensili netti (così ricostruito nel decreto del Tribunale di Reggio Emilia 15/12/2022: “- Mod. Unico 2020 (reddito 2019): € 41.277 (reddito complessivo) – € 9.553 (imposta netta) – € 714 (addizionale regionale) – € 265 (addizionale comunale) = € 30.745 ( € 2.562 al mese netti ); – Mod. Unico 2021 (reddito 2020): € 45.288 (reddito complessivo) – € 10.961 (imposta netta) – € 774 (addizionale regionale) – € 286 (addizionale comunale) = € 33.267 ( € 2.772 al mese netti )”), mentre la Ca., con il presumibile consenso del convivente, aveva ridotto e poi lasciato la propria attività lavorativa nel periodo in questione, riprendendo a lavorare nel 2021 e riuscendo a percepire un reddito significativo solo a partire dal 2022 (“La ricorrente, dal 1 luglio di quest’anno, lavora a tempo indeterminato, e le sue ultime buste paga evidenziano un reddito netto mensile in media pari a poco più di € 1.600,00 ( luglio € 1.658, agosto € 1.656, settembre € 1.648, ottobre € 1.728, novembre € 1.720 )”);
b. è chiaro, quindi, che il pagamento integrale delle rate da parte dell’attore era stato pianificato dalle parti in base a un preciso riparto degli oneri della vita familiare, tenendo evidentemente conto della maggiore capacità economica e reddituale del Gr.;
c. i pagamenti del Gr. non sono stati effettuati nell’interesse esclusivo della (omissis), ma avevano lo scopo di consentire alla famiglia (compresa la figlia delle parti) di godere della casa familiare, soddisfacendo un’esigenza primaria (quella abitativa), in maniera per molti versi analoga al pagamento di un canone di locazione;
d. come evidenziato dalla (omissis), le tempistiche e gli importi dei pagamenti rateali appaiono sicuramente compatibili con i redditi del (omissis), trattandosi di rate mensili di circa € 600 a fronte di un reddito netto di € 2.500 (rispetto al quale non sono state provate particolari uscite mensili)
e. del resto, è proprio l’attore a riferire di come nel 2018 le parti si fossero attivate per evitare che l’importo mensile della rata salisse a € 900, in modo che la stessa continuasse ad essere compatibile con i redditi familiari (vale a dire i suoi).
2) Anche la domanda di restituzione avente a oggetto la somma di € 50.000 va rigettata.
Va premesso che la somma in questione è stata pacificamente versata alla banca una tantum con denaro trasferito dai genitori del (omissis) sul conto corrente cointestato tra le parti.
Le parti controvertono sulla natura di tale trasferimento: secondo l’attore si sarebbe trattato di un mutuo; secondo la convenuta di una liberalità.
A ben vedere, però, il tema è irrilevante. Anche a voler seguire la ricostruzione del (omissis), infatti, la domanda restitutoria non potrebbe comunque essere accolta, dal momento che, laddove le somme fossero state davvero mutuate dai genitori dell’attore agli ex conviventi, le stesse sarebbero divenute di proprietà di entrambi, e la parziale estinzione del mutuo non sarebbe imputabile al solo attore.
A tal fine, si veda il doc. 15 prodotto dal (omissis) che consiste in una richiesta di restituzione delle somme, rivolta dai genitori dell’attore a entrambe le odierne parti. Tralasciando per un momento la scarsa valenza probatoria del documento (che proviene da prossimi congiunti dell’attore), bisogna comunque osservare che in tale missiva i genitori del (omissis) dichiarano di aver prestato l’importo di € 50.000 (pacificamente utilizzato per pagare il mutuo) a entrambi gli ex conviventi, sicché l’attore non può chiederne la restituzione alla (omissis), dal momento che – se la ricostruzione in questione fosse fondata – si tratterebbe di somma mutuata anche alla convenuta, versata sul conto corrente comune ed entrata anche nella disponibilità di quest’ultima.
Non sussistono, quindi, i presupposti di cui all’art. 2041 c.c.
3) La domanda di restituzione del 50% della somma di € 20.000 pagata dal (omissis) a titolo di acconto può, invece, essere accolta.
Bisogna evidenziare che le parti non hanno dedotto o dimostrato nulla circa le rispettive disponibilità economiche e, soprattutto, patrimoniali all’epoca dell’esborso in questione. Non vi è, pertanto, modo di stabilire se l’elargizione una tantum di una simile somma da parte dell’attore abbia rappresentato un pagamento proporzionato e compatibile con le proprie possibilità economiche, o se invece si sia tradotto in un esborso eccessivo e ingiustificato anche rispetto alle condizioni della (omissis).
La valutazione è evidentemente diversa rispetto a quella effettuata per le rate del mutuo: se, infatti, può ritenersi che il pagamento di una somma mensile di € 600 da parte del (omissis) costituisse un impegno economico assunto compatibilmente con la propria capacità reddituale e pianificando, nell’ambito dell’economia familiare, un’estinzione graduale e progressiva del debito, lo stesso non può dirsi per un’elargizione di € 20.000, che rappresenta un esborso significativo, immediato, e senz’altro gravoso per un soggetto che percepiva entrate non elevatissime.
In assenza di maggiori elementi, quindi, deve ritenersi che tale pagamento abbia ecceduto i limiti dell’obbligazione naturale, con diritto del (omissis) a vedersi restituita la metà della somma.
In conclusione, quindi, la (omissis) deve essere condannata al pagamento del solo importo di € 10.000 (corrispondente alla metà della somma in questione).
La domanda è accolta solo in parte.
Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo seguendo i parametri minimi del DM 55/2014, vista l’assenza di questioni di particolare complessità, tenuto conto del valore del decisum.
– condanna la convenuta al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in € 1,700 per onorari, più spese generali, IVA e CPA come per legge.
Reggio Emilia, il 18/07/2024
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 18 LUG. 2024.
