Massima

La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. per patologie da esposizione a rischio non è esclusa dalla concausa colposa del lavoratore (come il fumo), ma comporta una proporzionale riduzione del risarcimento ex art. 1227 c.c.

Supporto alla lettura

SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO

La sicurezza sul lavoro è quell’insieme di misure, provvedimenti e soluzioni adottate al fine di rendere più sicuri i luoghi di lavoro, per evitare che i lavoratori possano infortunarsi durante lo svolgimento delle loro mansioni.

Si tratta di una condizione organizzativa necessaria ed imprescindibile di cui ogni azienda deve essere in possesso per eliminare o quantomeno ridurre i rischi e i pericoli per la salute dei lavoratori.

Attualmente la normativa di riferimento in materia è costuita dal D. L.gs. 81/2008, il quale prevede, tra le principali misure generali di tutela:

  • la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;
  • l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo;
  • il rispetto dei prinicipi ergonomici;
  • la riduzione del rischio alla fonte;
  • la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
  • l’utilizzo limitato di agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;
  • i controlli sanitari periodici dei lavoratori;
  • l’informazione e formazione in materia di sicurezza per i lavoratori;
  • le istruzioni adeguate ai lavoratori;
  • la programmazione di misure per garantire il miglioramento nel tempo;
  • la gestione delle emergenze;
  • la regolare manutenzione di ambienti, impianti, attrezzature e dispositivi di sicurezza.

L’obbligo di rispettare la normativa inerente alla sicurezza sul lavoro è stabilito nei confronti di ogni lavoratore, ovvero di coloro che rientrano nella definizione contenuta nell’art. 2, lett a) del D. Lgs. 81/2008, i quali svolgono un’attività lavorativa nell’ambito di un’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche solo al fine di apprendimento, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Inoltre sono equiparati ai lavoratori anche:

  • il socio lavoratore di cooperativa o di società;
  • l’associato di paretcipazione;
  • l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ecc…

Il datore di lavoro è la figura principale garante e responsabile della tutela della salute e sicurezza nella propria azienda, infatti egli deve ottemperare a quanto stabilito dalla normativa vigente per garantire la corretta applicazione delle misure atte alla riduzione o alla cancellazione di qualsiasi rischio cui sono esposti i lavoratori:

  • la valutazione dei rischi e la stesura del relativo documento (DVR);
  • il dovere di offrire un ambiente lavorativo sicuro;
  • informare e formare i lavoratori sui rischi presenti in loco;
  • vigilare e verificare il rispetto delle norme antinfortunistiche da parte dei dipendenti;
  • l’adozione di idonee misure di prevenzione e protezione, tra cui i dispositivi di protezione individuale.

Oltre alla figura del datore di lavoro, ci sono anche altri soggetti che hanno un ruolo nella gestione della sicurezza sul lavoro, in particolare: il dirigente per la sicurezza; il preposto per la sicurezza; il responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP); l’addetto al servizio prevenzione e protezione (ASPP); il medico competente; il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS); il lavoratore, quest’ultimo in particolare è anche soggetto attivo che deve essere consapevole delle condizioni del proprio ambiente lavorativo e deve partecipare alla valutazione dei rischi attraverso il rappresentante dei lavoratori (RLS).

I controlli e la supervisione vengono effettuati da diverse entità, sia a livello governativo che aziendale, per esempio l’ispettorato del lavoro e l’azienda sanitaria locale competente per territorio.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

1. la Corte d’Appello di Lecce – sez. dist. di Taranto, in accoglimento dell’appello degli eredi di (omissis), in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, ha condannato (omissis) al pagamento in loro favore di somma a titolo di risarcimento dei danni in loro favore patiti in conseguenza del decesso del congiunto il (omissis) in corso di causa per neoplasia polmonare;

2. il risarcimento (pari a complessivi Euro 464.625,71 a titolo di danno differenziale iure hereditatis, in luogo della somma di Euro 175.891,72 riconosciuta dal Tribunale) è stato riconosciuto per l’accertata responsabilità della datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., nell’insorgenza della patologia tumorale che ha cagionato il decesso del dante causa, che aveva lavorato dal 1970 al 1995 presso lo stabilimento siderurgico di (omissis), con mansioni che avevano comportato esposizione a sostanze nocive sul luogo di lavoro; la prova dei fatti costitutivi della responsabilità risarcitoria veniva desunta da CTU medico-legale dalle prove raccolte in primo grado;

3. in particolare, la Corte di merito ha respinto l’appello della società circa il difetto di legittimazione passiva (rectius: di titolarità del debito) e sulla sussistenza del nesso di causalità tra l’attività lavorativa e la patologia; ha accolto l’appello degli eredi relativamente alla quantificazione in 1/2 del danno biologico complessivo (stante la concausalità, nella misura del 50%, di cause extra-lavorative nell’eziopatogenesi, come riconosciuto dal CTU);

4. per la cassazione della sentenza propone ricorso la società, con 6 motivi, illustrati da memoria, cui resistono con controricorso gli eredi del lavoratore; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

Diritto

1. preliminarmente deve darsi atto, come eccepito da parte ricorrente, della tardività del controricorso (circostanza potenzialmente rilevante ai fini della regolazione delle spese del giudizio di legittimità), atteso che il ricorso per cassazione risulta notificato a mezzo PEC in data 31.3.2023, mentre il controricorso risulta depositato in data 23.5.2023, quindi oltre il termine di 40 giorni dalla notifica del ricorso;

2. con il primo motivo di doglianza, la società ricorrente deduce violazione a falsa applicazione degli artt. 2697 e 2504-decies c.c., 106 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per il mancato accoglimento dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva di (omissis);

3. con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., in riferimento al ritenuto nesso di causa tra la patologia tumorale e l’attività lavorativa;

4. con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2043, 2087 e 2112 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per non avere la Corte di merito considerato che (omissis) poteva ritenersi responsabile ex art. 2087 c.c. solo per il periodo 1989-1993, in virtù della propria carenza di legittimazione passiva;

5. con il quarto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059, 1223 e 1226 c.c. per errata applicazione delle tabelle di Milano all’atto della liquidazione del danno non patrimoniale;

6. con il quinto motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 1227, comma 1, c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per mancata considerazione dell’efficienza causale del fatto colposo (abitudine al fumo di sigaretta) del soggetto leso, con conseguenze sulla determinazione dell’entità del risarcimento, con riferimento alle risultanze della CTU, la quale aveva attribuito efficacia causale anche a fattori non lavorativi nella misura di 2/3;

7. con il sesto motivo, deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di merito quantificato il danno da risarcire in un importo assai superiore rispetto a quello richiesto dagli eredi;

8. il primo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente per connessione in quanto concernenti la titolarità del debito risarcitorio, non sono fondati;

9. osserva la Corte che, in materia, opera il meccanismo di responsabilità solidale stabilito dall’art. 2112 c.c.; infatti, le vicende comportanti una continuità aziendale e la conseguente continuità del rapporto di lavoro costituiscono la base della garanzia della salvaguardia della posizione del lavoratore rispetto all’obbligo di sicurezza del datore di lavoro, obbligo che ne determina la responsabilità risarcitoria al verificarsi dell’evento dannoso derivante dalla sua violazione; ciò sulla base del principio generale, chiarito già con riguardo al testo originario dell’art. 2112 c.c. (cfr. Cass. n. 14081/2000) secondo cui la responsabilità solidale di cessionario dell’azienda e cedente, per i crediti dei prestatori di lavoro sussistenti alla data del trasferimento dell’azienda (rispetto alle conseguenze derivanti dalla violazione del dovere di prevenzione o obbligo di sicurezza in corso di rapporto di lavoro) riguarda tanto i crediti dei dipendenti menzionati nei libri contabili dell’azienda trasferita quanto quelli rispetto ai quali risulti che il cessionario, al momento del trasferimento, fosse a conoscenza del loro mancato soddisfacimento, conoscenza accertabile anche sulla base di elementi presuntivi, quali circostanze di fatto che implichino un’agevole conoscibilità, da parte del cessionario, delle situazioni di fatto e di diritto in cui versava il datore di lavoro cedente;

10. quanto all’interpretazione degli atti negoziali rilevanti ai fini della titolarità societaria operata dai giudici del merito, questa è a essi riservata, e rimane incensurabile in sede di legittimità ove rispettosa dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e sorretta da motivazione immune da vizi; né la censura di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, al pari di quella per vizio di motivazione, può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione, seppure plausibile; per il principio di autonomia del ricorso per cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, si deve escludere l’ammissibilità di una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di legittimità (v. Cass. n. 18214/2024, n. 33425/2022, n. 27702/2020, n. 39643/2019, n. 16368/2014, n. 24539/2009, n. 10131/2006);

11. il secondo motivo non è fondato;

12. la pronuncia impugnata è conforme alla giurisprudenza di legittimità che, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, applica la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni (v. Cass. n. 13954/2014, n. 38123/2021, n. 15852/2024);

13. è altresì conforme al principio secondo cui, nell’ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può essere data anche in termini di probabilità sulla base della particolarità della fattispecie; è, tuttavia, necessario acquisire il dato della cd. probabilità qualificata, da verificarsi attraverso ulteriori elementi, come ad esempio i dati epidemiologici, idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale (cfr. Cass. n. 13814/2017, n. 9634/2004);

14. la sentenza impugnata ha accertato, sulla base della CTU il nesso causale tra esposizione del lavoratore ad amianto sul luogo di lavoro nel periodo considerato e patologia tumorale contratta; ha riconosciuto rilevanza concausale al tabagismo, ma non tale da interrompere il nesso (con)causale dell’esposizione sul luogo di lavoro a sostanze nocive della patologia tumorale a origine multifattoriale per cui è causa, ma piuttosto sinergico;

15. neppure è fondato il quarto motivo;

16. per ottenere uniformità di trattamento a livello nazionale, si reputa comunemente necessario fare riferimento ai criteri di liquidazione adottati dal Tribunale di Milano, per l’ampia diffusione sul territorio, appunto, nazionale e per il riconoscimento attribuito dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua, in linea generale e in applicazione dell’art. 3 Cost., del parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico a norma degli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono (cfr. Cass. n. 12408/2011, n. 27562/2017, n. 3684/2022; v. anche Cass. n. 9950/2017); a tali tabelle si è conformata la Corte di merito, dandone adeguata motivazione;

17. il quinto motivo è, invece, fondato per quanto di ragione;

18. la Corte di merito ha sovrapposto i profili della causalità del danno (governata dal principio di equivalenza delle condizioni) e della sua quantificazione (governata dai principi di personalizzazione e di responsabilità);

19. tenuto conto del tabagismo del de cuius come emerso dalla CTU, la sentenza gravata non ha correttamente applicato l’art. 1227 c.c.; questa Corte ha chiarito, infatti, che, in caso di concorso della condotta colposa del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, l’espressione “fatto colposo” adoperata nell’art. 1227, comma 1, c.c., non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive o dettata dalla comune prudenza (Cass. n. 2483/2018, n. 4178/2020); nell’espressione “fatto colposo” rientra il fumo attivo, che costituisce un atto di volizione libero, consapevole e autonomo di soggetto dotato di capacità di agire (Cass. n. 1165/2020); per l’effetto, il risarcimento del danno deve essere proporzionalmente ridotto in ragione dell’entità percentuale dell’efficienza causale del comportamento della vittima (v. Cass. n. 2763/1997, n. 23426/2014, n. 4208/2017, n. 10220/2017); l’art. 1227, comma 1, c.c. è applicabile in relazione sia al danno iure proprio, sia al danno iure hereditatis (v. Cass. n. 9349/2017);

20. il sesto motivo non è fondato, risultando dagli atti che l’originario ricorrente (al quale sono subentrati gli eredi per il decesso in corso di causa) aveva concluso per il risarcimento del danno in misura determinata “maggiore o minore” di giustizia;

21. la sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto (il quinto), rigettati gli altri, con rinvio alla Corte d’Appello indicata in dispositivo, che rideterminerà il danno con applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c., e provvederà sulle spese di lite, incluse quelle del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 18 settembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2024.

Allegati

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