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Cassazione civile sez. III, 07/01/2025, n.190

Massima

Quando una persona sostiene le spese di ristrutturazione di un mausoleo cimiteriale in seguito all’acquisto del diritto al sepolcro tramite una compravendita affetta da nullità, il venditore può essere citato in giudizio con l’azione di arricchimento senza causa ed essere condannato a indennizzare la diminuzione patrimoniale subita da chi ha sopportato il costo della ristrutturazione, nei limiti dell’aumento di valore del manufatto ristrutturato.

Supporto alla lettura

AZIONE GENERALE DI ARRICCHIMENTO

L’ art. 2041 c.c. disciplina la c.d. azione di arricchimento senza causa, disponendo che:

‘Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale.
Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda’

L’ azione di indebito arricchimento si concretizza in:

– un rimedio di carattere restitutorio, volto principalmente ad eliminare uno squilibrio che si sia determinato, in favore di un soggetto e a sfavore di altro, in assenza di una cd “giusta causa”;

– un rimedio di carattere sussidiario in quanto non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTI DI CAUSA
1. (omissis) conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Cassino (omissis) e (omissis), chiedendo che “previa declaratoria di nullità della scrittura privata del 30.11.2005 e previa determinazione e valutazione dell’indebito arricchimento senza causa tratto dai germani (omissis), gli stessi fossero condannati in solido ex art. 2041 cod. civ. a corrispondere l’indennizzo, pro quota, dovuto per le spese sopportate dall’istante per la completa ristrutturazione del sepolcro di famiglia che si quantificano nella misura di € 25.000,00, oltre al risarcimento dei danni anche morali o per qualsivoglia titolo, subiti per l’illecito, ingannevole ed inammissibile dei convenuti, i quali, approfittando della buona fede dell’istante, la inducevano a sopportare spese ed oneri, nella convinzione di operare quale unica titolare dei diritti sull’edicola cimiteriale della famiglia (omissis) “.

1.1. A fondamento delle proprie domande l’attrice allegava in causa:

che, dopo che era rimasta vedova del marito (omissis), gli altri fratelli (omissis) l’avevano indotta ad acquisire gratuitamente i diritti di proprietà e di uso spettanti su una edicola nel comune di (omissis), a suo tempo oggetto di concessione ai loro genitori;

che la cessione dei diritti era stata formalizzata con scrittura privata;

che, successivamente, essa esponente aveva eseguito urgenti lavori di risanamento dell’edicola;

che, tuttavia, ad opera pressoché completata, i germani (omissis) negavano di averle ceduto i diritti sull’edicola, affermavano di non aver mai autorizzato modifiche strutturali della tomba ed infine rivendicavano di esserne i proprietari quali eredi dei genitori (omissis);

che, pertanto, essa esponente seppelliva altrove la salma del marito e, dopo aver inviato una diffida rimasta senza riscontro, agiva giudizialmente per il rimborso della spesa sostenuta.

Si costituivano, resistendo, i convenuti, i quali, pur anch’essi invocando la nullità della scrittura privata di cessione dei diritti sull’edicola funeraria, chiedevano il rigetto della domanda attorea.

2. Il Tribunale di Cassino, previa declaratoria di nullità della scrittura privata di cessione, accoglieva la domanda attorea e condannava i convenuti al pagamento pro quota dell’importo di

€ 25.000,00 a titolo di ingiustificato arricchimento.

3. Avverso tale sentenza proponevano appello i soli (omissis) ., deducendo, come primo motivo, l’“insussistenza dei presupposti legittimanti l’azione d’ingiustificato arricchimento ex adverso proposta”, per mancanza della residualità, atteso che – a tenore dell’appello – la pretesa attorea nasceva dal prospettato illecito aquiliano degli allora convenuti, ai quali l’attrice (omissis) imputava di averla indotta con l’inganno a sostenere la spesa per la manutenzione dell’edicola, e contro i quali avrebbe dunque potuto agire ai sensi e per gli effetti dell’art. 2043 cod. civ.

Deducevano inoltre, come secondo motivo, la censura “Circa la misura dell’arricchimento e l’imputazione delle somme, difetto di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e 2041 cod. civ.”, con cui lamentavano che il Tribunale aveva disposto il rimborso dell’intera spesa, senza tuttavia detrarre la quota di spettanza della (omissis), nella sua qualità di comproprietaria dell’edicola funeraria.

Si costituiva, resistendo al gravame, (omissis).

3.1. Con sentenza n. 1111/2021 del 12 febbraio 2021 la Corte d’Appello di Roma accoglieva il gravame in relazione al primo motivo, dichiarando invece assorbito il secondo, e condannava l’appellata (omissis) alla rifusione delle spese dei due gradi.

4. Avverso tale sentenza (omissis) propone ora ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

(omissis) restano intimati.

5. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1, cod. proc. civ.

Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “Violazione ed erronea mancata applicazione dell’art. 2041 cod. civ., mancata considerazione del giudicato sulla nullità del contratto, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3”.

Lamenta che la corte di merito ha ritenuto inammissibile la proposizione dell’azione di indebito arricchimento sul rilievo che essa ricorrente, in allora appellata, avrebbe avuto a disposizione la azione tipica ex art. 2043 cod. civ. a fronte dell’illecito aquiliano da lei medesima prospettato in atti e “consistito nell’inganno perpetrato ai suoi danni dai convenuti (tra cui gli odierni appellanti) i quali, ponendo in essere una attività truffaldina (la cessione – viziata da nullità – della proprietà del sepolcro gentilizio), avrebbero approfittato della sua buona fede per indurla a sostenere le spese di manutenzione straordinaria presso l’immobile funerario” (così pp. 3 e 4 dell’impugnata sentenza).

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta “Errata e falsa applicazione degli artt. 1100 ss. cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.”.

Censura l’impugnata sentenza là dove, con autonoma ratio decidendi, la Corte d’Appello ha altresì ritenuto che (omissis) “ben avrebbe potuto richiedere il rimborso della spesa anche ai sensi delle regole sulla comunione (art. 1100 e ss. cod. civ.)”.

3. I due motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati.

Giova premettere che questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che “Nel sepolcro ereditario lo “ius sepulchri” si trasmette nei modi ordinari, per atto “inter vivos” o “mortis causa”, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre nel sepolcro gentilizio o familiare – tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio – lo “ius sepulchri” è attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo “iure proprio” sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, “iure sanguinis” e non “iure successionis”, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o “mortis causa”, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di sepolcro si trasforma da familiare in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione “mortis causa”. (v. Cass., n. 12957/2000; Cass., n. 700/2012).

Orbene, la corte di merito ha del tutto trascurato i suindicati principi e, per l’effetto, ha omesso di considerare che la scrittura privata di cessione era stata dichiarata nulla in prime cure sul rilievo della intrasmissibilità inter vivos dei diritti sul sepolcro gentilizio o familiare, per cui l’azione esperita da (omissis) ex art. 2041 cod. civ., lungi dal risultare sussidiaria e recessiva rispetto “alle regole sulla comunione (art. 1100 e ss. cod. civ.)”, genericamente ed erroneamente richiamate nell’impugnata sentenza, risultava invece essere l’unica azione esperibile nel caso di specie, giusto il principio secondo cui “la nullità del contratto elimina il titolo su cui la relativa azione può essere fondata, rendendola non esercitabile” (Cass., 22/3/2012 n. 4620, che richiama, fra le altre, Cass., 24/2/2010 n. 4492).

4. In conclusione, il ricorso va accolto per quanto di ragione e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, per nuovo esame, in applicazione dei sopra indicati principi.

5. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso.Cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione l’8 novembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 2025.

Allegati

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