In particolare, il ricorrente aveva esposto: a) di avere denunciato in sede penale di essere stato vittima di riduzione in schiavitù e grave sfruttamento lavorativo, insieme ad altri connazionali, e di essersi costituito parte civile nel procedimento penale n. 3685/2011 r.g.n.r. e n. 2/2015 R.G. Assise, scaturito dalla sua denuncia, pendente innanzi alla Corte di Assise di Lecce, deponendo anche come testimone nel luglio 2021; b) che, in ragione di ciò, gli era stato rilasciato un permesso di soggiorno, prima, per motivi umanitari e poi, pendente il procedimento penale, per motivi di grave sfruttamento lavorativo, ma, con preavviso ex art. 10 bis l. 241/90 del 17/8/2021, notificato il 7/9/2021, la Questura gli aveva comunicato che il medesimo non possedeva i requisiti per il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro e poi aveva respinto la richiesta, ritenendola elusiva della normativa sull’immigrazione. Il Tribunale, dato atto che, prima della formalizzazione della denuncia (nel 2011), il ricorrente era stato condannato (con condanna divenuta irrevocabile il 2/5/2009) per il reato di cui all’art. 14, comma 5 bis, T.U.I. per violazione dell’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale, per fatti accertati nel marzo 2009, e richiamato il precedente di questa Corte n. 7845/2019 (secondo cui, in sede giurisdizionale di verifica dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui all’art. 22, comma 12 quater, del D.Lgs. n. 286 del 1998, il giudice, investito del ricorso avverso il diniego di tale permesso di soggiorno, deve verificare non solo l’avvenuta presentazione della denuncia ed il suo contenuto, ma “anche esaminare il comportamento del denunciante coevo e successivo ad essa, al fine di verificare l’effettiva e concreta volontà cooperativa dello straniero con gli inquirenti, che potrà essere riscontrata, già prima del dibattimento penale, o in mancanza dello stesso, attraverso la verifica di eventuali ritrattazioni o di altre condotte contrarie alla volontà di mantenere fermo il contenuto della denuncia”), ha ritenuto che il ricorrente non avesse provato la sua cooperazione attiva e proficua nelle indagini a carico del datore di lavoro, essendosi limitato a denunciare i fatti in data 2/11/2011, a costituirsi parte civile nel procedimento penale ed a deporre come testimone del procedimento penale a carico del datore di lavoro nel corso dell’udienza dell’1/7/2021; inoltre, non risultavano prodotti né la proposta né il parere favorevole del Procuratore della Repubblica in relazione alla sussistenza dei presupposti del citato art. 22 comma 12 quater.
Avverso la suddetta pronuncia comunicata il 17/10/2023, Gu.Wa. propone ricorso per cassazione, notificato 16/11/2023, affidato a un motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge difese).
Deduce poi il ricorrente che “non è dato di comprendere (né il Tribunale lo chiarisce) cosa altro avrebbe potuto fare per cooperare nel procedimento penale al fine di ottenere il rinnovo del suo permesso di soggiorno”, essendosi il ricorrente costituitosi parte civile nel procedimento penale a carico del datore di lavoro ed avendo come testimone confermato il contenuto della sua denuncia, e che “già in sede di indagini preliminari (quindi ancor prima che lo stesso si costituisse parte civile e, a fortori, che rendesse testimonianza), il Procuratore aveva rilasciato parere favorevole al permesso di soggiorno ex art. 22 t.u. imm.; parere non soggetto a scadenza di validità e mai revocato per condotta incompatibile del beneficiario”.
2. La censura è inammissibile.
2.1. Questa Corte ha di recente affermato (sentenza Cass. 3393/2023) che “in tema di protezione complementare, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, concesso in favore del cittadino straniero vittima di particolare sfruttamento lavorativo, ai sensi dall’art. 22, comma 12 – quater, del D.Lgs. n. 286 del 1998, è ancorato ai presupposti – da ritenersi alternativi e non cumulativi -della presentazione della denuncia o della collaborazione processuale, in quanto solo questa interpretazione corrisponde alla “ratio” della norma, finalizzata ad assicurare un regime protettivo dello straniero vittima di tale forma di sfruttamento”.
In motivazione si è richiamata la disciplina dettata dall’art. 22 D.Lgs. 286/1998, nei termini che seguono: a) l’art. 22, comma 12 quater D.Lgs. 286/1998, inserito dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 16.7.2012, n. 109, nel testo vigente ratione temporis applicabile in quel giudizio (ossia anteriore alla modifica disposta dal d.l. 4.10.2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1.12.2018, n. 132), prevede: “Nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12 – bis, è rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5, comma 6”; b) il richiamato art.12 bis, lettera c), fa riferimento al fatto che i lavoratori occupati siano sottoposti alle condizioni lavorative di particolare sfruttamento di cui al terzo comma dell’articolo 603 – bis del codice penale, e cioè – la reiterata corresponsione di retribuzioni palesemente difforme da quelle previste dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, – la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, – la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti; c) il titolo di cui si tratta, dunque, è una speciale forma di permesso di soggiorno per motivi umanitari, introdotta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 109/2012, emanato in attuazione della direttiva europea n. 52/2009, e concesso in favore del cittadino straniero che, trovandosi in una situazione di particolare sfruttamento lavorativo, abbia presentato denuncia contro il proprio datore di lavoro e cooperi nel procedimento penale instaurato a suo carico; d) lo sfruttamento sussiste in presenza di “condizioni lavorative, incluse quelle risultanti da discriminazione di genere e di altro tipo, in cui vi è una palese sproporzione rispetto alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide, ad esempio, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana” (art. 2, lett. i), direttiva n. 52 cit.), e la situazione giuridica soggettiva dello straniero che domandi il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali, non degradabile ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo (Cass., sez. un., n. 5059/2017); d) il comma 12 quater, nella formulazione vigente ratione temporis applicabile in quel giudizio (ante d.l. n. 113/2018), prevedeva che venisse rilasciato un permesso di soggiorno “ai sensi dell’art. 5, comma 6”, sicché tra le due norme sussisteva un rapporto di specie a genere, essendo la condizione di sfruttamento lavorativo uno dei possibili “motivi umanitari”, benché si aggiungeva l’ulteriore requisito della denuncia e della cooperazione nel procedimento penale, rispondente alla finalità anche premiale di tale misura (Cass. n. 10291/2018); e) secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’opposizione avverso il provvedimento del questore di diniego del permesso di soggiorno in favore del cittadino straniero vittima di sfruttamento lavorativo, previsto dal citato art. 22, comma 12 – quater del D.Lgs. n. 286 del 1998, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, al quale è devoluta la piena cognizione in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti, atteso che il parere espresso dal procuratore della Repubblica, cui è condizionato il rilascio del permesso da parte del Questore, costituisce esercizio di discrezionalità tecnica ed esaurisce la propria rilevanza all’interno del procedimento amministrativo, non vincolando l’autorità giurisdizionale (Cass. Sez. Unite, n. 30757/2018 e n. 32044/2018; Cass. n. 10291/2018); f) è stato chiarito che il parere positivo della Procura della Repubblica non costituisce un presupposto necessario e vincolante, nel senso che il giudice, in regime di cognizione piena, può accertare il presupposto per il rilascio del permesso in questione, che è la presentazione della denuncia e la collaborazione nel processo instaurato contro il datore di lavoro autore dello sfruttamento.
Si è quindi precisato che: “i due suindicati requisiti, ossia la presentazione della denuncia e la collaborazione processuale, sono alternativi, e non cumulativi, e ciò in base all’interpretazione logica delle disposizioni in esame, nonché conforme alla sua ratio, finalizzata ad assicurare un regime protettivo allo straniero vittima di sfruttamento lavorativo, in quanto tale soggetto di particolare vulnerabilità”, in quanto, per un verso, la presentazione della denuncia costituisce già di per sé una forma, anche assai significativa e rischiosa, di collaborazione e, per altro verso, la presentazione della denuncia da parte di un altro soggetto produrrebbe paradossalmente l’effetto di privare lo straniero dei benefici di una sua successiva e positiva collaborazione alle indagini (cfr. in tal senso Cass. n. 18288/2022), sicché solo l’interpretazione della norma nel senso dell’alternatività dei citati requisiti consente di evitare conseguenze contrarie alla sua ratio.
Si è aggiunto, in detta pronuncia, infine, che in un contesto di sfruttamento lavorativo, potranno trovare applicazione, nella ricorrenza dei presupposti di legge, gli artt. 18 del T.U.I. e 27 del D.P.R. 394/99, ai sensi dei quali il permesso di soggiorno può essere rilasciato dal questore anche su proposta dei servizi sociali degli enti locali, o dalle associazioni, enti e altri organismi iscritti nella seconda sezione del registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati.
Si tratta dell’istituto della “protezione sociale”, volto a consentire alle persone straniere vittime di situazioni di grave sfruttamento riconducibili a determinate fattispecie di reato (art. 600 e 601 cod. pen.) di ottenere uno speciale permesso di soggiorno e di accedere a specifici programmi di protezione e assistenza. Il permesso di soggiorno previsto dall’art. 18 D.Lgs. 286/98 può essere rilasciato non soltanto in seguito alla denuncia della vittima, ma anche in quei casi in cui quest’ultima non possa o non voglia rivolgersi all’Autorità Giudiziaria. In forza dell’art. 18 D.Lgs. 286/1998, in combinato disposto con l’art. 27 del regolamento di attuazione del Testo Unico Immigrazione, il permesso di soggiorno può essere rilasciato tanto nel caso in cui sia stato avviato un procedimento penale relativamente ai fatti di violenza o grave sfruttamento, in seguito alla denuncia della vittima (c.d. percorso giudiziario), quanto nel caso in cui la persona non denunci ma aderisca ad un programma di assistenza e integrazione sociale, affidandosi ad un ente specificamente preposto all’assistenza delle vittime di grave sfruttamento, che può essere un ente locale o un associazione o organismo privato purché iscritto alla seconda sezione del registro delle associazioni, enti e che svolgono attività a favore.
Il ricorso è stato deciso, nel precedente richiamato, con l’affermazione del seguente principio di diritto: “”In tema di protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, anteriore all’entrata in vigore del d.l. 4.10.2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1.12.2018, n. 132, ove sia allegata e documentata una situazione di sfruttamento lavorativo di cui sia stato vittima il cittadino straniero, il giudice del merito, con piena cognizione, è tenuto ad accertare la sussistenza o meno dei presupposti stabiliti dall’art. 18 D.Lgs. 286/1998, in combinato disposto con l’articolo 27 del Regolamento di attuazione del Testo unico Immigrazione, nonché di quelli previsti dall’art. 22, comma 12 quater D.Lgs. 286/1998, inserito dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 16.7.2012, n. 109, nel testo vigente “ratione temporis” applicabile nella specie, alla luce delle acquisizioni istruttorie fornite dalla parte, inclusi gli accertamenti eseguiti in sede penale, in particolare, quanto al regime protettivo dettato dal comma 12 quater cit., dovendosi richiedere, oltre alla condizione di particolare sfruttamento lavorativo, solo in via alternativa, e non cumulativa, la denuncia del cittadino straniero e la sua cooperazione nel procedimento penale a carico del datore di lavoro”.
La fattispecie in esame in quel giudizio riguardava, tuttavia, una domanda di primo rilascio del permesso speciale ex art. 22 o ex art. 18 T.U.I
2.2. Il comma 12 quater dell’art. 22 in esame è stato modificato dall’art. 1 comma 1 lett.i) del d.l. 113/2018, convertito con modificazioni nella legge n. 132/2018, con la soppressione del riferimento al permesso di soggiorno “ai sensi dell’art.5 comma 6” ed è stato aggiunto il comma 12 sexies.
Il testo in vigore al dicembre 2021, che interessa il presente giudizio, recita: “12 – quater. Nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12 – bis, è rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno. 12 – quinquies. Il permesso di soggiorno di cui al comma 12-quater ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale. Il permesso di soggiorno è revocato in caso di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalata dal procuratore della Repubblica o accertata dal questore, ovvero qualora vengano meno le condizioni che ne hanno giustificato il rilascio 12 – sexies. Il permesso di soggiorno di cui ai commi 12 – quater e 12 – quinquies reca la dicitura “casi speciali”, consente lo svolgimento di attività lavorativa e può essere convertito, alla scadenza, in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo”.
2.3. Così sinteticamente ricostruito il quadro normativo di riferimento e l’orientamento di questa Corte sul tema, nel caso di specie il Tribunale, pur dando atto che il ricorrente aveva documentato la presentazione di un esposto-denuncia, ne ha escluso la rilevanza, in difetto di prova della sua cooperazione attiva e proficua nelle indagini a carico del datore di lavoro e del parere del Pubblico Ministero.
Per contro, il ricorrente, con sufficiente specificità, afferma di avere prodotto la denuncia-querela, presentata unitamente ad altri lavoratori nell’ottobre 2011 (per i delitti di riduzione in schiavitù, associazione per delinquere, favoreggiamento della permanenza clandestina), accompagnata dalla costituzione di parte civile, nel processo penale, e di avere ivi deposto come testimone, nel luglio 2021, confermando il contenuto della denuncia presentata, nel processo “a carico degli sfruttatori, tanto che il procedimento innanzi alla Corte d’Assise di Lecce si è definito in primo grado con la condanna di questi ultimi”. E deduce che il Pubblico Ministero aveva rilasciato originariamente parere favorevole al permesso di soggiorno ex art. 22 T.U.I.
Nella specie, risulta dagli atti e dal ricorso, che veniva presentata una istanza (oggetto del presente giudizio) di “permesso di soggiorno per lavoro autonomo” nel giugno 2021: nel preavviso di rigetto, notificato al richiedente, la Questura di Lecce comunicava, tuttavia, l’esistenza di vari motivi ostativi (mancato rinnovo del pregresso titolo di soggiorno, scaduto il 31/12/2016, mancata allegazione di attività di lavoro o documentazione afferente la produzione di reddito, all.to 6 atti fascicolo primo grado). Quindi, con nota difensiva del 10/9/2021, il Gueye insisteva nella richiesta di “rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o per altri motivi”, dando atto che il Procuratore della Repubblica aveva, a suo tempo, espresso parere favorevole al rilascio di un permesso ex art.22 TUI, in quanto vittima di riduzione in schiavitù e grave sfruttamento lavorativo (all.to 7 atti fascicolo primo grado) e che egli era titolare di una licenza di vendita.
Ma la Questura (all.to 8 atti fascicolo primo grado) notificava, il 7/10/2021, il rifiuto del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, stante il grave ritardo nella presentazione dell’istanza di rinnovo del titolo di soggiorno (originariamente già concesso “ai sensi dell’art.22 T.U.I. poi convertito in permesso di lavoro” e scaduto), non essendovi tracce della presenza dello straniero in Italia dal gennaio 2017 all’ottobre 2020, non risultando legami familiari sul territorio italiano, e stante la mancata produzione di idonea documentazione reddituale.
Risulta quindi che il ricorrente fosse già titolare di un permesso “per particolare sfruttamento lavorativo” (ai sensi dell’art. 22 T.U.I., avendo lo straniero presentato denuncia penale), della durata di sei mesi e rinnovabile per un anno o per maggiore periodo occorrente per la definizione del procedimento penale (art.22 comma 12 quinquies), permesso che consentiva lo svolgimento di attività lavorativa e che poteva essere “convertito alla scadenza in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo” ex art. 22 comma 12 sexies T.U.I., nel testo vigente ratione temporis.
Nella descritta e documentata situazione, alla stregua del regime protettivo a tutela dello straniero vittima di sfruttamento lavorativo di cui si è detto, si deve rilevare che si discute comunque di un rinnovo del permesso speciale ex art.22, non di un primo rilascio, rinnovo di un permesso già concesso a suo tempo (a fronte della denuncia penale presentata e del parere favorevole del Pubblico Ministero) e sin scaduto dal dicembre 2016, ovvero di un permesso per motivi di lavoro.
Nel caso di specie, quindi, non si dovevano esaminare i presupposti richiesti in fase di primo rilascio (denuncia e cooperazione, sia pure intesi come requisiti alternativi e non cumulativi, secondo quanto chiarito da Cass. 3393/2023), ma i presupposti per il suo eventuale rinnovo o per il rilascio di un permesso per motivi di lavoro (vale a dire per conversione del primo permesso “alla scadenza” dello stesso, mentre nella specie era già scaduto da anni). Al riguardo il Tribunale ha affermato che in ogni caso la documentazione prodotta non era sufficiente e tale statuizione non risulta compiutamente ed efficacemente censurata, in quanto il ricorrente ha incentrato il motivo di ricorso solo sulla sussistenza dei presupposti richiesti in fase di primo rilascio, non di quelli richiesti in sede di rinnovo del permesso speciale ex art.22 T.U.I.
Quindi il ricorso non dà comunque conto dello specifico oggetto del contendere e risulta inammissibile per difetto di specificità.
3. Per quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma il 14 novembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2024.
