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Cassazione penale sez. VI, 18/02/2025, n. 6981

Massima

In materia di mandato di arresto europeo, la Corte di Cassazione può sindacare solo i vizi di legittimità della decisione della Corte d’Appello, escludendo valutazioni nel merito, a meno che la motivazione sia del tutto mancante o incoerente.

Supporto alla lettura

MANDATO ARRESTO EUROPEO

Il mandato d’arresto europeo (“MAE”) è un procedimento giudiziario semplificato di consegna ai fini dell’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà. Un mandato emesso dalle autorità giudiziarie di uno Stato membro è valido in tutto il territorio dell’Unione europea. Il mandato d’arresto europeo è operativo dal 1° gennaio 2004. Esso ha sostituito i lunghi procedimenti di estradizione tra gli Stati dell’UE.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha disposto la consegna all’autorità giudiziaria greca di (omissis) in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso dal Pubblico Ministero presso la Corte di appello di Creta in data 13 maggio 2024, per procedere nei confronti della stessa per i reati di associazione a delinquere, tratta di persone, realizzazione, pubblicizzazione, commercializzazione di gameti ed embrioni.

La Corte di appello ha subordinato la consegna alla condizione che (omissis) sia ristretta, ove necessario, solo presso l’istituto penitenziario Korydallos II.

2. L’avvocato (omissis) , difensore di (omissis), ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento.

Con unico e articolato motivo di ricorso il difensore deduce la violazione dell’art. 18, comma 1, lett. h), della legge n. 22 aprile 2005, n. 69 e degli artt. 2 e 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in relazione al rischio concreto di violazione del diritto fondamentale della persona richiesta in consegna a non subire trattamenti inumani e degradanti in ragione delle condizioni di detenzione nelle carceri greche.

Deduce il difensore che la Corte di appello, dopo aver richiesto all’autorità giudiziaria greca informazioni in ordine alle condizioni di carcerazione della persona richiesta in consegna, avrebbe apoditticamente e, dunque, con motivazione meramente apparente, escluso la violazione dei diritti fondamentali della stessa.

Un approfondito controllo di merito delle informazioni rese dall’autorità giudiziaria greca e un attento esame delle fonti proposte dalla difesa (il Report del Comitato per la prevenzione della tortura del 2 settembre 2022 sulla situazione carceraria in Grecia e la recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza resa nel caso Kargakis (Corte EDU, Sez., I, 14 gennaio 2021, Kargakis contro Grecia), tuttavia, non avrebbero consentito di disporre la consegna della ricorrente.

Presso l’istituto di detenzione di Korydallos II, infatti, vi sarebbe un fenomeno di sovraffollamento, anche in relazione alla popolazione di sesso femminile del penitenziario, non compensata da alcun fattore e idonea a incidere sui minimi livelli di tutela.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato, in quanto il motivo proposto è infondato.2. Con unico motivo il difensore deduce la violazione dell’art. 18, comma 1, lett. h), della legge n. 22 aprile 2005, n. 69, in quanto la sentenza impugnata ha motivato in modo meramente apparente in ordine all’insussistenza del rischio per la persona richiesta in consegna di subire, in caso di trasferimento nella casa di reclusione di Korydallos, trattamenti inumani e degradanti.

3. Il motivo è complessivamente infondato.

3.1. L’art. 18 del D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 ha, infatti, modificato l’art. 22 della legge n. 69 del 2005, consentendo il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla corte di appello sulla richiesta di consegna nella disciplina del mandato di arresto europeo solo “per i motivi, contestualmente enunciati, di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 del codice di procedura penale”.

La formulazione attuale del primo comma dell’art. 22 della legge n. 69 del 2005, pertanto, non solo ha limitato la cognizione Corte di cassazione ai soli vizi di legittimità, escludendo i vizi di motivazione, ma ha anche soppresso il sindacato “anche nel merito” che spettava alla Corte di legittimità nella disciplina previgente (ex plurimis Sez. 6, n. 8299 del 08/03/2022, Gheorge, Rv. 282911-01 Sez. 6, n. 41074 del 10/11/2021, Huzu, Rv. 282260 – 01).

Nella disciplina vigente, dunque, assumono rilevo solo quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.

Le censure proposte dal ricorrente al fine di pervenire ad una diversa valutazione di merito della documentazione acquisita dall’autorità giudiziaria greca e dì quella allegata dal difensore sono, dunque, inammissibili.

3.2. Infondata è, peraltro, la censura relativa al vizio di motivazione apparente.

La Gran Camera della Corte di Giustizia nella sentenza 5 aprile 2016 (C-404/15, Aaranyosi, e C-659/15, Caldararu) ha affermato che l’esecuzione del mandato di arresto europeo non può mai condurre ad un trattamento inumano o degradante.

Il divieto di pene e trattamenti inumani o degradanti di cui all’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, a sua volta corrispondente all’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, rappresenta, infatti, un valore fondamentale dell’Unione europea, avente carattere assoluto, in quanto strettamente connesso al rispetto della dignità umana.

È, pertanto, onere dell’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, che decide in ordine alla consegna, in presenza di rischi concreti di violazione dell’art. 3 CEDU (e 4 CDFUE), valutare se sussista un concreto pericolo che tali trattamenti si verifichino a danno dei soggetti detenuti nello Stato membro emittente.

Tale valutazione dovrà essere condotta sulla base di “elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente e comprovanti la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione”.

La Corte di Giustizia ha, inoltre, precisato che “tali elementi possono risultare in particolare da decisioni giudiziarie internazionali, quali le sentenze della Corte EDU, da decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite”.

3.3. Questa Corte, in adesione alle indicazioni provenienti dalla Corte U.E., ha da tempo stabilito quale sia il controllo che la corte di appello deve effettuare allorquando sia rappresentato dalla persona richiesta in consegna, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati, il serio pericolo di essere sottoposta ad un trattamento inumano e degradante nello Stato di emissione (tra le tante, Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296; Sez. 2, n. 3679 del 24/01/2017, Ilie, Rv. 269211).

Una volta accertata l’esistenza di un generale rischio attuale di trattamento inumano da parte dello Stato membro, attraverso fonti affidabili, deve, infatti, essere verificato se, in concreto, la persona oggetto del mandato di arresto europeo potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano (ex plurimis Sez. 6, n. 10822 del 16/03/2021, Istrate, Rv. 280852 – 01).

Va svolta, quindi, un’indagine mirata ad accertare, attraverso informazioni “individualizzate” che devono essere richieste allo Stato di emissione, quale sarà il trattamento carcerario cui concretamente il consegnando sarà sottoposto con riferimento a quegli aspetti ritenuti dalle fonti affidabili critici, in quanto costituenti situazioni di rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti.

Ove il tenore di dette informazioni escluda siffatto rischio, la Corte di appello deve limitarsi, in conformità al principio del mutuo riconoscimento, a prendere atto delle stesse e procedere alla consegna, senza poter pretendere garanzie di sorta sul rispetto delle condizioni di detenzione (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, in motivazione; Sez. 2, n. 3679 del 24/01/2017, Ilie, Rv. 269211; Sez. 6, n. 52541 del 09/11/2018, Moisa, in motivazione).

Qualora, invece, tale rischio non sia escluso e la Corte di appello debba rifiutare la consegna, la sentenza che decide sulla consegna deve considerarsi emessa “allo stato degli atti”, così da poter essere sottoposta a nuova valutazione, laddove l’ostacolo alla consegna dovesse venir meno (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, in motivazione; Sez. 6, n. 35290, 19/07/2018, Sniadecki, Rv. 273780).

4. Declinando tali consolidati principi nel caso di specie, deve rilevarsi come la Corte di appello ha escluso con motivazione logica e congrua – e, dunque, non puramente apparente- la sussistenza di un concreto rischio di violazione del diritto fondamentale della persona richiesta in consegna a non subire trattamenti inumani e degradanti in ragione delle condizioni di sovraffollamento nei penitenziari greci.

La Corte di appello di Roma, infatti, a fronte delle specifiche censure formulate dalla difesa e della dimostrazione, sulla base del Report del Comitato per la prevenzione della tortura del 2 settembre 2022 e della recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza resa nel caso Kargakis, di un rischio reale di trattamenti inumani e degradanti (Corte EDU, Sez., I, 14 gennaio 2021, Kargakis contro Grecia), ha svolto gli accertamenti individualizzanti richiesti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità.

I giudici di appello, inoltre, muovendo dalle informazioni rese dall’autorità giudiziaria greca, hanno espressamente e dettagliatamente motivato in ordine al rispetto degli standard europei di tutela dei diritti fondamentali presso l’istituto di detenzione di Korydallos II e, in particolare, sui c.d. fattori compensativi del tasso di sovraffollamento, sugli spazi garantiti, sul livello di cure, di pulizia e igiene, di esercizio fisico e di attività ricreativa, sui programmi di reinserimento sociale ed educativi assicurati ai detenuti presenti.

La Corte di appello di Roma ha, peraltro, espressamente subordinato la consegna alla condizione che la ricorrente sia ristretta, ove necessario, solo presso l’istituto penitenziario Korydallos II e, dunque, le doglianze proposte dal difensore, anche in sede di discussione orale, in ordine alle condizioni di detenzione nel penitenziario di Neapolis non sono nel caso di specie rilevanti.

Le ulteriori censure proposte dalla ricorrente, da ultimo, si sono risolte nella mera riproposizione dei principi affermati dalla giurisprudenza europea e interna sulle condizioni atte a escludere la violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti, senza, tuttavia, censurare specifiche violazioni di legge nella valutazione della Corte di appello di Roma.

5. Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria provvederà agli adempimenti prescritti dall’art. 22, comma 5, della legge n. 69 del 2005.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, della legge n. 69 del 2005.Così deciso in Roma il 18 febbraio 2025.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2025.

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