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Cassazione civile sez. II, 07/10/2020, n.21575

Massima

In tema di comunione, il comproprietario che sia nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso e, se già possiede animo proprio e a titolo di comproprietà, è tenuto a estendere tale possesso in temi di esclusività, a tal fine occorrendo che goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune.

Supporto alla lettura

L’usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà mediante il possesso continuativo del bene immobile o mobile per un periodo di tempo determinato dalla legge. L’istituto dell’usucapione, disciplinato dagli articoli 1158 e seguenti del codice civile, configura una delle ipotesi di acquisto di un diritto su beni mobili o immobili a titolo originario. Per il suo compimento infatti, a differenza degli acquisti a titolo derivativo, non necessita della collaborazione o del consenso di chi era in precedenza titolare del diritto usucapito. Per l’usucapione sono necessari i seguenti requisiti:
• La prima è l’“animus possidendi” cioè la a volontà di possedere un bene come si fosse titolari del diritto di proprietà o dell’altro diritto corrispondente.
• La seconda è l’“animus rem sibi habendi” cioè la volontà di tenere un bene esercitando i poteri corrispondenti a quelli del titolare del diritto reale.
• La terza è il “corpus possessionis”. Questo è lo stato di fatto che si configura in modo tale da far apparire il possessore quale titolare del diritto reale corrispondente.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5087, depositata il giorno 5 marzo 2014 riconoscono la possibilità di usucapire l’azienda con il possesso continuato ventennale. Secondo la Suprema Corte l’azienda, ai fini della disciplina del possesso e dell’usucapione, quale complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, deve essere considerata come un bene distinto dai singoli beni che la compongono, e quindi suscettibile di essere unitariamente posseduta e, nel concorso degli altri elementi indicati dalla legge, usucapita. Secondo la Corte, se il possesso si esercita sulla cosa, e se si intende il termine “cosa” in senso economico-sociale, si possono considerare “cose” anche beni non corporei, come i beni immateriali (proprietà intellettuale, ad esempio) o complessi di beni organizzati, come ad esempio l’azienda, definita dal codice civile stesso come complesso organizzato di beni per l’esercizio di una impresa.
La Corte esprime una concezione “oggettivata” dell’azienda che, senza cancellare il suo collegamento organizzativo e finalistico con l’attività d’impresa, assume una propria autonomia di “cosa”, possibile oggetto di rapporti giuridici e di diritti. Occorre a tal fine separare l’azienda intesa come cosa, dall’insieme dei singoli beni e dall’esercizio dell’impresa.
I giudici in tal senso adducono quali esempi tipici di dissociazione tra proprietà dell’azienda intesa come “res” e esercizio dell’impresa il caso della successione mortis causa a favore di soggetti non imprenditori, l’affitto e l’usufrutto di azienda. In tutti questi casi la proprietà della stessa è sganciata dal suo esercizio, in quanto l’azienda è nella disponibilità del proprietario della “cosa” senza che da parte dello stesso vi sia esercizio dell’attività di impresa.

Ambito oggettivo di applicazione

– il presente giudizio trae origine dalla domanda di accertamento dell’intervenuta usucapione della proprietà esclusiva avanzata dal comproprietario C.R. ed avente ad oggetto il terreno identificato come mappale (OMISSIS);

– accolta in primo grado la domanda attorea, proponevano appello i convenuti soccombenti M.I., R.P., T.M.V., C.C. e C.P. e la Corte d’appello di Genova in riforma della sentenza del Tribunale di Massa respingeva la domanda attorea;

– in particolare, la corte territoriale richiamava il principio secondo il quale per l’usucapione della proprietà esclusiva da parte di un comproprietario, non è sufficiente l’esercizio del possesso con atti compiuti uti dominus, ma occorre dimostrare l’esclusione di simili atti ad opera dei comproprietari (Cass. 11903/2015) e in base ad esso affermava che nel caso di specie l’attore non aveva fornito la prova dell’esclusione degli altri comproprietari dalla utilizzazione del terreno oggetto di causa;

– la cassazione della pronuncia d’appello è chiesta da C.R. con ricorso articolato su due motivi ed illustrato da memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., cui resistono con controricorso M.I., R.P. C.C., C.P. e T.M.V.;

– non hanno svolto attività difensiva gli intimati C.P., C.A., V.R., V.N. quali eredi di V.V. ed eredi di G.M.P..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1158 c.p.c. per erronea applicazione dei presupposti necessari per l’usucapione tra comproprietari;

– in particolare, il ricorrente denuncia l’errore in cui sarebbe incorsa la sentenza d’appello per avere individuato nella convenuta M.I. e nel marito R.P. una parte comproprietaria del terreno oggetto di causa, mentre ad avviso di parte ricorrente i comproprietari nei confronti dei quali doveva accertarsi l’utilizzazione esclusiva erano soltanto gli eredi C. mentre la signora M. ed il marito dovevano essere considerati estranei alla comunione ereditaria e citati in giudizio solo perchè venisse riconosciuto anche nei loro confronti l’usucapione come vantata vantata dall’odierno ricorrente;

– la censura è inammissibile perchè la questione della titolarità della posizione soggettiva della M. e del R. configura un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicchè spetta all’attore allegarla e provarla sin dalla domanda originaria, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili da parte del convenuto;

– tuttavia, nella sentenza d’appello non si dà conto di essa nè il ricorrente indica dove l’ha posta prima del ricorso in cassazione;

– ciò contrasta con il generale principio secondo cui il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicchè sono precluse, non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (Cass. 19350/2005; id. 15196/2018) e rendono la censura, come già detto, inammissibile;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. per erronea applicazione dei presupposti relativi all’onere probatorio in materia di usucapione tra comproprietari;

– si censura la sentenza della corte territoriale laddove ha ritenuto necessario ai fini dell’accertamento dell’intervenuta usucapione tra comproprietari che il comproprietario deduca e dimostri l’inequivoca volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo agli altri ogni atto di godimento o di gestione; così statuendo secondo il ricorrente la corte territoriale avrebbe disatteso la più recente giurisprudenza di questa corte (cfr. Cass. Sez. Un. 5087/2014) e disatteso l’esito della istruttoria processuale, nel corso della quale i testimoni esclusi avrebbero confermato la condotta del ricorrente volta ad escludere analogo esercizio di godimento il possesso da parte degli altri comproprietari;

– la censura è inammissibile ex art. 360.bis c.p.c. (cfr. Cass. Sez. Un. 7155/2017);

– è principio consolidato che in tema di comunione, il comproprietario che sia nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso e, se già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, a tal fine occorrendo che goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune (Cass. 23539/2011; id. 24781/2017; id. 10734/2018);

– nel caso di specie è stata fatta corretta applicazione del richiamato e consolidato orientamento giurisprudenziale poichè la corte territoriale ha ritenuto all’esito dell’esame dell’attività istruttoria svolta in causa (escussione di numerosi testi) non dimostrata, in riferimento al tempo della dedotta usucapione, l’esclusività del possesso assumendo l’insufficienza, in conformità con il principio appena enunciato, dell’allegata astensione all’uso della cosa comune da parte di alcuni altri comproprietari (eredi C.) a fronte dell’accertato parcheggio da parte di altri comproprietari e loro inquilini ovvero dell’uso dell’area per il deposito di bombole;

– in definitiva, la censura attinge la decisione effettuata in modo conforme alla giurisprudenza della Corte senza offrire elementi per mutare l’orientamento espressa dalla stessa;

– l’esito sfavorevole di entrambi i motivi giustifica il rigetto del ricorso;

– in applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricor-renti, con esclusione degli intimati, nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente e liquidate in Euro 1500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

 

Allegati

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