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Cassazione civile sez. III, 06/12/2024, n. 31271

Massima

L’affittuario che viola gli obblighi contrattuali realizzando opere abusive sul fondo, e che in Cassazione maschera tale inadempimento con pretestuose censure alla CTU, subisce la giusta sanzione della risoluzione del contratto e della condanna alle spese, vedendo vanificati i tentativi di un nuovo esame del merito.

Supporto alla lettura

CONTRATTO AGRARIO

E’ considerato agrario quel contratto che, attraverso il conferimento del fondo o del bestiame, è diretto a dar vita all’impresa agricola e a disciplinarne l’attività.

All’interno della categoria dei contratti agrari si distingue tra:

 affitto di fondo rustico (contratto di scambio o a natura commutativa): il proprietario cede il godimento del fondo in cambio di un corrispettivo;

 mezzadria, sòccida, colonia parziaria (contratti di natura associativa): la responsabilità della gestione dell’attività agricola ricade sul proprietario che concede il godimento del fondo sia sul concessionario che approva la propria capacità lavorativa. La L. 203/1982 ha vietato la stipulazione di nuovi contratti associativi, prevedendone la conversione in contratti di affitto.

L’affitto di fondo rustico è una speciale forma di affitto a tutela dell’affittuario (coltivatore diretto del fondo o meno), infatti il canone di affitto non può superare un certo limite, periodicamente stabilito da una commissione, relativamente a zone agrarie aventi uguali caratteristiche. Due sono gli elementi fondamentali della normativa sui fondi rustici:

 la previsione di bassissimi canoni di affitto;

 un lungo termine di durata di tali contratti (almeno 15 anni, ulteriormente aumentabile di altri 3 anni, ove l’affittuario lo richieda al locatore.

Nel caso in cui l’affittuario abbia migliorato il fondo, magari rendendolo più produttivo, allo scadere del contratto avrà inoltre diritto a una indennità, e se ha impiegato dei capitali per migliorare il fondo avrà diritto a una proroga di 12 anni della durata del contratto.

Se l’affittuario è un coltivatore diretto (cioè se coltiva il fondo personalmente e con l’aiuto dei familiari) la sua posizione è ulteriormente tutelata, infatti, negli ultimi decenni sono stati ripetutamente prorogati oltre la scadenza da varie leggi speciali. Nel caso di morte dell’affittuario, la proroga è concessa anche ai suoi eredi. Se il proprietario del fondo intende venderlo, spetta al coltivatore diretto (e anzi, anche ai coltivatori diretti dei fondi confinanti con quello in vendita) il diritto di prelazione sul fondo, cioè il coltivatore, a parità di prezzo offerto, andrà comunque preferito agli altri soggetti intenzionati ad acquistare il fondo.

La colonia parziaria è un contratto in cui il concedente e uno o più coloni si associano per la coltivazione di un fondo e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividerne i prodotti e gli utili. La durata della colonia parziaria è stabilita per il tempo necessario affinché il colono possa svolgere e portare a compimento un ciclo normale di rotazione delle colture praticate nel fondo.

La mezzadria è l’associazione per la coltivazione di un podere e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividere a metà i prodotti e gli utili. Colui che concede il fondo partecipa in misura uguale al mezzadro alle spese di conduzione, comprese anche quelle relative ai contributi previdenziali a favore di quest’ultimo; il concedente ha diritto soltanto al 36% della produzione vendibile; il resto è attribuito al mezzadro il quale si accolla anche il restante 50% delle spese di conduzione (oggi la conduzione a mezzadria non è più praticata ed è scomparsa dalla nostra agricoltura).

La sòccida è il contratto col quale il soccidante e il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili che ne derivano. Esistono tre tipologie di sòccida:

 semplice:  il soccidante conferisce il bestiame e il soccidario provvede al suo allevamento e all’esercizio delle attività connesse;

 con conferimento di pascolo: quando il soccidario conferisce il bestiame e il soccidante conferisce il terreno e il pascolo;

 parziaria:  il bestiame è conferito da entrambi gli associati.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA
1. La Società agricola (omissis) Srl e la (omissis) Spa, quest’ultima a mezzo della (omissis) Srl, sua procuratrice speciale, convennero in giudizio (omissis), con ricorso alla Sezione specializzata agraria del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, affinché fosse dichiarata la risoluzione del contratto di affitto agrario esistente tra le parti.

A sostegno della domanda le ricorrenti esposero, tra l’altro, di essere proprietarie di alcune particelle facenti parti di un fondo sito in agro di (omissis), condotto in fitto dal (omissis), e che il convenuto si era reso inadempiente rispetto agli obblighi contrattuali, avendo realizzato sul fondo in questione alcune opere abusive.

Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda principale e proponendo domanda riconvenzionale per ottenere che le parti attrici fossero condannate al pagamento dei miglioramenti da lui apportati al fondo nel corso degli anni.

Il Tribunale accolse la domanda principale, dichiarò la risoluzione del contratto per inadempimento del (omissis), che condannò al rilascio del fondo e al pagamento delle spese, e rigettò la domanda riconvenzionale.

2. La decisione è stata impugnata dal convenuto soccombente e la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 2 maggio 2022, ha rigettato il gravame e ha condannato l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.

La Corte territoriale ha premesso che non vi era alcuna relazione tra il presente giudizio e l’altro, pendente tra le stesse parti, avente ad oggetto la risoluzione del contratto di affitto agrario per finita locazione, posto che il giudicato formatosi sulla cessazione non preclude alla parte interessata di ottenere una diversa pronuncia che attesti l’esistenza di una pregressa causa di risoluzione dello stesso contratto, per inadempimento grave del conduttore.

Ciò premesso, la Corte napoletana ha affermato che il (omissis) aveva realizzato costruzioni abusive sul fondo, come risultante da una sentenza del Consiglio di Stato divenuta definitiva, e che da tale accertamento derivava l’esistenza di un grave inadempimento del conduttore, rilevante ai fini dell’art. 5 della legge 3 maggio 1982, n. 203.

3. Contro la sentenza della Corte d’Appello di Napoli propone ricorso (omissis) con atto affidato ad un solo motivo.

Resistono la (omissis) Srl, in qualità di procuratrice della (omissis) Spa, e la Società agricola (omissis) Srl, con un unico controricorso.

Il ricorso è stato ritenuto inammissibile con una proposta di definizione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., depositata dal Consigliere relatore in data 28 febbraio 2024.

Avverso tale decisione il ricorrente ha proposto opposizione, chiedendo che il ricorso venga collegialmente deciso; la trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc. civ. e il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, genericamente, violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nonché carenza di motivazione della sentenza, contraddittorietà, superficialità e inattendibilità della c.t.u. svolta in primo grado.Osserva il ricorrente che la c.t.u. svolta in primo grado dimostrerebbe la superficialità e l’incompetenza del consulente, che il contratto di affitto era destinato a scadere il 10 novembre 2026 e che vi sarebbe, poi, non piena integrazione del contraddittorio nei confronti di suo figlio (omissis), effettivo coltivatore del fondo e parte necessaria.

2. Si trascrive qui di seguito la proposta di definizione anticipata che è stata depositata.

“CONSIDERATO che sussistono i presupposti per la formulazione di una sintetica proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.;

che, infatti, i motivi di ricorso, non ostante la formale intestazione, attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte di appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499);

che, inoltre, la generica denuncia del vizio di cui all’art. 360 n. 5 omette di considerare, per un verso, che, il “fatto” di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve essere (un fatto storico vero e proprio, avente carattere di fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o di fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale) e deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere “decisivo” (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dall’aver formato oggetto di “discussione” tra le parti, sicché in tale ambito non è di per sé inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio (Cass. Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 08/09/2016, n. 17761); per altro verso, che, in applicazione della regola di cui all’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, va esclusa la possibilità di denunciare per cassazione il predetto vizio, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (c.d. “doppia conforme”); in proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. “doppia conforme” in facto, sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ha l’onere – nella specie non assolto – di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro 3 diverse (ex multis, Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994);

che, ancora, la denuncia del vizio motivazionale facendo riferimento alla “inattendibilità” della CTU, si infrange sul principio per cui il sindacato sulla motivazione attiene all’esistenza e alla coerenza della stessa, e resta circoscritto alla verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art.132 n. 4 cod. proc. civ., la cui violazione – deducibile in sede di legittimità quale nullità processuale ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. – sussiste qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090);

che, pertanto, il ricorso è inammissibile”.

A fronte della trascritta proposta, il difensore del (omissis) si è limitato a chiedere che il ricorso venga deciso, senza avanzare alcuna osservazione critica alla medesima e senza depositare memoria in vista della discussione in camera di consiglio.

3. Tutto ciò premesso, la Corte osserva che la proposta di definizione anticipata merita integrale conferma.

Si deve aggiungere, ad abundantiam, che il motivo di ricorso risulta completamente inconferente rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, dal momento che pone censure all’operato del c.t.u. dimenticando o non considerando che nessuna c.t.u. è stata espletata in sede di merito, come anche la Corte napoletana ha avuto modo di rilevare nell’impugnata sentenza.

4. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, nonché la condanna al pagamento di un’ulteriore somma, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., in favore della controparte e al versamento di un’ulteriore somma in favore della cassa delle ammende (art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.).

Deve essere disposta la distrazione delle spese in favore degli avvocati Aldo e Davide Natale che si sono dichiarati antistatari.

Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge, nonché al pagamento della somma di Euro 1.500 ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. in favore della controparte, da distrarre in favore degli avvocati Aldo e Davide Natale antistatari, e al pagamento della somma di Euro 500 ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., alla cassa delle ammende.Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, l’11 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2024.

Allegati

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