Il (omissis) ha chiamato in causa (omissis), quale detentore della gru e dei relativi accessori, indicandolo come effettivo responsabile del danno. Il Comune di Messina ha chiamato in causa la propria assicuratrice della responsabilità civile, (omissis) Spa (cui è succeduta (omissis) Spa), per esserne eventualmente garantito, in caso di soccombenza.
L’attore, sia pure per cause indipendenti dalle lesioni riportate in esito al sinistro, è deceduto nel corso del giudizio di primo grado, che è stato proseguito da Re.An., qualificatosi suo erede.
Il Tribunale di Messina ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Comune di Messina ed ha estromesso dal giudizio (omissis) Spa; ha accolto la domanda esclusivamente nei confronti di (omissis), proprietario della gru, condannandolo al pagamento dell’importo di Euro 20.208,54, oltre accessori, in favore dell’attore.
Riuniti gli appelli del leso e del condannato, la Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto responsabili sia il (omissis) che il Comune di Messina, condannandoli in solido al pagamento dell’importo di Euro 35.571,00 in favore dell’attore.
Ricorre il Comune di Messina, sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso (omissis).
(omissis) e (omissis) (dichiaratisi eredi di (omissis) frattanto deceduto) si difendono con un controricorso adesivo al ricorso principale.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altra intimata.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
L’ente ricorrente contesta l’avvenuto riconoscimento della legittimazione di (omissis) a proseguire il giudizio originariamente instaurato dal fratello (omissis), sull’assunto di essere suo unico erede.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
1.1 Va, in primo luogo, sottolineato che la Corte d’Appello, diversamente da quanto assume l’ente ricorrente, non ha affatto considerato tardiva la contestazione della qualità di erede di (omissis) allegata da (omissis), contestazione che, anzi, ha espressamente affermato doversi ritenere tempestiva e che, pertanto, ha esaminato nel merito.
La relativa censura è, dunque, per tale profilo, inammissibile in quanto essa non coglie adeguatamente la effettiva ratio decidendi della statuizione impugnata.
1.2 Sul merito dell’eccezione, i giudici di appello hanno osservato che non era stata oggetto di contestazione la specifica allegazione del rapporto di parentela tra l’originario attore e il suo assunto erede che aveva proseguito il giudizio, rapporto idoneo a dar luogo a successione legittima, e che neanche era in discussione l’eventuale esistenza di altri eredi necessari.
Hanno, quindi, ritenuto sufficienti tali elementi a fondare, quanto meno, una presunzione di avvenuta delazione dell’eredità in favore di (omissis), la quale, unitamente all’intervento in giudizio di quest’ultimo per far valere un diritto del de cuius – atto che implica accettazione tacita dell’eredità stessa – è stata ritenuta idonea prova del possesso della dedotta qualità di erede.
1.3 La Corte d’Appello ha, in tal modo, fatto corretta applicazione dell’art. 2697 c.c., senza alcuna inversione dell’assetto degli oneri probatori incombenti sulle parti, in conformità ai consolidati principi di diritto affermati da questa Corte (che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare), secondo i quali “colui che, assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio, intervenga in un giudizio civile pendente tra altre persone, ovvero lo riassuma a seguito di interruzione, o proponga impugnazione, deve fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., oltre che del decesso della parte originaria, anche della sua qualità di erede di quest’ultima;
a tale riguardo la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, non costituisce di per sé prova idonea di tale qualità, esaurendo i suoi effetti nell’ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi, dovendo tuttavia il giudice, ove la stessa sia prodotta, adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c., come novellato dall’art. 45, comma 14, della legge n. 69 del 2009, in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della predetta qualità di erede e, nell’ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva suddetta” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11276 del 10/05/2018, Rv. 648916 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8973 del 15/05/2020, Rv. 657936 – 02; nel medesimo senso: Sez. 3, Ordinanza n. 3793 del 12/02/2024, Rv. 670111 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 25860 del 27/09/2024, Rv. 672461 – 01).
1.4 Per ogni altro profilo, le censure formulate con il motivo di ricorso in esame risultano, di conseguenza, a loro volta inammissibili, in quanto si risolvono nella contestazione di un accertamento di fatto fondato sulla prudente valutazione delle prove e sostenuto da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.
2. Con il secondo motivo si denunzia “art. 360 n. 3 c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 e dell’art. 2051 cod. civ.”.
L’ente locale ricorrente deduce che il (omissis) sarebbe stato in grado di percepire il pericolo derivante dal fatto stesso di so-stare o transitare presso l’ammasso di blocchi di cemento da cui era caduto quello che gli aveva poi provocato il danno e ciò sarebbe sufficiente ad escludere la propria responsabilità.
Il motivo è inammissibile, ancor prima che infondato.
La Corte d’Appello ha espressamente affermato che “nessuna incauta condotta risulta imputabile al (omissis), non essendo neanche allegato che egli fosse una delle persone salite sulla sommità della catasta o che avesse sostato nei pressi della stessa, essendo, pure, ipotizzabile che il medesimo si sia limitato al solo fugace transito in una zona destinata al passaggio pedonale e, per di più, sede del mercatino rionale”.
Dunque, l’ente ricorrente, nell’assumere che la Corte d’Appello non avrebbe considerato che il danneggiato aveva posto in essere una condotta colposa idonea ad escludere la propria responsabilità, quale custode della cosa che gli aveva provocato il danno, per un verso, non coglie adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della statuizione impugnata, che si fonda proprio sul contrario assunto per cui doveva escludersi qualunque condotta incauta del danneggiato e, per altro verso, avanza censure che si risolvono nella contestazione di un accertamento di fatto, fondato sulla prudente valutazione delle prove, sostenuto da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come non sindacabile nella presente sede.
È, pertanto, appena il caso di osservare, in proposito, che la decisione impugnata risulta conforme, in diritto, ai consolidati principi enunciati da questa Corte in relazione ai criteri di imputazione della responsabilità da cose in custodia, secondo i quali, al fine di poter ritenere integrata l’esimente del caso fortuito di cui all’art. 2051 c.c. in virtù della condotta colposa della vittima, rileva esclusivamente la condotta imprudente, negligente o imperita della suddetta vittima, “oggettivamente non prevedibile” secondo la normale regolarità causale e, comunque, quanto meno colposa (Cass., ord. 20/07/2023, n. 21675, Rv. 668745-01; Cass. 24/01/2024, n. 2376, Rv. 670396 – 01), nelle condizioni date, in quanto costituente violazione dei doveri minimi di cautela la cui osservanza è normalmente prevedibile, oltre che esigibile, da parte della generalità dei consociati e la cui violazione, di conseguenza, è da considerarsi, sul piano puramente oggettivo della regolarità causale – non quindi, con riferimento al piano soggettivo del custode – non prevedibile né prevenibile (in tal senso, ex multis:
Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 2477 del 01/02/2018, Rv. 647933 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 2480 del 01/02/2018, Rv. 647934 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 2481 del 01/02/2018, Rv. 647935 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 2482 del 01/02/2018, Rv. 647936 – 01-02; Sez. 3, Ordinanza n. 2483 del 01/02/2018, Rv. 648247 – 02; Sez. 3, Ordinanze nn. 2478 e 2479 del 01/02/2018, non massimate; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 27724 del 30/10/2018, Rv. 651374 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9315 del 03/04/2019, Rv. 653609 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 20312 del 26/07/2019, Rv. 654924 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17873 del 27/08/2020, Rv. 658754 – 01;
Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 34886 del 17/11/2021, Rv. 663127 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 38089 del 02/12/2021, Rv. 663300 – 02; Sez. 3, Ordinanza n. 35429 del 01/12/2022, Rv. 666487 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 14228 del 23/05/2023, Rv. 667836 – 02; Sez. 3, Ordinanza n. 21675 del 20/07/2023, Rv. 668745 – 01; Sez. U, Ordinanza n. 20943 del 30/06/2022, Rv. 665084 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11152 del 27/04/2023, Rv. 667668 – 01-02-03).
3. Con il terzo motivo si denunzia “art. 360 n. 3 c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 1917 cod. civ.”.
L’ente ricorrente sostiene che non era necessaria la riproposizione della domanda di garanzia nei confronti della propria compagnia assicuratrice della responsabilità civile in grado di appello, rimasta assorbita in primo grado in virtù del rigetto della domanda risarcitoria proposta dall’attore nei suoi stessi confronti.
Anche questo motivo risulta in parte inammissibile ed in parte infondato.
3.1 Si premette che, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., è certamente sempre necessaria la riproposizione della domanda rimasta assorbita in primo grado, per quanto non occorra a tal fine, né una impugnazione incidentale, né l’utilizzo di formule sacramentali (per tutte, cfr.: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 33649 del 01/12/2023, Rv. 669525 – 01; “la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale in relazione alle proprie domande o eccezioni non accolte perché superate o non esaminate in quanto assorbite ma deve solo riproporle espressamente nel giudizio di impugnazione, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un contegno omissivo, non essendo a tal fine sufficiente, peraltro, un generico richiamo alle “eccezioni” contenute nelle difese del precedente grado di giudizio, siccome inidoneo a manifestare in modo specifico la volontà di riproporre una determinata domanda o eccezione”).
3.2 D’altra parte, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., l’ente ricorrente non richiama in modo sufficientemente specifico il contenuto delle proprie difese da cui sia possibile eventualmente evincere la manifestazione chiara di una sua espressa intenzione di riproporre la domanda di garanzia rimasta assorbita in primo grado.
4. Con il quarto motivo si denunzia “art. 360 n. 4 c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 331 c.p.c.”.
L’ente ricorrente deduce che il giudizio di secondo grado sarebbe nullo, per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di (omissis), chiamato in causa dall’originario convenuto (omissis), in quanto detentore della cosa che aveva causato l’evento dannoso, quale preteso effettivo responsabile dello stesso.
Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha affermato che la responsabilità dell’(omissis) era stata espressamente esclusa dalla decisione del Tribunale che aveva definito il giudizio di primo grado e che tale statuizione non era stata impugnata da alcuno degli appellanti, sotto tale profilo, onde lo stesso (omissis) non poteva ritenersi litisconsorte necessario nel giudizio di secondo grado.
Nel ricorso, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non è richiamato in modo sufficientemente specifico il contenuto delle difese delle parti da cui sia possibile eventualmente evincere una diversa evoluzione della vicenda processuale.
Orbene, è vero, in linea generale, che “nell’ipotesi in cui il convenuto in una causa di risarcimento del danno chiami in causa un terzo per ottenere la declaratoria della sua esclusiva responsabilità e la propria liberazione dalla pretesa dell’attore, la causa è unica e inscindibile, potendo la responsabilità dell’uno comportare l’esclusione di quella dell’altro (ovvero, nel caso di coesistenza di diverse, autonome responsabilità, ponendosi l’una come limite dell’altra), sicché si viene a determinare una situazione di litisconsorzio processuale” (in tal senso, ex multis: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 35257 del 18/12/2023, Rv. 669777 – 01).
Laddove, peraltro, come nella specie, la domanda di riconoscimento della responsabilità del terzo chiamato sia stata già oggetto di una espressa statuizione di rigetto da parte del giudice di primo grado e l’esclusione di ogni responsabilità del medesimo non sia stata oggetto di alcuna impugnazione o contestazione, diretta o indiretta, nel giudizio di appello, non sussistono più le indicate condizioni di unicità ed inscindibilità della causa anche in relazione alla posizione del terzo, dovendo ritenersi ormai limitato l’oggetto del giudizio esclusivamente all’accertamento della responsabilità dell’originario convenuto, senza che possa più ritenersi sussistente alcuna interrelazione tra la responsabilità di quest’ultimo e quella del terzo chiamato, di modo che la responsabilità dell’uno possa comportare l’esclusione di quella dell’altro (ovvero, nel caso di coesistenza di diverse, autonome responsabilità, che l’una possa porsi come limite dell’altra).
Tale situazione implica, in sostanza, lo scioglimento dell’originario vincolo di inscindibilità ed esclude la necessità di integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione (nel senso della sussistenza del litisconsorzio necessario processuale in sede di impugnazione con il terzo chiamato in giudizio dal convenuto quale unico responsabile del danno, per dipendenza di cause o litisconsorzio alternativo, esclusivamente nell’ipotesi in cui permanga in fase di impugnazione la contestazione in ordine all’individuazione dell’obbligato, cfr.: Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4722 del 28/02/2018, Rv. 647631 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 11946 del 08/08/2003, Rv. 565766 – 01).
5. Il ricorso del Comune di Messina è rigettato.
Ad analoga conclusione deve giungersi quanto al controricorso notificato dagli eredi (omissis), contenente argomenti sostanzialmente adesivi a quelli del ricorso principale e che, quindi, assume il valore sostanziale di un ricorso incidentale: argomenti a confutazione dei quali può bastare il richiamo alle ragioni appena esposte per disattendere quelli a fondamento del ricorso principale, pianamente ad essi estensibili.
Per le spese del giudizio di cassazione, tra l’ente ricorrente, nonché i controricorrenti eredi (omissis), che hanno aderito al ricorso principale, da una parte, ed il controricorrente (omissis), dall’altra, si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo: e con condanna in solido, avendo le parti interesse comune. La medesima evidente comunanza di interesse esclude la configurabilità di una soccombenza nei rapporti tra l’ente ricorrente ed i controricorrenti eredi (omissis) e, con essa, la necessità di una pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (sia per l’ente ricorrente che per i controricorrenti eredi (omissis), sostanzialmente ricorrenti in via incidentale).
Infine, per la natura della causa petendi, va di ufficio disposta l’omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi dell’originario attore, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003.
– condanna l’ente ricorrente, nonché i controricorrenti (sostanzialmente ricorrenti in via incidentale) (omissis) e (omissis), in solido, a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente (omissis), liquidandole in complessivi Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;
– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13;
– dispone che, ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi dell’originario attore.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 4 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2024.
