La ricorrente (omissis) nata a Napoli il (omissis) avanza un piano di ristrutturazione ex art. 67 del CCII deducendo:
a) Di trovarsi in una condizione di sovraindebitamento riconducibile “ad una progressiva perdita di capacità reddituale, dovuta a problematiche di carattere lavorativo, causate dall’aver subito episodi di mobbizzazione sul posto di lavoro, a cui hanno fatto seguito lunghi periodi di aspettativa, e successive ricollocazione in posizioni marginali con ruoli ridimensionati, azzerate possibilità di carriera e impossibilità di poter contare su indennità extra e straordinari, che hanno portato progressivamente la sig.ra (omissis) a trovarsi a non poter più far fronte ai propri impegni finanziari, per cause non del tutto dipendenti dalla propria volontà”;
b) Che, già appartenente al Corpo della Polizia di Stato, dal gennaio 2024 era in pensione, con un reddito netto mensile di circa euro 1170,00, mentre nel quadriennio precedente aveva avuto un reddito netto medio mensile di euro 2100,00;
c) Che aveva una debitoria complessiva di € 267.810,41 di cui € 114.743,06 in chirografo (verso finanziarie varie) ed € 153.067,35 in ipotecario verso INPS, che aveva risolto il contratto di mutuo con ipoteca sull’abitazione principale per inadempimento; che aveva altresì un modesto debito tributario (di euro 2700,00 circa);
d) Che l’attivo era costituito da un immobile (gravato da ipoteca) assegnato da una Cooperativa Edilizia (appartamento con autorimessa e parti comuni); un autoveicolo; un conto corrente sul quale sono depositati euro 2348,00;
e) Che proponeva ai creditori un pagamento parziale dei debiti, con degradazione del creditore ipotecario quanto alla quota eccedente euro 66.000,00 (individuato come il valore di mercato delle particelle immobiliari ipotecate a garanzia del mutuo) ed uno stralcio al 95% di tutti i debiti chirografari, ivi compresa la porzione incapiente del debito ipotecario. Era previsto anche il riconoscimento a ciascuno, per tutta la durata del rimborso, di un tasso di interesse del 5%, mentre al credito ipotecario capiente veniva riconosciuto un tasso del 3% annuo a decorrere dal primo anno e non anche dal terzo anno;
f) Che la durata del piano era stabilita in ventuno anni;
g) Che riteneva che, quanto al debito di natura erariale (per la somma di euro 2700,00 circa) potesse non rispettarsi l’ordine delle cause di prelazione; invocava al riguardo la recente pronuncia della Corte di Appello di Roma, decr. n.7005/2023 del 24/07/2023, che evidenziava ” la possibilità di deroga dell’ordine dei privilegi deducendo che l’ordine dei privilegi non è inderogabile come dimostrato …. dallo stesso comma 1 dell’art.67 CCII secondo cui la proposta ha contenuto libero e può prevedere il soddisfacimento anche parziale e differenziato dei crediti in qualunque forma”.
Così riassunti i fatti, la proposta presenta svariati profili di inammissibilità.
1. In ordine alle cause di indebitamento, è richiesto dall’art. 69, quale condizione oggettiva ostativa, che il debitore non abbia colpevolmente determinato la situazione dì indebitamento o il suo aggravamento.
Nel caso dì specie la ricorrente si è posta volontariamente in quiescenza dall’1.1.2024, all’età di 55 anni, pur potendo, per legge, continuare a lavorare ancora per alcuni anni.
Dai conteggi depositati dalla ricorrente emerge che il reddito mensile netto, a causa del pensionamento, si è quindi – volontariamente – ridotto di circa 1000,00 euro, che avrebbero diversamente potuto continuare ad essere percepiti ed utilizzati per rimborsare i debiti contratti.
Scegliendo di fruire del pensionamento anticipato ha quindi consapevolmente aggravato la condizione di sovraindebitamento nella quale si trovava.
Il fatto che si tratti di facoltà di legge (quella di fruire di un pensionamento anticipato) a nulla rileva ai fini del presente procedimento, nel quale non può non prendersi atto che la ricorrente ha volontariamente visto ridurre il proprio reddito mensile in modo significativo.
2. In ordine al credito ipotecario, determinato in complessivi euro 153.000,00, la ricorrente ne propone il pagamento integrale nei limiti del valore di mercato del bene, stimato in euro 66.000,00; propone altresì il pagamento del 5% della porzione residua di euro 86.000,00, degradata a chirografo.
Il valore di mercato ex art. 67 co. 4 del CCII deve tuttavia ritenersi stabilito in modo obiettivamente non corretto atteso che:
a) il prezzo di acquisto dell’immobile pagato dalla ricorrente nell’anno 2014, giusto atto di acquisto allegato, è stato pari ad euro 130.000,00 oltre IVA (prezzo, deve ritenersi, certamente calmierato rispetto al valore di mercato, in quanto la cessione è avvenuta da parte di una cooperativa);
b) il valore attuale dell’immobile esposto nella tabella a pag. 11 della relazione secondo i valori OMI è di euro 166.000,00;
c) il valore dell’immobile viene, nella proposta, ridotto ad euro 66.000,00, in quanto trattasi non di acquisto in proprietà piena ma in proprietà superficiaria, essendo il terreno rimasto nella titolarità del comune;
d) premesso che la disciplina della proprietà superficiaria non è meglio descritta dalla ricorrente, dal testo del contratto di acquisto in atti la durata del diritto di superficie è stabilita in 99 anni, rinnovabili per altri 99. La riduzione ad euro 66.000,00 nella proposta è giustificata attraverso l’apodittico ricorso ad una formula matematica, senza alcuna notazione o commento, ed è – a dir poco – sorprendente avendo la ricorrente acquistato, si è detto, nel 2014 il medesimo immobile ad un valore più che doppio rispetto a quello attribuito in questa sede, ad appena nove anni dall’acquisto.
Sul punto neppure soccorre la relazione particolareggiata, che si limita a fare riferimento al valore di euro 66.000,00 dedotto nella proposta senza aggiungere alcun tipo di commento o di valutazione.
Si tratta, per le ragioni dette, oggettivamente di una stima inverosimile ed immotivata, che viola il disposto dell’art. 67 co. 4 secondo il quale non si può offrire al creditore ipotecario meno del valore del bene sul quale la causa di prelazione insiste. La violazione della norma citata, come di tutte le norme imperative, è causa di inammissibilità della proposta.
3. La ricorrente si propone di pagare il debito (in particolare quello ipotecario) in ventuno anni.
Premesso che il piano del consumatore è senza dubbio una procedura concorsuale (In quanto i suoi effetti, a seguito dell’omologa, si producono in modo coattivo verso tutti i creditori in modo conforme alla proposta; sul tema degli elementi connotanti la concorsualità cfr. in modo più ampio Cassazione civile, sez. I, 12/04/2018, n. 9087); che la ricorrente non si è avvalsa della facoltà ex art. 67 co. 5 di mantenere in vita il contratto di mutuo con le scadenza pattuite (facoltà il cui esercizio avrebbe permesso la conservazione del piano di rateazione contrattuale ma che, va detto, probabilmente non sarebbe stata più esercitabile nel caso di specie perché da un lato presuppone che il contratto non si sia già risolto e dall’altro, comportando la conservazione del contratto, impone ovviamente il pagamento integrale del debito sia nella parte capiente che incapiente) deve porsi il tema della durata della procedura, ossia se sia ammissibile avanzare ai creditori una proposta dall’orizzonte temporale assai lungo (come in questo caso).
Trattasi di questione, è appena il caso di sottolineare, diversa da quella della fattibilità del piano (che può riguardare piani di qualunque durata: anche un piano triennale può essere infattibile) e che attiene specificamente al quesito se sia rinvenibile un limite massimo di durata della procedura.
Vale in materia richiamare la pronuncia della Cassazione n. 27544 del 2019, che ha osservato:
a) Che la legge 27 gennaio 2012, n. 3, nell’introdurre, con gli artt. 6 e ss., le procedure di composizione della crisi non ha previsto un limite massimo di durata di queste procedure, né – malgrado la nuova configurazione dell’istituto (ristrutturazione dei debiti e concordato minore) – indicazioni al riguardo si rinvengono nel nuovo Codice della Crisi d’impresa, salva la possibilità di prevedere il rimborso alle scadenze convenute delle rate a scadere dei contratti di mutuo garantiti da ipoteca ove il debitore abbia adempiuto le proprie obbligazioni;
b) Che parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto opportuno colmare in via interpretativa questa lacuna normativa con particolare riferimento al piano del consumatore, istituto che, a differenza dell’accordo di composizione della crisi, determina un’imposizione giudiziale ai creditori, i quali possono soltanto contestare la convenienza del piano: contestazione che, però, non impedisce al giudice di omologare ugualmente il piano medesimo se lo ritenga economicamente conveniente rispetto alla soluzione liquidatoria;
c) Che questa giurisprudenza, pertanto, onde evitare un eccessivo pregiudizio degli interessi dei creditori, con conseguente rischio di danneggiare l’intero sistema economico, ha introdotto anche il limite implicito della durata massima del piano, ed alcuni corti di merito hanno individuato tale limite implicito in analogia a quello elaborato dalla giurisprudenza con riferimento alle procedure concorsuali, vale a dire quello di 5-7 anni (infatti, secondo la Suprema Corte, la procedura fallimentare, per rispettare i dettami dell’art. 2, comma 2, della I. 89/2001 ed i parametri sanciti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non dovrebbe superare i cinque anni nel caso di media complessità ed i sette anni in caso di notevole complessità. Cfr. Cass. n. 8468 del 2012 e Cass. n. 23982 del 2017. Inoltre, Cass., SU, n. 1521 del 2013, pronunciandosi sulla questione del controllo di legittimità del giudizio di fattibilità della proposta di concordato preventivo, ha affermato che tale giudizio debba essere operato tenendo conto della ragionevole durata del piano);
d) Che fermo quanto precede, non può aprioristicamente escludersi che gli interessi del creditore risultino meglio tutelati con un piano del consumatore, che pur preveda una dilazione di significativa durata (anche superiore ai 5-7 anni), piuttosto che per mezzo della vendita forzata dei beni del patrimonio del debitore. E ciò accade, ad esempio, ogniqualvolta il piano preveda il pagamento integrale del debito, mentre il patrimonio del debitore, aggredibile tramite esecuzione forzata, non sia in grado di soddisfare integralmente le ragioni del creditore, in quanto costituito da un unico bene di rilievo (si pensi all’immobile adibito ad abitazione) il cui valore sia pari od inferiore all’ammontare dei debiti;
e) Che se, pertanto, la ratio dell’applicazione del limite implicito di durata massima è quella di tutelare il creditore, nei casi appena visti non si vede perché non possa derogarsi a tale limite, concedendo l’omologa al piano, anche se di durata ultraquinquennale.
In buona sostanza, secondo la citata pronuncia della Suprema Corte, vale anche per il piano di ristrutturazione del consumatore il principio di ragionevole durata del piano (e ciò in quanto, può aggiungersi, la causa della procedura concorsuale – anche di sovraindebitamento – resta pur sempre quella di permettere un pur parziale soddisfacimento dei creditori in tempi ragionevoli) declinabile nella misura ordinaria di cinque/sette anni di durata massima; è possibile superare tale limite (in misura tale, occorre aggiungere, da non rendere comunque la procedura eccessivamente lunga: è dunque ipotizzabile una durata massima di regola non superiore a dieci anni) quando risulti un evidente vantaggio per i creditori, ad esempio perché, come osservato dalla Corte, si ottenga un soddisfacimento integrale del credito che diversamente non sarebbe possibile conseguire.
Nel caso di specie la durata del piano è di ventuno anni, per un soddisfacimento dell’ipotecario limitato complessivamente, all’esito del piano, a meno del 50% della sorte; non solo quindi è superata la durata ragionevole massima non valicabile in alcun caso (da determinarsi, si è detto, in dieci anni) ma non vi sono neppure ragioni per oltrepassare la durata ragionevole massima di cinque/sette anni indicata dalla Corte di Cassazione nella pronuncia sopra indicata.
4. La ricorrente ritiene che possa derogarsi al rispetto dell’ordine delle cause di prelazione; invoca al riguardo una pronuncia della Corte di Appello di Roma.
Premesso che la pronuncia non è allegata al ricorso e non è stata rinvenuta da questo giudicante, vale osservare che laddove fosse stato effettivamente affermato questo principio si sarebbe verosimilmente trattato di una svista, perché se è vero che l’art. 67 co. 1 afferma che la proposta ha contenuto libero, il successivo comma 4 pone espressamente il principio secondo il quale l’ordine delle cause di prelazione va rispettato (ovviamente nei limiti della capienza). Nel caso di specie, quindi, se vi sono debiti tributari assistiti da causa di prelazione generale, essi devono essere prioritariamente soddisfatti con le giacenze sul conto corrente (sulle quali opera la causa di prelazione generale) sino (se vi è capienza) all’integrale soddisfacimento del credito.
Per tutte le ragioni sopra dette il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Roma, 21.2.24
