I convenuti, resistendo alla domanda, hanno sostenuto che la mediazione era stata svolta in proprio da (omissis) e che l’affare era stato concluso con una controparte diversa da quella proposta dal mediatore.
Acquisita documentazione, il Tribunale di Brescia, sezione distaccata di Salò, ha accolto la domanda, con condanna solidale al pagamento del compenso del mediatore, quantificato in Euro 57.000,00 e con aggravio delle spese processuali.
La pronuncia, impugnata dall’Immobiliare (omissis) e da (omissis), è stata confermata in appello.
Per quanto ancora rileva nel presente giudizio, la Corte distrettuale di Brescia ha ritenuto che gli appellanti avessero tardivamente dedotto che il preliminare di vendita era sottoposto alla condizione sospensiva (risultata irrealizzabile) di un aumento di volumetria del complesso immobiliare, affermando che tale difesa sostanziava un’eccezione in senso stretto, sollevata solo nelle comparse conclusionali di primo grado.
Erano state acquisite – secondo la pronuncia- dichiarazioni confessorie sia riguardo alla stipula del preliminare mediante l’intervento della mediatrice, sia in merito al versamento di una caparra di Euro 400.000,00 per l’acquisito, ed era inoltre provato che (omissis), pur privo di poteri di rappresentanza, aveva conferito alla società mediatrice l’espresso incarico di reperire un acquirente per la villa di (omissis), con condotta poi ratificata dall'(omissis), che quindi era obbligata, in solido, al pagamento della provvigione.
Per la cassazione della sentenza l'(omissis) e (omissis) propongono ricorso in quattro motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..
(omissis), titolare dell’Immobiliare (omissis), è rimasta intimata.
Il ricorso, originariamente destinato alla trattazione in pubblica udienza, è stato deciso in camera di consiglio nelle forme di cui al D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni con L. 176/2020.
I primi due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono fondati.
L’esistenza di una condizione sospensiva dell’efficacia del preliminare di vendita, divenuta irrealizzabile ed incidente sul diritto alla provvigione ai sensi dell’art. 1757 c.c., comma 1, non integrava un’eccezione in senso stretto, proposta tardivamente solo nelle comparse conclusionali di primo grado.
Ai sensi dell’art. 1755 c.c. il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento.
Il successivo art. 1757 c.c. prevede, altresì, con riferimento ai contratti condizionali o invalidi, che se il contratto è sottoposto a condizione sospensiva, il diritto alla provvigione sorge nel momento in cui si verifica la condizione; se è apposta una condizione risolutiva, il diritto alla provvigione non viene meno col verificarsi della condizione. La disciplina della condizione risolutiva si applica in causa di contratto annullabile o rescindibile, se il mediatore non conosceva la causa di invalidità.
La presenza di una condizione sospensiva di efficacia del preliminare di vendita è dunque circostanza che incideva sull’efficacia del contratto preliminare e che, se non avveratasi, impediva che maturasse la provvigione, sostanziando perciò l’allegazione di un fatto impeditivo (la presenza della clausola condizionale) oggetto non di un’eccezione in senso stretto, riservata alla parte, ma di un’eccezione in senso lato, non soggetta alle preclusioni processuali. Con un ormai risalente arresto delle S.U. di questa Corte, si è stabilito che, in relazione all’opzione difensiva del convenuto, consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto su cui la pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione: il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso cli eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito.
Non si determina in tal modo il superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze processuali, atteso che il generale potere – dovere di rilievo d’ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell’attribuzione di rilevanza a determinati fatti ai fini della decisione di merito, essendo in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della disciplina processuale in concreto applicabile (Cass. s.u. 1099/1998).
A tale principio hanno dato continuità le successive pronunce di questa Corte e segnatamente Cass. s.u. 15661/2005, con riferimento all’eccezione di interruzione della prescrizione e soprattutto – Cass. s.u. 10531/2012, con cui si è precisato che il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe sviato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (cfr., in tal senso, Cass. 18602/2013; Cass. 13335/2015; Cass. 23587/2016; Cass. 18830/2020; Cass. 22371/2021; Cass. 41474/2021).
Non configurandosi un’eccezione in senso stretto, la sussistenza di una condizione sospensiva apposta al preliminare di vendita concluso con l’intervento del mediatore era deducibile nelle comparse conclusionali e in appello, essendo inoltre rilevabile d’ufficio se l’esistenza di tale condizione risultasse dagli atti e fosse stata acquisita nel rispetto delle preclusioni processuali, non potendo il giudice dichiararla tardiva senza svolgere le descritte verifiche.
Sarà compito del giudice del rinvio stabilire se l’esistenza della condizione era circostanza già risultante dagli atti al momento della proposizione dell’eccezione e se fosse stata acquisita prova della sua apposizione al contratto preliminare di vendita.
2. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1388 e 1399 c.c., sostenendo che, avendo la società ratificato l’operato di (omissis), che aveva conferito l’incarico di mediazione senza averne il potere, non poteva condannare quest’ultimo al pagamento della provvigione in solido con l'(omissis), non avendo stipulato in proprio.
Il motivo è fondato.
E’ circostanza di fatto positivamente accertata dal giudice di merito che (omissis), privo dei poteri di rappresentanza dell'(omissis), aveva conferito incarico al mediatore per l’acquisto del complesso immobiliare in nome e per conto della società, la quale ne aveva successivamente ratificato l’operato per facta concludentia, restando obbligata al pagamento del compenso del mediatore.
L’aver (omissis) conferito l’incarico di mediazione per conto della società venditrice senza averne il potere, non poteva comportarne la condanna al pagamento in via solidale della provvigione: con la successiva ratifica da parte della società, quest’ultima aveva fatto propri tutti gli effetti del contratto di incarico, incluso l’obbligo di pagare la provvigione, senza che il falso rappresentante fosse obbligato al pagamento, non avendo stipulato anche in proprio.
Va ricordato che il negozio compiuto dal “falsus procurator” non è invalido, ma soltanto “in itinere”, ovvero a formazione successiva, ed è efficace verso il “dominus” se questi lo ratifichi e faccia propri gli effetti del negozio concluso in suo nome con effetti retroattivi (Cass. 27399/2009; Cass. 14618/2010). Il principio è operante anche se il falso rappresentato sia una società commerciale (Cass. 3501/2013; Cass. 27335/2005; Cass. 3435/1991).
Il falso rappresentante, il cui operato sia stato ratificato, non diviene – invece – parte del contratto e non ne assume gli obblighi.
In considerazione degli effetti dell’intervenuta ratifica e del fatto che (omissis) non aveva preso parte personalmente all’affare per cui è causa, questi non poteva esser condannato al pagamento della provvigione.
3. Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 2697 e 1398 c.c., deducendo che (omissis)” quale rappresentante senza poteri della (omissis) poteva rispondere verso il mediatore solo a titolo risarcitorio e nei limiti dell’interesse negativo, danni il cui ammontare doveva esser provato dal mediatore.
Il motivo è assorbito.
L’avvenuta ratifica dell’operato di (omissis), di cui ha dato atto il giudice distrettuale, rende irrilevante stabilire se questi dovesse rispondere del danno per l’ipotesi che il contratto di incarico non fosse divenuto efficace verso l'(omissis).
Sono in conclusione accolti i primi tre motivi di ricorso, con assorbimento del quarto.
La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2022