INTERVENTO DEL TERZO SU ISTANZA DELLE PARTI E COSTITUZIONE DEL TERZO CHIAMATO
ùAi sensi dell’ art. 106 c.p.c., l’intervento del terzo può avvenire anche su istanza di parte. In particolare, le parti possono chiamare nel processo un terzo al quale ritengono comune la causa o dal quale pretendono di essere garantite. Alla chiamata di un terzo in causa si provvede a norma dell’articolo 269 c.p.c.. Tale disposizione prevede che la parte che vuole chiamare un terzo in causa deve provvedervi mediante citazione a comparire nell’udienza appositamente fissata dal giudice istruttore, nel rispetto dei termini fissati dall’articolo 163-bis c.p.c. (costituzione nel termine di venti giorni prima dell’udienza fissata o di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini).
Ai senti dell’ art. 271 cpc, il terzo chiamato in causa deve costituirsi secondo le forme di costituzione previste per il convenuto all’art. 166 del c.p.c. ed all’art. 167 del c.p.c. comma 1 ed all’art. 171 ter del c.p.c. (il richiamo a quest’ultima norma, che disciplina le memorie integrative ed i cui termini si estendono anche al terzo chiamato, è stato introdotto dalla Riforma Cartabia).
Ciò significa che la costituzione deve avvenire almeno settanta giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, a mezzo di procuratore o personalmente nei casi consentiti.
E’ stata soppressa (rispetto al previgente testo) la facoltà del terzo di costituirsi all’udienza, e ciò in considerazione della circostanza che, a fronte dell’ampliamento soggettivo del contraddittorio, occorreva organizzare tempi e modi per la costituzione del terzo chiamato e per la difesa delle parti originarie di fronte alle domande ed eccezioni da lui proposte.
Se intende chiamare a sua volta in causa un terzo, il terzo chiamato deve farne dichiarazione a pena di decadenza nella comparsa di risposta ed essere poi autorizzato dal giudice ai sensi del terzo comma dell’articolo 269.
Il giudice d’Appello ha ritenuto la tardività della chiamata in giudizio del Comune di Parabita, sul rilievo che la comparsa di costituzione e risposta del Comune di Tuglie, nella quale la domanda di chiamata in causa era contenuta, era stata depositata solo all’udienza di comparizione delle parti, con conseguente tardività della costituzione in giudizio dello stesso Comune di Tuglie. La Corte territoriale ha ritenuto integrata la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sul rilievo che il Comune di Parabita era stato condannato al pagamento della somma di Euro 16.000,00 senza che né l’Istituto né il Comune di Tuglie avessero formulato in primo grado nei suoi confronti domanda di condanna al pagamento delle somme dovute per il ricovero di (omissis) Infine, la Corte territoriale ha precisato che ricorrevano, nel caso di specie, i requisiti per l’applicazione dell’art. 6 n. 4 della Legge 328/2000, in base al quale l’onere per il mantenimento dei soggetti non autosufficienti sarebbe dovuto gravare sul Comune nel quale essi avevano la residenza prima del ricovero, ovvero, nel caso in esame, il Comune di Tuglie; tuttavia, il capo della sentenza di primo grado, che aveva escluso la responsabilità del Comune di Tuglie, non aveva formato oggetto di impugnazione neppure incidentale da parte dell’Istituto appellato, con la conseguenza che sullo stesso si era formato il giudicato interno. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Comune di Tuglie, affidandolo a quattro motivi.
L’Istituto “Suore Discepole del Sacro Cuore” ha resistito in giudizio con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale.
Il Comune di Parabita ha resistito in giudizio con controricorso.
Tutte le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
Si duole il Comune di Tuglie che nonostante la stessa Corte d’Appello avesse dato atto che la sentenza di primo grado, che escludeva la propria responsabilità, non avesse formato oggetto di impugnazione, neppure incidentale, da parte dell’Istituto “Suore Discepole del Sacro cuore”, lo stesso giudice aveva condannato il ricorrente principale alla rifusione delle spese di lite dell’Istituto sia in primo grado che in grado di appello.
2. Con il secondo motivo del ricorso principale è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. sotto altro profilo. Contraddittorietà. Difetto assoluto di motivazione.
Lamenta il Comune di Tuglie che lo stesso non poteva essere considerato soccombente nei confronti del Comune di Parabita né nel giudizio di primo grado, non avendo esercitato alcuna azione nei confronti di quest’ultimo – come accertato dalla stessa Corte d’Appello – né in grado di appello, non trattandosi del soggetto a cui favore la sentenza emessa dal Tribunale aveva riconosciuto il credito oggetto di contestazione. Né la condanna, disposta dal giudice di primo grado, del Comune di Parabita al pagamento della somma pretesa dall’Istituto poteva essere oggettivamente ascrivibile alla responsabilità del Comune ricorrente, avendo la stessa Corte d’Appello riconosciuto che tale condanna era stata erroneamente disposta dal Tribunale su suo autonomo impulso.
Infine, non poteva neppure ritenersi che la decisione di porre a carico del Comune di Tuglie le spese del Comune di Parabita fosse ricollegabile alla fondatezza degli altri due motivi d’appello, riconosciuti fondati dalla Corte salentina ed attinenti al merito.
3. Con il terzo motivo del ricorso principale è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 270 e 107 c.p.c.
Si duole il comune ricorrente che la Corte d’Appello aveva erroneamente dichiarato inammissibile per tardività la chiamata in causa del Comune di Parabita da parte del Comune di Tuglie. Rileva, in particolare, che con la comparsa di costituzione aveva chiesto che fosse ordinata la chiamata in causa del Comune di Parabita, non ai sensi dell’art. 106 c.p.c., ma, a norma dell’art. artt. 270 e 107 c.p.c., in quanto soggetto eventualmente tenuto al pagamento delle rette domanda dall’Istituto attore, proponendo quindi una mera sollecitazione all’esercizio di poteri discrezionali del giudice di merito all’integrazione del litisconsorzio processuale per motivi di opportunità, a garanzia dello stesso attore e del terzo medesimo. Si trattava quindi di una chiamata di terzo ex art. 107 c.p.c., che il giudice può ordinare in ogni momento del giudizio di primo grado, mentre la Corte d’Appello la aveva erroneamente sussunta nella disciplina della chiamata in garanzia del terzo, ex art. 106 c.p.c., ritenendola perciò sottoposta alle decadenze di cui all’art. 106 c.p.c.
Ne consegue che nessuna nullità della chiamata del Comune di Parabita può essere addebitata al Comune di Tuglie e le spese del giudizio sostenute dal terzo chiamato, iussu iudicis, avrebbero dovuto essere poste a carico dell’attore soccombente.
4. Con il quarto motivo del ricorso principale è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 4 L. n. 380/2000.
Omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.
Si duole il comune ricorrente che l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui il pagamento delle rette di ricovero della sig.ra (omissis) sarebbe spettato al comune di residenza al momento del ricovero (e quindi al comune di Tuglie), rappresenta un sostanziale obiter dictum, essendo tale punto stato assorbito dalla statuizione di nullità della chiamata in causa del comune di Parabita e dal giudicato di rigetto formatosi sulla domanda proposta nei confronti del Comune di Tuglie.
Contesta, altresì, l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui si sarebbe formato un giudicato interno sul fatto che il ricovero della sig.ra (omissis) non poteva essere considerato volontario, evincendosi dalla sentenza di primo grado che il ricovero era stato, invece, “facoltativo”.
Inoltre, erroneamente, la Corte d’Appello aveva ritenuto che il ricovero avesse i requisiti della stabilità, sul rilievo che era stato prolungato, dovendo tale requisito essere valutato ex ante e non ex post.
Infine, erroneamente, era stato ritenuto che sussistessero i presupposti di legge di cui all’art. 6 comma 4 L. 380/2000 per porre a carico del Comune di Tuglie le rette di cui è causa.
5. Con il ricorso incidentale l’Istituto Suore Discepole del Sacro Cuore ha dedotto la violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. Illogicità della sentenza.
Rileva, in particolare, il ricorrente incidentale che non aveva alcun interesse giuridicamente rilevante ad impugnare la sentenza del giudice di primo grado nella quale era risultato vincitore. La sentenza di primo grado gli aveva riconosciuto il diritto ad essere pagato per le prestazioni rese a favore del soggetto ricoverato, sig.ra (omissis), seppur ponendo a carico l’obbligo di pagamento non in capo al comune convenuto, ma a quello terzo chiamato. Ne consegue che la sentenza impugnata, nella parte in cui aveva affermato che il ricorrente incidentale avrebbe dovuto impugnare la sentenza di primo grado, avrebbe dovuto essere annullata per illogicità. Il ricorrente incidentale non aveva alcun interesse ad impugnare una sentenza che gli aveva riconosciuto il diritto, ma si era correttamente limitato, sia in sede di precisazione delle conclusioni che in comparsa conclusionale, a chiedere la condanna di chi di dovere.
6. Va esaminato per primo il ricorso incidentale dell’Istituto – che riveste valore prioritario – ed è fondato.
Il ricorrente incidentale ben ha colto l’erroneità della sentenza impugnata, la quale, pur avendo accertato la sussistenza dei presupposti per porre a carico del Comune di Tuglie le spese per il ricovero della madre dei minori (residente in tale Comune), ha affermato che l’Istituto delle suore, cui la sentenza di primo grado aveva riconosciuto il diritto al pagamento delle rette (seppur prevedendo l’obbligo di pagamento a carico del comune terzo chiamato), avrebbe dovuto impugnare, quantomeno con gravame incidentale, la sentenza di primo grado nella parte in cui era stata esclusa la responsabilità del Comune di Tuglie.
Va, in proposito, osservato che questa Corte ha affermato, in una fattispecie del tutto simile alla presente, il principio secondo cui, nel caso di cosiddetto litisconsorzio “alternativo”, sussistente allorché il convenuto nel giudizio di danno chiami in causa un terzo, assumendo che questi debba ritenersi in via esclusiva tenuto al risarcimento domandato dall’attore, quest’ultimo deve ritenersi vittorioso tanto se la domanda venga accolta nei confronti del convenuto, quanto se venga accolta nei confronti del chiamato in causa, al quale l’originaria domanda si estende automaticamente. Ne consegue che, proposto appello dal chiamato in causa soccombente, il danneggiato non ha l’onere di proporre appello incidentale condizionato per fare dichiarare la responsabilità di uno dei possibili responsabili, per l’ipotesi in cui venisse accolto l’appello proposto dall’altro (Cass. 3613/2014).
Nel caso di specie, l’Istituto delle suore, essendo risultato pienamente vittorioso nel giudizio di primo grado, non aveva alcun interesse a proporre impugnazione, neppure incidentale, essendo tenuto solo a riproporre le proprie domande ex art. 346 c.p.c., e ciò aveva fatto, concludendo, in grado di appello, per “la condanna di chi dovere”, circostanza di cui ha dato atto la stessa sentenza d’appello.
Ne consegue che, la Corte di Appello nel ritenere erroneamente che si fosse formato un giudicato interno (per effetto della mancata impugnazione da parte dell’Istituto) sulla parte della sentenza di primo grado che aveva escluso la responsabilità del Comune di Tuglie, parimenti erroneamente, non si è pronunciata sulla domanda di pagamento delle rette proposta dall’Istituto.
7. Il terzo motivo del ricorso principale, da esaminare con precedenza, per priorità logica, rispetto al secondo, presenta concomitanti profili di inammissibilità ed infondatezza.
Il Comune di Tuglie assume in questa sede che la chiamata del terzo è avvenuta “iussu iudicis” ex art. 107 e 270 c.p.c., e non ex art. 106 c.p.c., con la conseguenza che non sarebbe stata soggetta alle decadenze di cui all’art. 167 c.p.c., atteso che la chiamata del terzo su ordine del giudice può essere disposta in qualsiasi momento del giudizio di primo grado. Senonchè, dallo stesso ricorso, si evince che il Comune di Parabita era stato chiamato “in quanto soggetto eventualmente tenuto a corrispondere le indennità richieste”. E sul punto, la sentenza di appello ha affermato che tale ente era stato chiamato dal Comune di Tuglie, in quanto “tenuto al pagamento delle somme in questione”.
Si tratta dell’ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, ai sensi dell’art. 106 c.p.c. indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell’attore; caso nel quale la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario (Cass. 516/2020; conf. Cass. n. 15232/2021). Nessun riferimento alla diversa fattispecie di cui agli artt. 107 e 270 c.p.c. si desume, per contro, dall’impugnata sentenza, e, sul punto, la censura difetta di autosufficienza, perché, da un lato, non è stato riportato, neppure in termini sintetici, il provvedimento del giudice di primo grado che avrebbe disposto la chiamata del terzo ex art. 107 c.p.c., ed essendo stato, dall’altro, solo genericamente dedotto che nella comparsa di costituzione e risposta di primo grado il Comune di Tuglie aveva sollecitato l’esercizio dei poteri discrezionali del giudice di merito in ordine all’integrazione del litisconsorzio processuale, senza che tale comparsa sia stata riprodotta, sul punto, nel ricorso.
Al riguardo, va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 23834 del 25/09/2019, vedi anche Cass. n. 7499/2020) quello secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Suprema Corte ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti.
Pertanto, la Corte d’Appello, una volta qualificata coerentemente la chiamata di terzo, come effettuata a norma dell’art. 106 c.p.c., ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il convenuto per poter legittimamente formulare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 167, comma terzo, e 269 cod. proc. civ., l’istanza di chiamata in causa di un terzo deve necessariamente costituirsi tempestivamente, ovvero nel rispetto del termine fissato dall’art. 166 dello stesso codice di rito, di modo che in caso di tardività della costituzione deve conseguire la declaratoria di inammissibilità della predetta richiesta (Cass. 12490/2007).
8. Il primo, il secondo motivo ed il quarto motivo del ricorso principale sono assorbiti. Infatti, quanto ai primi due motivi, le spese dei due gradi dovranno essere rideterminate dal giudice del rinvio, quanto al quarto, i presupposti per il riconoscimento delle spese della madre dovranno essere valutati, del pari, una volta che il giudice di rinvio si sarà espresso sulla domanda proposta nei confronti del Comune di Tuglie.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Depositato in Cancelleria l’8 agosto 2024.