Massima

Il Consiglio di Stato, riformando la sentenza del TAR Puglia, ha confermato la legittimità dell’informativa antimafia emessa nei confronti di un’azienda agricola, affermando che la valutazione del pericolo di infiltrazione mafiosa deve basarsi su un esame globale degli elementi indiziari, anche in assenza di prove certe di reati. La sentenza evidenzia come il Prefetto, nel valutare il rischio di condizionamento mafioso, goda di ampia discrezionalità e il suo giudizio può essere sindacato dal giudice amministrativo solo sotto il profilo della logicità e della ragionevolezza.

Supporto alla lettura

MISURE DI PREVENZIONE

Le misure di prevenzione sono misure special-preventive, dirette ad evitare la commissione di reati da parte di soggetti considerati socialmente pericolosi. Vengono applicate indipendentemente dalla commissione di un precedente reato e sono nate per contrastare le organizzazioni criminali ed i patrimoni illecitamente accumulati, oltre che per controllare fenomeni di disagio sociale.

Plurimi interventi normativi hanno nel tempo rimodulato le misure di prevenzione sino a giungere al D. Lgs. n. 159/2011 c.d. Codice Antimafia che ha dato una sistemazione organica alla materia, modificato ed integrato dalla Legge 161/2017.

Possono essere proposte dal Questore, dal Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, dai Procuratori della Repubblica presso i Tribunali di distretto ove dimora la persona, nonché dal Direttore della DIA.

I soggetti destinatari delle stesse, sono delinquenti abituali e indiziati di:

  • reati specifici con finalità di terrorismo;
  • reati diretti a sovvertire l’ordine dello Stato;
  • reati a sostegno di organizzazioni mafiose o con fini terroristici.

Si suddividono in:

  • misure di prevenzione personali giurisdizionali: incidono sulla libertà personale del soggetto ritenuto socialmente pericoloso, il quale può essere sottoposto a sorveglianza speciale (da 1 a massimo 5 anni) e obblighi o divieti relativi alla residenza/dimora;
  • misure di prevenzione patrimoniali giurisdizionali: provvedimento cautelare riguardante i beni ritenuti frutto di attività illecite. Tali misure consistono nel sequestro e poi confisca dei beni, e vi è la possibilità di richiedere ed ottenere anche l’istituto del “controllo giudiziario di azienda”.

Ambito oggettivo di applicazione

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 249 del 2024, proposto dal Ministero dell’Interno, dall’Agea Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

(omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, n. (omissis), resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio (omissis)

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2024 il Cons. (omissis) e dato atto, ai sensi di legge, dei difensori delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. L’odierna appellata, (omissis), ha chiesto, nel primo grado di giudizio, con ricorso introduttivo notificato il 29.7.2020 -integrato da successivi motivi aggiunti- l’annullamento, previa sospensiva, dell’informativa interdittiva antimafia prot. n. (omissis), emessa dalla Prefettura di Barletta, nonché la nota n. (omissis) emessa da Agea -UCC.

1.1. Il provvedimento interdittivo si fonda sulle cointeressenze del titolare della ditta appellata con il genitore, signor (omissis), e la famiglia d’ origine, tenuto anche conto della caratura criminale del padre, confermata oltre che dai plurimi precedenti penali e di polizia, anche dai rapporti dello stesso con la criminalità non solo ordinaria; evidenziandosi, altresì l’unicità della gestione di tutti i beni e le attività in capo al medesimo. Dai visti precedenti penali e di polizia sarebbe, infatti, emerso che il signor (omissis) era dedito alle rapine ai danni di banche sia ai portavalori, oltre che autore di furti di auto di grossa cilindrata.

1.2. Il provento di tali attività illecite avrebbe consentito, nel corso degli anni, a quest’ultimo di investire ingenti risorse di denaro nell’ acquistato di terreni e aziende agricole, ottenendo in seguito per gli stessi indebite percezioni di contributi agricoli, come confermato dai contestati reati di truffa e falso. Inoltre, l’informatica gravata richiama le frequentazioni e i collegamenti del signor (omissis) con criminali di spessore della criminalità organizzata, in specie, quella cerignolana, acquisiti attraverso i plurimi episodi delittuosi, i relativi processi si sono poi conclusi con la prescrizione.

1.3. Il TAR ha accolto il ricorso ed i motivi aggiunti, per l’effetto, annullato la interdittiva della Prefettura di Barletta del 20 settembre 2019, prot. (omissis), unitamente agli atti ad essa conseguenti, compensando le spese. Ad avviso del primo giudice “la situazione dell’azienda individuale non può non ritenersi un’entità separata rispetto alle rimanenti aziende della famiglia (omissis), né la ditta appellata può essere astrattamente qualificata come impresa familiare”.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Ministero dell’Interno, con un unico articolato motivo di ricorso e ne ha chiesto la riforma, con il conseguente ripristino degli effetti degli atti annullati in prime cure.

2.1. Il Ministero appellante insiste per la legittimità dell’interdittiva prefettizia gravata, ritenendo la stessa …” supportata da un quadro probatorio che – complessivamente considerato – lascia trapelare la riconducibilità della ditta appellata alla famiglia del signor (omissis)”, ciò in particolare sarebbe emerso da: i. un insieme di fatti quali l’attività a delinquere effettuata dal signor (omissis); ii. dall’acquisto di numerosi terreni, alquanto estesi di cui 450 ettari, che risultano di proprietà di entrambi i genitori e del figlio (omissis), con il provento dei delitti commessi; iii. dall’affitto dei terreni tra parenti ad un prezzo irrisorio, oltre che dalla richiesta di contributi agricoli da parte del signor (omissis). La caratura criminale del legale rappresentante dell’azienda appellata è stata meglio evidenziata, a seguito del deposito della sentenza del primo giudice e, non contraddetta, dalla confisca del Tribunale di Bari, Sezione misure di prevenzione, n. (omissis), confermata in appello, intervenuta in seguito al deposito della sentenza oggi gravata.

2.2. Si sono costituite in giudizio (omissis) e i coadiutori dell’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata -già amministratori giudiziari della medesima Azienda-, depositando memoria in data 22.3.2024, a mezzo della quale concludono per il rigetto dell’appello.

2.3. L’ Avvocatura dello Stato, con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza di discussione ha declinato il patrocinio dell’ANBSC, sul presupposto che la stessa assumerà la veste di controparte processuale, al momento della confisca definitiva in cui l’Azienda appellata sarà di proprietà dell’ANBSC.

2.4. Da ciò deriva l’incompatibilità della difesa erariale, posto che, l’illegittimità dell’informativa antimafia, adottata dalla Prefettura di Barletta Andria Trani, andrà inevitabilmente a porsi in conflitto con gli interessi perseguiti dall’ANBSC che, come detto, diverrà proprietaria dell’azienda colpita dalla misura interdittiva.

2.5. Con l’ordinanza n. (omissis), emessa nella camera di consiglio dell’1 febbraio 2024, il Collegio ha accolto l’appello cautelare proposto dall’Ufficio Territoriale del Governo di Barletta.

3. Nell’udienza pubblica dell’11 luglio 2024 il Collegio, sulle conclusioni come rassegnate dalle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

4. L’appello del Ministero dell’Interno è fondato.

4.1. Giova, anzitutto, richiamare le principali acquisizioni giurisprudenziali, più recenti, in subiecta materia (cfr., Consiglio di Stato, sez. III, n. 9558 del 29 settembre 2022), nel senso che:

– l’informativa antimafia postula concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata;

– quanto alla “ratio” della interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta – ad un tempo – alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione;

– l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti “affidabile”) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;

– ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione “parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;

– è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il “concorso esterno” o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;

– il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;

– pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;

– tra gli elementi rilevanti vi sono i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia: l’amministrazione può ragionevolmente attribuire loro rilevanza quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità; tali contatti o frequentazioni (anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono) possono far presumere, secondo la logica del “più probabile che non”, che l’imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario – scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi; quand’anche ciò non risulti punibile (salva l’adozione delle misure di prevenzione), la consapevolezza dell’imprenditore di frequentare soggetti mafiosi e di porsi su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità (che lo Stato deve invece demarcare e difendere ad ogni costo) deve comportare la reazione dello Stato proprio con l’esclusione dell’imprenditore medesimo dal conseguimento di appalti pubblici e comunque degli altri provvedimenti abilitativi individuati dalla legge;

– in altri termini, l’imprenditore che – mediante incontri, telefonate o altri mezzi di comunicazione, contatti diretti o indiretti – abbia tali rapporti (e che si espone al rischio di esserne influenzato per quanto riguarda le proprie attività patrimoniali e scelte imprenditoriali) deve essere consapevole della inevitabile perdita di “fiducia”, nel senso sopra precisato, che ne consegue (perdita che il provvedimento prefettizio attesta, mediante l’informativa);

– non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile – secondo il principio del “più probabile che non” – il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell’ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell’attualità e concretezza del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n.1743);

– l’ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la valutazione prefettizia sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 7 agosto 2001, n. 4724);

– tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo sotto il solo profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato, sez. V, 25 giugno 2010, n. 7260).

4.2. Ebbene, il Prefetto di Barletta, in applicazione delle suindicate coordinate ermeneutiche, ha individuato nei termini seguenti gli elementi indiziari afferenti alla ditta appellata, originariamente ricorrente, rappresentati, anzitutto, dalla riconducibilità della ditta appellata alla famiglia di (omissis) come risulta con ogni evidenza dai fatti e dalle considerazioni riportate nel provvedimento gravato e meglio descritte in narrativa.

4.3. Se a tali elementi si aggiungono i dipendenti con precedenti penali, le frequentazioni con persone controindicate le relazioni di amicizia dei figli di (omissis) con le figlie di pregiudicati tra il quali il signor (omissis), ritenuto soggetto intraneo alla criminalità organizzata non può ragionevolmente escludersi, alla stregua delle suesposte coordinate interpretative, il ritenuto assoggettamento a possibili influenze e condizionamenti della ditta appellata alla criminalità organizzata

4.4. Sotto tale ultimo aspetto il Collegio è, dunque, dell’avviso che il ricorso risulti nel merito fondato già per le considerazioni sopra evidenziate.

4.5. In definitiva si osserva ancora che la misura cautelare e preventiva impugnata in primo grado, come si è già detto, si fonda su una pluralità di elementi che, valutati complessivamente, inducono a ritenere non irragionevole la valutazione del Prefetto circa il pericolo che la ditta appellata sia esposta al condizionamento mafioso. Gli accertamenti svolti dal Prefetto di Barletta, infatti, ineriscono essenzialmente all’attività di prevenzione volta a contrastare, sin dall’avvio delle indagini, l’ingerenza della criminalità organizzata in attività imprenditoriali, anche a prescindere dai successivi patti emessi dall’Autorità giudiziaria con riguardo al provvedimento di confisca.

4.6. Le informazioni fornite dalle Forze di Polizia, a seguito della conclusione della fase istruttoria e, sottoposte all’esame del Gruppo Ispettivo (omissis), rappresentano, invero, una spia evidente della possibile sussistenza del pericolo di infiltrazione della criminalità pugliese, nella ditta appellante ove considerata ricondotta all’unicità di gestione con le imprese facenti capo al signor (omissis).

4.7. Nel dettaglio dei rilievi mossi, assume certamente rilevanza il suindicato contributo della Direzione Investigativa (omissis) che non è stato, peraltro, elemento informativo esclusivo, sufficiente per addivenire al provvedimento interdittivo, dovendosi ritenere altresì comprovata da

un fatto ulteriore e precisamente che “all’indomani di una operazione di polizia, all’interno delle proprietà dei (omissis), (omissis) madre di (omissis), si è recata, in data 11.01.2019, presso il Commissariato di Andria per effettuare una denuncia/querela nella quale ha dichiarato: “Sono titolare dell’Azienda agricola (omissis) con sede in Andria alla via (omissis) mentre mio figlio (omissis) è titolare dell’omonima impresa agricola (omissis), con sede legale in Andria alla (omissis) e sede operativa sempre alla via (omissis),. Trattandosi di aziende a conduzione famigliare vi lavora l’intero nucleo famigliare”. Copia di detta denuncia è stata poi trasmessa alla Prefettura dalla Questura di Barletta Andria Trani con nota n. (omissis), cat. (omissis).

4.8. Ne segue la fondatezza dell’appello per tutte le assorbenti questioni sin qui esaminate anche alla luce del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui gli elementi indiziari menzionati nel provvedimento interdittivo non possono costituire oggetto di una disamina parcellizzata, dovendo essere soppesati nell’ottica di una analisi e di una visione complessive e d’insieme.

4.9. Nella specie i singoli segmenti del quadro valutativo posto dall’Amministrazione a fondamento della prognosi di condizionamento mafioso sono, ad avviso del Collegio, tali da caratterizzare quel minimum di pregnanza indiziaria adeguata a supportare la legittimità del provvedimento gravato in primo grado.

5. L’appello, in conclusione, deve essere accolto, mentre la peculiarità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto dall’ Ufficio territoriale del Governo di Barletta, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto dal (omissis) in primo grado.

Compensa integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 196 del 2003 (e degli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della ditta appellante e dei suoi due soci e delle altre società riferite al signor (omissis) e del signor (omissis).

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

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