2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Con il primo motivo si deduce la “violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 192 c.p.p., art. 351 c.p.p., comma 1 ter e art. 609 quinquies c.p. per mancanza, insufficiente e illogicità della motivazione, in relazione al mancato ascolto della minore. Travisamento probatorio”.
La giurisprudenza avrebbe ritenuto che, ai fini della configurabilità del reato ex art. 609-quinquies c.p., oltre al contenuto sessuale esplicito delle foto, occorrerebbe accertare che il minore sia stato in grado di percepire la sgradevolezza dell’immagine: pertanto, sarebbe stato necessario esaminare la persona offesa al fine di accertare se avesse percepito la sgradevolezza e il significato dell’immagine.
La Corte territoriale, senza motivare sull’irrilevanza dell’ascolto, avrebbe rigettato la richiesta della difesa di esame della minore, per valutare la capacità di quest’ultima di percepire il coinvolgimento emotivo, ritenuto elemento costitutivo del reato, tenendo anche conto che si trattava di una bambina di sei anni.
L’esame della minore sarebbe stato necessario alla luce di quanto riferito dalla minore alla madre, a cui avrebbe detto che la fotografia rappresentava un “dito, travestito da paglione, perché era rosso sopra. Per paglione intendeva il bersaglio del tiro a segno visto usare dallo zio materno”.
La deposizione sarebbe stata necessaria per apprendere precisamente cosa effettivamente avesse percepito la minore, senza ancorarsi alla testimonianza de relato della madre, che potrebbe anche aver ampliato i contenuti di quanto avvenuto, come reazione al comportamento dell’imputato.
La motivazione sul rigetto della richiesta difensiva sarebbe una mera congettura, in quanto non evidenzierebbe i motivi per i quali il mancato ascolto della minore non avrebbe potuto incidere sulla configurabilità dell’illecito; altrettanto priva di fondamento sarebbe l’affermazione secondo cui sintomatico della penale responsabilità sarebbe il comportamento processuale dell’imputato,
in quanto la Corte di appello non ne evidenzierebbe precisamente i confini.
L’ascolto della minore si sarebbe reso ancora più necessario alla luce della teoria psicogiuridica di D., secondo cui i minori in fase evolutiva tendono ad offrire un’interpretazione dei fatti travisata se proposta da persone autorevoli e alla luce della teoria di Berliner-Barbieri secondo cui i bambini piccoli, se interrogati a distanza di tempo, possono essere indotti dagli adulti ad interpretare come molestie sessuali azioni che non lo sono. Inoltre, anche la legislazione internazionale si è occupata della problematica dell’ascolto del minore e con la ratifica della Convenzione di Lanzarote si è posto l’obbligo di raccolta di dichiarazioni del minore già nella fase delle indagini.
In assenza dell’escussione della minore, mancherebbe la prova del coinvolgimento emotivo della persona offesa: prova che non potrebbe essere sostituita dal genitore, economicamente ed emotivamente interessato alla vicenda.
La motivazione sarebbe il frutto anche di un travisamento della prova poiché, secondo quanto riferito dalla madre della bambina, l’immagine mostrata avrebbe evocato nella minore un gioco fatto dallo zio; l’immagine non sarebbe, altresì, idonea ad integrare il reato, non avendo il significato esplicito di atto sessuale, né vi sarebbe certezza che la minore l’abbia percepito come tale, tenuto conto di quanto riferito alla madre.
2.2. Con il secondo motivo si deducono i vizi della motivazione e di violazione di legge sull’erronea applicazione dell’art. 609-quinquies c.p. in relazione all’elemento oggettivo del reato.
L’immagine mostrata alla minore non costituirebbe materiale pornografico, non avrebbe la natura di rappresentazione di un atto sessuale esplicito e dunque non rientrerebbe nel concetto di cui all’art. 609-quinquies c.p., essendo rappresentativa di un “membro maschile”, di cuì la minore non ne avrebbe colto il significato e non sarebbe stata emotivamente colpita dall’immagine; non sarebbe stata compromessa la sua libertà sessuale, secondo quanto riferito alla madre.
Come dichiarato dall’imputato, egli avrebbe mostrato l’immagine alla bambina per un mero errore di digitazione, senza che tale immagine abbia comunque turbato l’emotività e la libertà sessuale della minore.
La Corte di appello avrebbe travisato il contenuto della immagine poiché avrebbe ritenuto che abbia un esplicito contenuto sessuale mentre era significativa di un membro maschile.
2.3. Con il terzo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione in ordine all’accertamento del coinvolgimento emotivo della minore.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non risulterebbe che la minore abbia mostrato un coinvolgimento emotivo tale da compromettere la propria libertà sessuale, per l’immagine mostrata, tenuto conto di quanto riferito alla madre, prima riportato. Nonostante tale dichiarazione, sintomatica di come non costituisse una l’immagine pornografica e non fosse idonea a determinare un disagio emotivo nella minore, la Corte territoriale avrebbe condannato l’imputato con una motivazione contraddittoria in base a quanto riferito de relato dalla madre della persona offesa.
2.4. Con il quarto motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico. La motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo sarebbe meramente apparente: arriverebbe alle conclusioni senza indicarne i motivi.
La Corte di appello non avrebbe correttamente valutato le dichiarazioni dell’imputato che ha rappresentato di aver mostrato l’immagine per errore e, accortosi dell’errore, di aver ritirato subito il telefonino; la valutazione di tale circostanza sarebbe fondamentale per affermare la sussistenza o meno dell’elemento soggettivo.
La Corte di appello avrebbe, inoltre, quanto al dolo specifico richiesto dalla norma, puramente affermato che la condotta fosse finalizzata a indurre la minore a compiere o subire atti sessuali, mentre avrebbe dovuto provare tale finalità; la Corte territoriale avrebbe motivato su circostanze generiche e non decisive, o addirittura non provate, quali “aveva riposto in tasca il cellulare quanto la madre si era avvicinata” o “si era avvicinato in maniera invadente”.
Dallo sviluppo dell’azione non emergerebbe la sussistenza del dolo specifico, tenuto conto che l’immagine era contenuta in un telefonino mobile, con un piccolo display, esibito per un brevissimo lasso di tempo, che non rendeva evidente per la minore l’immagine mostrata.
Il dubbio sulla sussistenza dell’elemento psicologico emergerebbe anche dalla circostanza che il padre della minore avrebbe contattato l’imputato per chiedere spiegazioni del suo comportamento: ciò significherebbe che esistevano margini di dubbio in ordine all’effettiva portata dell’azione realizzata dall’imputato.
1.1. In punto di diritto è errata la tesi difensiva per cui per la consumazione del reato sia necessario l’accertamento che il minore sia in grado di percepire la sgradevolezza dell’immagine.
L’elemento oggettivo del reato contestato, per quanto qui interesse, si concretizza con la sola esibizione al minore di 14 anni di materiale pornografico.
Il reato ex art. 609-quinquies c.p. tutela, infatti, il corretto sviluppo del minore, mediante la punizione di condotte invasive, finalizzate per altro all’induzione al compimento o a subire atti sessuali. E’ una norma che pone un’anticipazione della tutela penale, rispetto a più gravi reati, per impedire condotte lesive.
Ai fini della consumazione non è necessario né che il minore percepisca o sia in grado di percepire la sgradevolezza della immagine né che subisca un danno o sia concretamente e negativamente coinvolto emotivamente dalla condotta dell’agente.
1.2. Pertanto, posto che il fatto oggetto del processo non è stato neanche contestato – l’imputato ha ammesso di aver esibito la foto del membro alla bambina, seppur per errore – la Corte territoriale ha correttamente ritenuto superflua l’audizione della minore.
Del tutto irrilevanti sono le ulteriori argomentazioni sulla necessità di procedere all’esame della minore.
1.3. Errata è anche la tesi difensiva per cui la foto non costituirebbe materiale pornografico: la definizione di materiale pornografico può essere desunta dall’art. 600-ter c.p., u.c., eliminando i riferimenti ai minori: la rappresentazione degli organi sessuali concretizza il materiale pornografico rilevante ex art. 609-quinquies c.p..
1.4. Del tutto insussistente è poi il travisamento della prova perché in realtà il ricorrente contesta il significato attribuito dai giudici di merito alla testimonianza o il valore attribuito dalla Corte di appello alla foto.
2. Contrariamente a quanto indicato nel ricorso, la Corte di appello ha escluso esplicitamente, con la motivazione del primo capoverso di pagina 6, che l’esibizione della foto sia avvenuta per errore, rispetto a tale valutazione di merito, non sono stati dedotti specifici motivi volti a dimostrare la sussistenza del vizio della motivazione.
2.1. E’, invece, fondato il quarto motivo con cui si deduce il vizio della motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, quanto, in particolare, al dolo specifico.
2.1. Il delitto ex art. 609-quinquies c.p., comma 2 per la condotta che qui interessa, è a dolo specifico perché l’esibizione del materiale pornografico deve essere finalizzata ad indurre il minore di 14 anni “a compiere o subire atti sessuali”.
Ciò posto, la sussistenza della volontà di far compiere o subire gli atti sessuali deve essere valutata in relazione alle modalità dell’azione: deve cioè emergere anche dalle circostanze di tempo e di luogo della condotta, laddove le stesse siano indicative delle specifiche finalità dell’atto.
Cfr. sul punto Sez. 6, n. 16465 del 06/04/2011, Serena Monghini, Rv. 250007 – 01, per cui, in tema di dolo, la prova della volontà di commissione del reato è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca delle concrete circostanze che abbiano connotato l’azione e delle quali deve essere verificata la oggettiva idoneità a cagionare l’evento in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro coordinazione.
2.2. La sentenza, dopo aver motivato sulla volontaria esibizione della foto alla bambina, sostiene che “La condotta di T. era finalizzata ad indurre la piccola a compiere o meglio subire atti sessuali che le circostanze di tempo e di luogo (esercizio pubblico e la presenza della madre della minore) non potevano impedire, visti i fatti verificatisi proprio in tale contesto ambientale”.
Ora, tale motivazione è manifestamente illogica laddove appare valorizzare, nel senso della volontà di indurre la minore a compiere o subire atti sessuali evidentemente ben diversi dalla esibizione di immagini pornografiche ed impropriamente, invece, assimilate ai primi dalla Corte di appello – circostanze di tempo e di luogo quali la presenza della madre della minore e lo svolgimento del fatto in un esercizio pubblico, oggettivamente non compatibili, al contrario di quanto osservato in sentenza, con la prefigurazione, da parte del soggetto agente, di poter indurre la minore a compiere o subire i predetti atti.
3. In accoglimento del quarto motivo, sul vizio della motivazione sulla sussistenza del dolo specifico, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2022