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Consiglio di Stato sez. II, 08/04/2024, n.3212

Massima

L’ordine di demolizione in caso di abusi edilizi è un atto vincolato e sanzionatorio che non richiede una valutazione specifica delle ragioni di interesse pubblico né la comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti. Non si può invocare un affidamento basato sulla conservazione di una situazione abusiva, poiché il tempo non può legittimare tale situazione.

 

Supporto alla lettura

ORDINANZA DI DEMOLIZIONE

L’ordinanza di demolizione (o ingiunzione di demolizione), rappresenta un atto amministrativo mediante il quale il Comune, ordina la demolizione di un edificio non autorizzato, realizzato in modo abusivo o non conforme alla normativa edilizia vigente.

Nell’ambito delle pratiche abusive nel settore edilizio, vi sono diverse tipologie di infrazioni che possono portare all’emissione di un’ordinanza di demolizione:

  • lottizzazione abusiva: divisione di terreni in lotti edificabili senza autorizzazione;
  • lavori eseguiti senza permesso o in difformità edilizia: casi in cui vengono eseguiti lavori edilizi senza ottenere il permesso necessario o in totale difformità da esso senza rispettare la normativa vigente;
  • interventi abusivi su terreni pubblici: interventi eseguiti su terreni di proprietà pubblica senza autorizzazione, che compromettono l’utilizzo corretto del territorio destinato a fini pubblici;
  • difformità delle norme urbanistiche: qualsiasi intervento edilizio realizzato in difformità dalle norme urbanistiche e dai piani regolatori vigenti;
  • violazione di vincoli edilizi: opere eseguite in violazione dei vincoli edilizi imposti da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche, che possono riguardare la destinazione d’uso del terreno, il rispetto di zone inedificabili o la salvaguardia di aree di particolare interesse storico o ambientale.

Secondo quanto stabilito dall’art. 31 del D.P.R. 380/01, è compito del dirigente o del responsabile dell’ufficio comunale esercitare il potere di vigilanza sull’attività urbanistica ed edilizia. Dopo aver accertato l’abuso edilizio, il Comune emette un’ordinanza di demolizione, pubblicata sul sito istituzionale e comunicata anche al Prefetto.

Il destinatario ha 60 giorni per impugnare l’ordinanza davanti al T.A.R. o presentare una richiesta di sanatoria. Se non viene avviato alcun procedimento di sanatoria nei 90 giorni successivi, la Polizia Municipale verifica l’adempimento dell’ordinanza.

Data la natura dell’ordinanza, che impone la demolizione entro 90 giorni e il cui termine, se non prorogato, porta alla confisca automatica del bene, la fase cautelare durante il processo di impugnazione riveste un ruolo fondamentale, infatti, il decorso dei 90 giorni previsti dalla legge, può essere interrotto solo mediante sospensione decisa dal giudice amministrativo su richiesta della parte ricorrente. Questa sospensione congela il termine e impedisce la confisca automatica del bene non demolito.

L’ordinanza di demolizione non sempre viene immediatamente eseguita, e ciò può determinare una serie di implicazioni e difficoltà di cui è essenziale essere consapevoli. Una delle prime conseguenze che possono manifestarsi in caso di mancata esecuzione dell’ordine di demolizione è l’applicazione di sanzioni pecuniarie. Inoltre, secondo quanto sancito dall’art. 31 comma 3 del D.P.R. 380/01, se il responsabile dell’abuso non demolisce conripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dalla notifica, il bene e l’area su cui è stato costruito illegalmente diventano proprietà gratuita del Comune.

In caso di accertamento di inottemperanza, ossia se l’abuso edilizio non viene rimosso entro il termine di 90 giorni fissato dall’ordinanza demolitoria, le sanzioni pecuniarie previste dal D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) possono variare da 2.000 a 20.000 euro.

Dopo aver ricevuto l’ordine di demolizione, è possibile presentare un’istanza di sanatoria per l’abuso edilizio (o accertamento di conformità), per ottenere il permesso di costruire in sanatoria o per richiedere la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA in sanatoria) o la CILA tardiva.

L’istanza di sanatoria può essere presentata anche se è già stato presentato un ricorso al Giudice Amministrativo contro l’ordine di demolizione, entro un termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento. In questo caso, l’ordine di demolizione viene temporaneamente sospeso in attesa del completamento del nuovo e separato procedimento relativo alla sanatoria dell’abuso edilizio.

Le situazioni in cui un’ordinanza di demolizione può decadere sono le seguenti:

  • se l’ordine di demolizione risulta sproporzionato rispetto alla gravità dell’abuso commesso;
  • se è in corso un processo di regolarizzazione (sanatoria), la demolizione può essere sospesa e poi annullata;
  • in casi in cui il ripristino dello stato originario risulta impossibile senza danneggiare irreparabilmente la parte dell’edificio costruita correttamente (fiscalizzazione dell’abuso edilizio).

Ambito oggettivo di applicazione

FATTO

1. In esito a sopralluogo effettuato il 7 gennaio 2016 dalla Polizia locale di Somma Vesuviana è stato accertato che in un fabbricato per civile abitazione di proprietà dei sigg. (omissis) e (omissis), odierni ricorrenti, sito nella Via Cupa San Patrizia, n. 10, e distinto al N.C.T.U. del Comune di Somma al Foglio 15, Particella 270, erano stati effettuati interventi edilizi abusivi consistenti nel:

a) completamento della tettoia posta sopra il solaio del secondo piano attualmente anche abitato;

b) realizzazione sul versante nord del lotto, di una tettoia con profilati in ferro coperta da lamiere grecate di circa mq 45,00 per un’altezza media di mt 2,90 che si presenta completa ed in uso;

c) realizzazione di una tettoia sul versante sud del lotto, profili in ferro e copertura in lamiera grecata di circa mq 24,00 per altezza media di mt 2,90 che si presenta completa ed in uso;

d) formazione di una cantinola interrata sul versante sud-est del fondo di circa mq 12,00 per altezza mt 4,00 con ingresso a falda inclinata a livello campagna di mq 2,80 per altezza massima di circa mt 2,00”.

2. La zona in cui ricade l’immobile in questione è ricompresa in area sottoposta a vincolo paesaggistico, ai sensi del d. lgs. 42/2001, (ex art. 1439/1939) e della L. 394/1991, istitutiva dell’Ente parco Nazionale del Vesuvio, dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 26 ottobre 1961 nonché in territorio dichiarato sismico (ordinanza cautelare n. 972 del 5.07.2017).

3. Conseguentemente, il Comune di Somma Vesuviana adottava, in data 17 marzo 2017, ordinanza n. 32 di demolizione delle opere abusive e di ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.

4. L’ordinanza veniva impugnata innanzi al Tar Campania deducendone l’illegittimità per le seguenti motivazioni:

a) violazione degli artt. 3, 31 e 34, comma 2, del d.P.R. n. 380/01, degli artt. 3 e 7 della legge n. 241/90, delle ll.rr. n. 19/01 e n.10/1982 (art. 1 e All.), del d.P.R. 616/1977 (art. 82, lett. b, d ed e);

b) eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, carenza assoluta dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento, omessa ponderazione della situazione contemplata, errata valutazione, contraddittorietà e violazione del principio del giusto procedimento;

c) incompetenza.

5. Assume il ricorrente che il provvedimento impugnato avrebbe irrogato la misura della demolizione senza dare contezza né dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla adozione ed esecuzione della sanzione, né del presunto contrasto delle opere realizzate con la normativa urbanistica vigente;

6. Nel caso di specie, non vi sarebbe stata alcuna modifica dell’originaria destinazione d’uso né alcun aumento della volumetria complessiva dell’edificio. Conseguentemente, non sarebbe nemmeno richiesto il rilascio della preventiva autorizzazione paesistica ex art. 149 del d.Lgs. 22.01.2004, n. 42, secondo cui “non è richiesta l’autorizzazione prescritta dall’art. 146, per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”;

7. Inoltre, sostiene che il provvedimento gravato sarebbe illegittimo in quanto non preceduto da una valida comunicazione di avvio del procedimento, così violando l’art. 7 della l. n 241/1990.

8. Ed ancora parte ricorrente lamenta la violazione della legge regionale n.10/1982 (art. 1) e del D.P.R. n. 616/1977 (art. 82, lett. b, d ed e) nonché l’incompetenza dell’organo procedente. Il provvedimento sanzionatorio sarebbe illegittimo in quanto emanato senza la preventiva acquisizione del parere della commissione edilizia integrata per i Beni Ambientali istituita presso il Comune ex L. reg. n.10/82.

9. Per ultimo, eccepisce la violazione dell’art. 34, comma 2, D.P.R. 380/2001, laddove dispone che “in subordine, ovvero nel caso in cui la demolizione arrechi pregiudizio alle parti conformi al titolo edilizio, è possibile convertire la demolizione in sanzione pecuniaria, che rimane pertanto assoggettata alla valutazione di natura tecnico-edilizia-strutturale del dirigente o responsabile dell’ufficio comunale preposto”.

10. Le motivazioni esposte dal ricorrente sono state ritenute infondate dal Tar Campania – Sez. Terza – che con sentenza n. 2524 del 26 agosto 2021, qui impugnata, ha rigettato il ricorso ritenendo:

– la non necessità della preventiva comunicazione di avvio del procedimento, secondo il più consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato;

– la non ascrivibilità delle opere contestate ad interventi di manutenzione straordinaria, come sostenuto dal ricorrente, concernendo, esclusivamente, quest’ultima “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici”;

– l’obbligo di preventivo rilascio di autorizzazione paesistica, – non acquisita nel caso in ispecie – ricadendo gli illeciti edilizi in zona assoggettata a vincolo paesaggistico e stante l’alterazione dell’aspetto esteriore, con la conseguenza che, quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera DIA, l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa;

– circa l’incompetenza e la violazione della legge regionale n.10/1982 (art. 1) e del D.P.R. n. 616/1977 (art. 82, lett. b, d ed e), la non necessità, in sede di emanazione dell’ordinanza di demolizione di opere abusive su area vincolata, di acquisire il parere della commissione edilizia integrata, tenuto conto che l’ordine di ripristino discende direttamente dall’applicazione della disciplina edilizia vigente e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio;

– con riguardo, infine, alla violazione dell’art. 34, comma 2, D.P.R. 380/2001, da un canto il Tar rileva che “la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere, infatti, valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione. In quella sede, le parti ben potranno dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato asseritamente derivante dall’esecuzione della demolizione”; dall’altro aggiunge che “[s]oltanto nel caso di opere realizzate in parziale difformità dal titolo edilizio, può trovare applicazione la fiscalizzazione dell’abuso edilizio, consistente nella sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria, non essendovi, di contro, alcuno spazio per l’applicazione della norma in caso di totale carenza del titolo edilizio”.

11. Il comune di Somma Vesuviana si è costituito ed ha contestato nella memoria le

argomentazioni della parte appellante;

12. All’udienza pubblica del 19 marzo 2024, esaurita la discussione orale, la causa

è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

13. La sentenza appellata va confermata per le ragioni che di seguito si espongono.

14. Sostiene parte ricorrente che ove fossero state concretizzate le garanzie di partecipazione al procedimento amministrativo e garantito un congruo contraddittorio con le parti private, avvalendosi del supporto di un tecnico di parte nonché della documentazione comprovante l’effettiva idoneità tecnica dell’intervento edilizio e soprattutto la assoluta necessità dello stesso, la P.A. sarebbe, di certo, pervenuta ad una differente risoluzione. Sarebbe stato quindi necessario assicurare al privato – circostanza questa non avvenuta – la possibilità di partecipare a quelle attività di rilevamento fattuale che preludono alla valutazione circa l’adozione dell’ordine di demolizione.

14.1. Il motivo di appello è infondato

Nella fattispecie, non vi è stata violazione degli artt. 7, e 10 bis della legge n. 241 del 1990, atteso che, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, l’ordinanza di demolizione e il diniego opposto all’accertamento di conformità costituiscono attività provvedimentali vincolate, prive di margini di discrezionalità. A tale riguardo, la giurisprudenza di settore ha chiarito che: “l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della pubblica amministrazione con la conseguenza che, ai fini dell’adozione dell’ordinanza di demolizione, non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all’annullamento dell’atto alla stregua dell’art. 21 – octies L. 7 agosto 1990, n. 241 (Cons. Stato, n. 9715 del 2022; id. n. 755 del 2023).

Nella vicenda in esame, in ogni caso, una più intensa partecipazione procedimentale dei ricorrenti non avrebbe potuto orientare diversamente l’esercizio del potere, stante l’infondatezza nel merito delle critiche prospettate negli atti difensivi.

15. Con il secondo motivo di gravame l’appellante sostiene che gli interventi realizzati ben potrebbero facilmente rientrare, in virtù della nuova normativa introdotta dalla legge 11.11.2014 n. 164 (di conversione del d.l. n. 133/2014), tra gli interventi di manutenzione straordinaria, con ciò sottraendosi ai limiti imposti dall’art. 21 del D.P.R. n. 381/2001. In tale ambito rientrerebbero anche quegli interventi consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso. Per altro verso gli interventi realizzati avrebbero, secondo l’appellante, natura pertinenziale rispetto ai beni principali costituenti l’unità immobiliare, così da risultare del tutto “innocue” sotto il profilo urbanistico, e dunque assentibili senza bisogno di alcuna titolo legittimante da parte del Comune e, che, comunque, la demolizione rappresenti, nella specie, un provvedimento sanzionatorio del tutto sproporzionato.

15.1. Anche tale motivo risulta infondato.

Il primo giudice ha correttamente richiamato la condivisa giurisprudenza amministrativa, secondo la quale le strutture coperte di cui in questione, in ragione della loro consistenza, non possono qualificarsi come volumi pertinenziali.

La giurisprudenza amministrativa tende a circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”, fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella civilistica. Infatti, la nozione di pertinenza accolta dalla giurisprudenza è generalmente orientata a ritenere che gli elementi che la caratterizzano siano, da un lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio; dall’altro, l’esistenza di un collegamento funzionale tra tali opere e la cosa principale, con la conseguente incapacità per le medesime di essere utilizzate separatamente ed autonomamente. Un’opera può definirsi accessoria rispetto a un’altra, da considerarsi principale, solo quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme. Tale vincolo di accessorietà deve desumersi dal rapporto oggettivo esistente fra le due cose e non dalla semplice utilità che da una di esse possa ricavare colui che abbia la disponibilità di entrambe (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, IV, n. 5509/09 -e, ivi, numerosi riferimenti giurisprudenziali ulteriori-, secondo cui la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico; vedi inoltre Cons. Stato, sez. IV, n. 4636/09: i beni che nel diritto civile assumono senz’altro natura pertinenziale non sono tali ai fini dell’applicazione delle regole che governano l’attività edilizia, ogniqualvolta assumono autonomia rispetto ad un’altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio. Ne discende, dunque, che in materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico; v. anche Cons. Stato, n. 2549/2011)» (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 4 gennaio 2016, n. 19).

Sul punto va altresì rimarcato che «la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica» (Consiglio di Stato, sezione VII, sentenza 29 marzo 2023, n. 3283), il che non si riscontra minimamente nel caso di specie dove è stata realizzata una cantinola interrata di circa mq 12,00 per altezza mt 4,00 con ingresso a falda inclinata a livello campagna di mq 2,80 per altezza massima di circa mt 2,00, per la legittima edificazione della quale è quindi necessario ottenere un permesso di costruire.

15.2. Gli interventi in esame neppure rientrano nella categoria delle opere di manutenzione straordinaria in quanto tali interventi sono caratterizzati da un duplice limite, l’uno di ordine funzionale, costituito dalla necessità che i lavori siano diretti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell’edificio, e l’altro di ordine strutturale, consistente nella proibizione di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 13 giugno 2013, n. 3270).

Anche per quanto riguarda le tettoie, è pacifica la giurisprudenza che ne individua la loro riconducibilità ad interventi per cui non necessiterebbe alcun permesso a costruire solo ove le stesse siano di ridotte e modeste dimensioni (Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1709, Sez. II, 18 novembre 2019, n. 7864), tali non risultando, certamente, le tettoie di mq. 45 e 24 realizzate dai proprietari.

15.3 Per giunta, i descritti manufatti insistono (pacificamente) su area sottoposta al vincolo paesaggistico di cui al D. Lgs. n. 42/2004, per il quale “ai fini di tutela del paesaggio, il divieto di incremento dei volumi esistenti si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, non potendo distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, interrato o meno” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2021, n. 40).

15.4. Per ciò che concerne, invece, l’asserita sproporzione della misura demolitoria applicata dal Comune di Somma vesuviana va premesso che il provvedimento demolitorio di opere edilizie eseguite in assenza o in difformità di titolo abilitativo ha una funzione prettamente ripristinatoria, soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui le motivazioni a fondamento del provvedimento dell’amministrazione trovano riscontro nella necessità di tutela del patrimonio paesaggistico sottoposto a vincolo dal D. Lgs. n. 42/2004.

Su queste basi, va ribadito quanto correttamente statuito dal giudice di prime cure, e segnatamente che: la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione; soltanto nel caso di opere realizzate in parziale difformità dal titolo edilizio, può trovare applicazione la fiscalizzazione dell’abuso edilizio, consistente nella sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria può trovare applicazione, non essendovi, di contro, alcuno spazio per l’applicazione della norma in caso di totale carenza del titolo edilizio.

16. L’appellante si duole, con un ultimo motivo di impugnazione, che la sentenza di primo grado non abbia censurato il provvedimento dell’amministrazione che conterrebbe un peculiare obbligo motivazione, segnatamente sull’esistenza di un interesse pubblico attuale e concreto all’irrogazione della sanzione, prevalente sulla posizione di affidamento del privato.

16.1. Anche tale motivo va respinto in quanto infondato.

Costante e consolidata giurisprudenza amministrativa afferma che “in caso di abusi edilizi, sotto l’aspetto repressivo, l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato (conseguente, peraltro, alla commissione di un reato), che non richiede una valutazione specifica delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né ancora una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare” (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 9, Consiglio di Stato, Sez. II, 17/10/2023, n. 167, Consiglio di Stato, Sez. VI , 11/06/2021, n. 4534).

17. Le spese di lite del secondo grado di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, condanna la parte appellante al pagamento in favore del Comune costituito delle spese di lite del secondo grado di giudizio, che si liquidano nella misura di € 3.000,00 (tremila), oltre accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2024 con l’intervento dei magistrati:

(omissis), Presidente FF

(omissis), Consigliere

(omissis), Consigliere

(omissis), Consigliere

(omissis) , Consigliere, Estensore

 

 

 

 

Allegati

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