Fatto
1. (omissis) proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio chiedendo la condanna di Roma Capitale al risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima inosservanza del termine a provvedere in merito alla diffida a concludere l’iter procedimentale per la concessione dell’area all’interno del Parco della Resistenza, di cui alla determinazione dirigenziale n. 1775 del 13.9.2012, e per l’individuazione ed assegnazione del secondo sito integrativo.
Il ricorrente formulava istanza risarcitoria, ex art. 30, comma 4, c.p.a., in relazione all’assunto danno derivante dall’inerzia dell’Amministrazione nel dare attuazione alla diffida inviata a mezzo pec in data 19.4.2018.
2. Va premesso in fatto che, con deliberazione consiliare n. 197 dell’8 ottobre 1998, il Comune di Roma aveva avviato un bando pubblico per l’affidamento in concessione delle aree pubbliche per attività di spettacolo viaggiante e parchi di divertimento. La procedura, aggiudicata a (omissis) con determinazione n. 1237 del 20 dicembre 2000, prevedeva l’assegnazione in concessione dell’area denominata Punto Verde Infanzia (PVI) 2.4 di Piazzale delle Muse.
La concessione veniva formalizzata il 23 maggio 2003. Successivamente, il Presidente del Municipio II, con nota del 25 giugno 2003, chiedeva al Servizio PVI di sospendere la consegna dell’area, in quanto interessata da un progetto di Piano Urbano Parcheggi. Il Dipartimento X provvedeva pertanto a comunicare al ricorrente tale sospensione.
A seguito di successive interlocuzioni, finalizzate a risolvere le criticità insorte, le parti addivenivano alle seguenti intese.
In data 11 aprile 2005, veniva stabilita la riduzione della superficie in concessione, una volta conclusi i lavori di parcheggio interrato, a circa mq. 400/500 (rispetto agli originari mq. 5.167), prevedendo la stipulazione di una nuova apposita convenzione, sostitutiva di quella sottoscritta il 23 maggio 2003, per recepire tale riduzione. A compensazione del sacrificio subito dal ricorrente, veniva concordata la concessione in suo favore di un sito integrativo, da individuare successivamente;
In data 20 maggio 2005 veniva sottoscritto un ‘verbale di accordo’ tra i competenti uffici dell’Amministrazione capitolina, dal concessionario del parcheggio (omissis) e (omissis). Dal suddetto verbale risultava il consenso delle parti sui seguenti punti: 1) La permanenza dell’attività del ricorrente ‘nell’attuale area recintata su Piazzale delle Muse durante tutta la fase di cantiere del parcheggio’; 2) Il riposizionamento definitivo dell’attività e delle attrezzature del ricorrente, una volta ultimato il parcheggio, ‘nell’area a quota più bassa rispetto al Piazzale e prospiciente la scarpata’, sulla base di un progetto redatto ‘a cura e spese del Consorzio Parcheggio (omissis); 3) L’assegnazione al concessionario del PVI, ‘al fine di compensare la minore valenza economica di tale riposizionamento (…) di un secondo sito integrativo (…) da convenire tra il Dipartimento X e il ricorrente’; 4) In ordine al primo sito integrativo, veniva individuata l’area del Punto Verde Infanzia n. 1.2 denominata ‘Parco della Resistenza’, giusta concessione di cui alla determinazione dirigenziale del Dipartimento tutela ambientale e del verde – protezione civile n. 1775 del 13 settembre 2012. Detta area veniva consegnata al ricorrente con verbale del 21 settembre 2012, il quale recava una postilla che subordinava l’inizio dei lavori al rilascio dei pareri da parte della Soprintendenza e dell’Asl, mentre il secondo sito integrativo non risultava mai individuato.
Il ricorrente adiva il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio per l’accertamento dell’inadempimento dell’Amministrazione all’obbligo di individuazione e consegna dei due siti, con contestuale risarcimento dei danni subiti.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 3066 del 2017, respingeva il ricorso, non ravvisando alcuna illegittimità nel comportamento serbato dal Comune di Roma nella vicenda in oggetto.
La sentenza veniva confermata dal Consiglio di Stato con la decisione n. 812 del 2018.
(omissis), successivamente, diffidava Roma Capitale, con atto del 19.4.2018, ad adottare le determinazioni coerenti con la Determinazione Dirigenziale n. 1775 del 13 settembre 2012, ossia ad attivarsi per la consegna del sito integrativo denominato ‘Parco della Resistenza’ e per l’individuazione del secondo sito.
Il termine assegnato con la diffida di cui sopra decorreva senza esito, sicché il ricorrente adiva il medesimo Tribunale ex artt. 31 e 117 c.p.a.
Il ricorso veniva accolto, ai sensi di cui in motivazione, con sentenza n. 8294 del 2019, con la quale il Tribunale, in conclusione, stigmatizzava l’inerzia della P.A. nell’attribuire ‘all’odierno ricorrente la concessione di aree compensative’, ‘nel rispetto dei molteplici vincoli normativi che interessano il Centro storico della città di Roma’. Stante la persistente inerzia dell’Amministrazione, il ricorrente otteneva successivamente la nomina di un Commissario ad acta per l’esecuzione della sentenza.
Nel presente giudizio, (omissis) agiva in via risarcitoria per il danno da ritardo asseritamente prodottosi in esito alla manca attuazione dei comportamenti e delle determinazioni oggetto della diffida avviata il 19.4.2018, con riserva di proporre separato giudizio in caso di mancata ottemperanza alla suddetta sentenza.
3. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sentenza n. 2574 del 2022, respingeva il ricorso, ritenendo che nella fattispecie il ricorrente non avesse assolto al relativo onere probatorio richiesto ai fini della prova della spettanza del c.d. bene della vita. Il Collegio di prima istanza evidenziava che, quanto al primo sito integrativo (Parco della Resistenza), non risultavano comprovati dal ricorrente i presupposti per cui tale area meritasse effettivamente l’approvazione delle competenti Soprintendenza ed Asl; mentre, per il secondo sito, non era stata dimostrata la sussistenza di aree idonee allo scopo.
4. (omissis) ha appellato la suddetta pronuncia, denunciando: “I) Violazione dell’art. 2 bis, comma 1, L. 241/90. Travisamento, errore nei fatti presupposti” e chiedendo, in via preliminare, l’utilizzabilità ai fini probatori, ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a., del verbale della riunione del 9.9.2022, trasmesso con nota del Dipartimento Tutela Ambientale di Roma Capitale del 12.9.2022, prot. 64074, avente ad oggetto ‘Ottemperanza giudicato del T.A.R. del Lazio, sez. II, sentenza n. 8294/2019 – Ordinanza 5969/2020 a favore del sig. (omissis) contro Roma Capitale’, depositato nel presente giudizio di appello e non nel giudizio di primo grado, siccome documento venuto ad esistenza successivamente al deposito della sentenza impugnata, ma di importanza rilevante per la decisione della controversia.
5. Roma Capitale si è costituita in resistenza, concludendo per il rigetto del gravame.
6. (omissis), con memorie, ha precisato le proprie difese.
7. All’udienza dell’11 luglio 2024, la causa è stata assunta in decisione.
Diritto
8. Con l’unico articolato motivo, (omissis) deduce che, diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale adito, l’art. 2 bis della l. 241 del 1990 collegherebbe direttamente il risarcimento del danno all’inosservanza dei termini di conclusione del procedimento e non conterrebbe, invece, alcun riferimento alla ‘spettanza del bene della vita richiesto’.
Nel caso di specie, il dovere di provvedere dell’Amministrazione capitolina era stato già accertato e dichiarato con efficacia di giudicato (interno) dalle precedenti sentenze del G.A. specificate nella parte in fatto. La spettanza del bene della vita coinciderebbe con il compimento dell’iter finalizzato alla concessione delle predette aree compensative che l’Amministrazione avrebbe colpevolmente omesso, persino dopo la notifica della sentenza di accoglimento del ricorso ex art. 31 c.p.a., così da rendere necessario l’intervento sostitutivo del Commissario ad acta.
Ad avviso dell’appellante, il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere che sul ricorrente gravasse l’ulteriore onere di dimostrare ‘l’approvazione ‘ da parte degli Enti deputati del Parco della Resistenza, nonché l’esistenza di un secondo sito disponibile all’interno dell’area del Centro Storico, essendo di tutta evidenza invece che, stante il diritto del ricorrente a vedersi concedere dall’Amministrazione le due aree compensative in esecuzione dei ricordati accordi transattivi, diritto accertato con efficacia di giudicato dallo stesso giudice amministrativo, l’Amministrazione avrebbe dovuto provvedere sull’istanza proposta da (omissis) portando a compimento l’iter istruttorio volto all’assegnazione dei due siti integrativi, ciò, peraltro, indipendentemente dall’esito del procedimento.
Inoltre, il giudizio prognostico del T.A.R. sulla spettanza del bene della vita, secondo l’esponente, non avrebbe potuto fondarsi sulle risultanze di un giudizio di ottemperanza non ancora concluso, in questo modo rendendo una pronuncia illogica e contradditoria, e comunque smentita dall’esito dello stesso giudizio di ottemperanza.
Il ricorrente ha depositato in appello il verbale del 9 settembre 2022 della Conferenza dei Servizi disposta dal Commissario ad acta per l’esecuzione del giudicato, di cui ha chiesto l’utilizzabilità, dal quale si evincerebbe che il Commissario ad acta ha concluso l’incarico acquisendo quei pareri mancanti, procedendo, quindi, alla ‘approvazione del Parco della Resistenza’, ciò a riprova della sussistenza del presupposto della ‘spettanza del bene della vita’ sotteso all’istanza di risarcimento del danno proposta.
Con riferimento alla quantificazione del danno, l’appellante argomenta che il ritardo dell’Amministrazione lo avrebbe costretto ad un lungo contenzioso e ne avrebbe condizionato, negativamente, le scelte imprenditoriali, pertanto il danno dovrebbe essere risarcito a far data dal 19 maggio 2018 e sino alla nomina del Commissario ad acta intervenuta il 5 giugno 2020, rinviando per la determinazione alla Relazione Tecnica asseverata depositata nel corso del giudizio di primo grado.
9. L’appello è infondato, per i rilievi di seguito enunciati.
9.1. Ai sensi dell’art. 30, comma 4, c.p.a., con riferimento alla responsabilità del danno da ritardo, si parla di ‘risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza, dolosa o colposa, del termine di conclusione del procedimento’, con ciò sottolineando in primo luogo che il danno è meramente eventuale, ovvero non è risarcibile in re ipsa il mero superamento del termine di conclusione del procedimento, ma occorre la prova di un effettivo danno conseguente alla violazione delle norme sulla conclusione del procedimento, e che detta prova deve essere fornita dal danneggiato.
Infatti, il risarcimento del danno da ritardo si basa su una responsabilità aquiliana, in quanto la violazione del termine è un fatto illecito, sicché il danneggiato è tenuto, ex art. 2697 c.c., a provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiato), e la lesione ad un interesse legittimo, riferibile ad un bene della vita di spettanza dell’istante, dal colpevole comportamento inerte dell’amministrazione.
Appare evidente che la controversia, nei termini in cui viene sottoposta all’esame del Collegio, riproduce, in relazione alla vicenda esaminata, la tradizionale problematica della risarcibilità del danno derivante dall’inerzia della pubblica amministrazione, nelle alternative prospettazioni: a) che ammettono il risarcimento solo del danno ‘qualificato’ dalla lesione di uno specifico, rilevante e comprovato interesse alla vita di relazione (‘bene della vita’); b) che correlano il vulnus alla sfera giuridica del danneggiato, in quanto titolare di una pretesa (o interesse pretensivo) al comportamento attivo dell’Amministrazione, nei termini formali dell’obbligo di provvedere, alla compromissione di tale interesse en soi meme, acquisito come autonomo e rilevante bene relazionale (danno da ritardo c.d. mero).
9.2. Le due fattispecie trovano fondamento positivo in due distinte e paradigmatiche ipotesi in cui viene positivamente riconosciuto il ristoro del pregiudizio correlato all’inerzia dei poteri pubblici:
a) la prima afferente al ‘danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine del procedimento’ (art. 2 bis, comma 1, della l. n. 241 del 1990);
b) la seconda correlata al danno derivante di per sé dal fatto stesso di non avere l’amministrazione provveduto entro il termine prescritto, nelle ipotesi e alle condizioni previste (art. 2 bis cit., comma 1, bis).
Si tratta di due fattispecie distinte, come è dato evincere dal comma 1 bis che mette in luce il ristoro del ‘mero ritardo’, quale rimedio ulteriore rispetto a quello comma 1.
Le deduzioni difensive dell’appellante sembrano confondere i due istituti, quanto al profilo probatorio, atteso che la controversia in esame deve essere inquadrata (come lo stesso ricorrente l’ha qualificata in ricorso) come ‘danno da ritardo’ e non come ‘danno da mero ritardo’.
Pertanto, occorre partire dalla formulazione testuale della ipotesi di cui al comma 1 che ricalca, come abbiamo detto sopra, il paradigma aquiliano di cui all’art. 2043 c.c., e chiarisce che l’inadempimento soggettivamente imputabile dell’obbligo di provvedere (evocato dal riferimento al comportamento colposamente e dolosamente inosservante del relativo termine, individuato ai sensi del precedente art. 2) non è sufficiente a fondare una pretesa risarcitoria, concretando piuttosto la mera condotta omissiva (indirettamente tipizzata, a differenza della regola aquiliana generale, della necessaria base legale a fondamento dell’obbligo di agire che grava sul soggetto pubblico) causativa di danno.
La giurisprudenza di settore ha affermato che ‘il danno ingiusto rappresenta, nel corpo della fattispecie, il c.d. danno evento (cioè la lesione o compromissione di un interesse meritevole di tutela nella vita di relazione): il che vale a chiarire che l’obbligazione risarcitoria gravante sull’amministrazione richiede, altresì, sul piano dimostrativo, l’allegazione e la prova delle conseguenze dannose, secondo un nesso di causalità giuridica che ne prefigura la ristorabilità solo quando si atteggino, secondo un canone di normalità, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita (cfr. art. 1223, applicabile anche nella specie in quanto norma di diritto comune)’ (Cons. Stato, n. 5810 del 2019).
Il riferimento al danno – evento, che necessariamente presuppone la lesione ad un rilevante bene della vita, conferma che la possibilità di conseguire il risarcimento del danno da ritardo/inerzia dell’amministrazione nella conclusione di un procedimento amministrativo non può essere riconosciuta come effetto del ritardo in sé e per sé (Cons. Stato, n. 4038 del 2016, id. n. 358 del 2019).
Il danneggiato è tenuto non solo ad allegare l’inadempimento dell’obbligo di provvedere, e quindi l’inosservanza delle tempistiche procedimentali, ma è tenuto a dimostrare, per un verso, l’imputabilità soggettiva dell’inerzia con le modalità inerenti la dimostrazione della c.d. colpa d’apparato e, per altro verso, l’an ed il quantum della pretesa risarcitoria, in relazione alla compromissione di un proprio interesse qualificato ed alle conseguenze che ne siano derivate alla propria sfera personale e patrimoniale.
Il riconoscimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, come quello di specie, non è avulso pertanto da una valutazione di merito della spettanza del bene sostanziale della vita, sicché il danneggiato è tenuto a dimostrare che l’aspirazione al provvedimento fosse probabilmente destinata ad un esito favorevole, posto che l’ingiustizia e la sussistenza del danno non possono presumersi iuris tantum in relazione al mero fatto temporale del ritardo o del silenzio nell’adozione del provvedimento.
9.3. Come correttamente precisato dal T.A.R. nella sentenza gravata, l’ingiustizia del danno non può prescindere al riferimento alla concreta spettanza del bene sostanziale al cui conseguimento il procedimento è finalizzato.
In particolare, il giudizio da effettuare circa la spettanza del bene della vita in capo al privato risulta essere di carattere prognostico: si presenta come una peculiare applicazione dei principi generali in tema di nesso di causalità materiale di cui agli articoli 40 e 41 del codice penale, che enunciano la regola della c.d. ‘causalità adeguata’, la quale, declinata nella dimensione del danno da ritardo, prevede che si rinvenga un nesso causale tra l’inerzia della pubblica amministrazione nell’osservare il termine di conclusione del procedimento e la frustrazione di una situazione giuridica o di un interesse persistenti e vantati dal privato (ex multis,Cons. Stato, n. 5810 del 2019; id. n. 5737 del 2019; id. n. 8235 del 2019; id. n. 1740 del 2019).
I tratti distintivi del ‘danno da mero ritardo’, fattispecie non riconducibile a quella per cui si procede, sono stati invece precisati dalla sentenza della Adunanza Plenaria 4 maggio 2018, n. 5, secondo la quale, appunto, con l’art. 2 bis L n. 241/1990 cit. ‘il legislatore – superando per tabulas il diverso orientamento in passato espresso dall’Adunanza plenaria 15 settembre 2005, n. 7 – ha introdotto la risarcibilità (anche) del c.d. danno da mero ritardo, che si configura a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento (ad esempio, il diniego di autorizzazione o di altro provvedimento ampliativo adottato legittimamente, ma violando i termini di conclusione del procedimento)’.
Come chiarito dalla giurisprudenza prevalente, dalla quale non vi sono ragioni di discostarsi, l’intervento dell’Adunanza Plenaria non ha determinato una apertura incondizionata e generalizzata che, recepita nel contesto della fattispecie in esame come erroneamente pretenderebbe l’appellante, imporrebbe di accogliere il gravame. È stato chiarito che: ‘La decisione circoscrive con precisione gli spazi per il risarcimento del danno da mero ritardo, in cui il pregiudizio deriva, nella valorizzata prospettiva, pur sempre dalla lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale: il ritardo nell’adozione del provvedimento genera, infatti, una situazione di incertezza in capo al privato e può, dunque, indurlo a scelte negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l’adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’amministrazione’ (Cons. Stato n. 5810 del 2019 cit.).
Il danneggiato, in questo caso, è tenuto a provare, oltre il ritardo e l’elemento soggettivo, anche il rapporto di causalità esistente tra la violazione del termine del procedimento e il ‘compimento di scelte negoziali pregiudizievoli che non avrebbe altrimenti posto in essere’.
9.4. Nella presente vicenda processuale, anche laddove si volesse ricondurre la domanda del ricorrente al risarcimento del danno da mero ritardo, gli esiti del giudizio non hanno consentito di appurare il collegamento alla ‘lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale’, oltre al fatto che, per quando in seguito verrà precisato, non è stata offerta alcuna allegazione e prova dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità.
Ciò in quanto tale ricostruzione avrebbe presupposto oltre alla prova della ‘natura imprenditoriale del soggetto che assume essere stato leso dal ritardo dell’amministrazione nell’emanazione del provvedimento’, anche il rapporto di causalità esistente tra la violazione del termine del procedimento e il compimento di specifiche e precise scelte negoziali pregiudizievoli che Gi. Ma. Og. non avrebbe altrimenti posto in essere (Cons. Stato, n. 6266 del 2018; id. n. 2624 del 2018; id. n. 240 del 2018; id. n. 358 del 2019 cit.) e la verifica della colpa dell’Amministrazione. Onere della prova al quale il ricorrente non ha ottemperato, essendosi limitato ad allegare il pregiudizio economico derivante dall’assunto colpevole ritardo.
9.5. Ciò premesso, al fine di rendere chiari i termini del thema decidendum, nel presente giudizio, Gi. Ma. Og. domanda il risarcimento del danno da ritardo conseguente alla mancata attuazione di quanto richiesto con la diffida del 19 aprile 2018, ossia alla mancata attribuzione di due siti integrativi, a compensazione della riduzione di consistenza dell’area originariamente concessa il 23.5.2003.
Sulla base di quanto enunciato, il danno da ritardo, pertanto, va impostato richiamando la ricostruzione dell’Adunanza Plenaria n. 7 del 2005, atteso che si domanda il risarcimento della lesione di un interesse pretensivo, pertanto è necessario che si accerti, giudizialmente, o grazie alla attività amministrativa successiva, che al privato sarebbe spettato il bene della vita richiesto (Cons. Stato, n. 1406 del 2013), ciò in quanto il pregiudizio, come si è detto, non risiede nel fatto in sé dell’attesa, ma nell’ostacolo nel godimento medio tempore del bene della vita.
Il T.A.R. si è fatto carico dei suddetti principi e, condivisibilmente, ha affermato che ‘parte ricorrente non ha assolto al relativo onere probatorio’, così come, anche nel presente giudizio, non ha adempiuto all’obbligo, di cui era processualmente onerato, di provare la responsabilità dell’Amministrazione per l’assunto ritardo.
Questo Consiglio di Stato ha già inquadrato la complessità dell’operato di Roma Capitale nella individuazione dei siti integrativi nella sentenza n. 812 del 2018, con cui, respingendo la domanda di risarcimento del danno spiegata dal ricorrente, precisa che il Parco in questione è censito come ‘Opera di rilevante interesse architettonico e urbano’ e comunque, sito all’interno dell’area del Centro storico sottoposto al ‘vincolo’ Unesco, in ragione del quale risulta tra l’altro obbligatorio, ai fini dell’inizio attività, il parere della Soprintendenza per i beni architettonici e paesistici per il Comune di Roma. Si afferma, inoltre, che: “Le ragioni per le quali l’iter procedimentale per la concessione dell’area all’interno del Parco della Resistenza non si era ancora concluso, per circostanze non imputabili all’amministrazione comunale, venivano dettagliatamente esposte nella successiva nota prot. 23121 del 29 aprile 2016”, dalla quale sono emerse una serie di problematiche che l’Amministrazione ha cercato di superare.
A fronte delle obiezioni espresse da Roma Capitale in memoria, l’assunto danno da ritardo è rimasto sfornito di ogni necessaria allegazione probatoria, in quanto l’appellante si è limitato a qualificare il bene della vita compromesso dal ritardo dell’azione amministrativa, senza fornire la prova del nesso causale e neppure dell’elemento psicologico dell’Amministrazione.
Orbene, nessun comportamento illegittimo può essere contestato a Roma Capitale, considerato che lo stesso Collegio della sentenza n. 8294 del 2019 rileva che l’iter procedimentale è particolarmente complesso, e che l’attribuzione di aree compensative deve avvenire ‘nel rispetto dei molteplici vincoli normativi che interessano il Centro storico’ e le aree verdi della città di Roma.
Come osservato da Roma Capitale nel presente giudizio, tale difficoltà trova conferma nella circostanza che il Commissario ad acta, nominato dal T.A.R. con ordinanza n. 5969 del 5.6.2020 nell’ambito del giudizio proposto avverso il silenzio, ha impiegato oltre due anni e mezzo per completare, addirittura parzialmente, l’incarico ricevuto.
9.6. È rimasto privo di supporto probatorio l’elemento psicologico della pubblica amministrazione nella causazione dell’assunto danno.
Come è noto con riguardo al profilo soggettivo, l’elemento della colpa va individuato nella violazione di canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la P.A. (Cons. Stato, n. 5389 del 2020; id. n. 2882 del 2018).
A fronte della giustificazione offerta da Roma Capitale circa la complessità dell’iter procedimentale, confortata dagli esiti processuali sopra evidenziati, l’appellante non ha dedotto alcunché pretendendo di collegare automaticamente il risarcimento dell’assunto danno al fattore tempo.
9.7. Infine, è rimasto privo di riscontro probatorio anche il nesso causale.
L’accertamento del nesso di causalità tra la condotta e l’evento lesivo si spiega mediante la verifica dell’efficienza causale dell’atto illegittimo rispetto all’evento di danno, che va esclusa qualora emergano, come nella specie, fatti e circostanze che abbiano reso difficile il perseguimento del bene della vita, e quindi determinato un ritardo nell’iter di conclusione del procedimento (Cons. Stato, n. 4790 del 2019; id. n. 2792 del 2014).
9.8. Quanto alla prova della spettanza del bene della vita, Roma Capitale ha allegato nel presente giudizio la determinazione dirigenziale n. 434 del 22.3.2024 (produzione ammissibile ai sensi dell’art. 104 c.p.a., stante la rilevanza del documento ai fini del decidere), con la quale è stato dichiarato concluso senza esito il procedimento relativo alla concessione del Parco della Resistenza e del secondo sito integrativo, nonché comminata la decadenza del signor Og. da qualsiasi pretesa o diritto scaturente dall’accordo del 20 maggio 2005 e dalla determinazione dirigenziale numero 1775 del 13 settembre 2012.
In disparte dalle ragioni dell’esito infruttuoso di tale procedimento per la mancanza di sottoscrizione della concessione da parte dell’appellante (il quale dichiara di avere proposto ricorso per l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 434 del 2024), ciò che rileva è la mancanza di prova della responsabilità dell’Amministrazione per l’assunto ritardo, atteso che i tempi del procedimento si sono protratti per la complessità dell’iter, ‘per circostanze non imputabili all’amministrazione comunale’, che ‘venivano dettagliatamente esposte nella successiva nota prot. 23121 del 29 aprile 2016′ (v. sentenza Cons. Stato n. 812 citata).
I suddetti rilievi depotenziano la tesi sostenuta dall’appellante, il quale ha depositato nel presente giudizio il verbale della Conferenza dei Servizi del 9.9.2022 (ammissibile ai sensi dell’art. 104 c.p.a.), ritenendo che gli esiti del procedimento seguito dal Commissario ad acta avrebbero provato che i pareri delle competenti Soprintendenza a Asl (fattori a cui l’Amministrazione ha subordinato l’autorizzazione ad effettuare i lavori di allestimento) sarebbero stati comunque rilasciati, circostanza che comunque non assume rilievo determinante ai fini della prova della ‘spettanza del bene della vita’, tenuto conto che per completare parzialmente la procedura sono stati necessari circa due anni e mezzo. Inoltre, quanto al secondo sito, il Collegio di prima istanza ha correttamente evidenziato che il ricorrente non ha dimostrato affatto che, nel perimetro del Centro storico di Roma, sussistessero siti idonei allo scopo, ‘né peraltro smentisce quanto dedotto dall’Amministrazione versata in atti il 22.1.2022 in merito al fatto che lo stesso Commissario ad acta, nominato con ordinanza n. 5969 del 5.6.2020 per dare esecuzione alla sentenza n. 8294/2019, a tutt’oggi non sia addivenuto al completamento dell’incarico’.
10. In definitiva, le censure vanno respinte, atteso che le emergenze processuali non hanno consentito di dimostrare in giudizio l’ingiustizia del danno, stante la mancanza di prova del nesso di causalità, del profilo soggettivo (dolo o colpa) dell’Amministrazione per il ritardo nella conclusione del procedimento, e della spettanza del bene della vita, in ragione dei rilievi sopra ampiamente illustrati, con la conseguenza che la domanda di risarcimento non può trovare accoglimento (Cons. Stato, n. 6169 del 2021).
11. Dai suddetti rilievi consegue il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
12. La complessità anche fattuale della vicenda processuale e le ragioni della decisione giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 con l’intervento dei magistrati:
(omissis), Presidente
(omissis), Consigliere
(omissis), Consigliere
(omissis), Consigliere
(omissis), Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 23 SET. 2024.
