Accolta la domanda, all’udienza del 5/6/24, all’esito della discussione delle parti, che rassegnavi le conclusioni riportate in epigrafe, il giudice decideva la causa dando lettura di separato dispositivi.
2. Il 15 febbraio 2022, alle ore 14:30, presso la sede legale del Comune di Trieste, in piazza (…), con modalità telematica in videoconferenza, aveva inizio la seduta del Consiglio comune presieduta dal sig. (omissis), nella quale era prevista, tra l’altro, l’audizione dirigenti della (…), del Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale Mare Adriatico Orientale e di (…) e del Presidente dell’Interporto di Trieste s.p.a. in ord “all’investimento pianificato per Trieste e le ricadute economiche occupazionali, ambientali e soc. dell’insediamento nell’area FreeEste”. Affinché i singoli consiglieri e gli altri soggetti legittimi potessero partecipare alla riunione occorreva che, mediante il link loro inviato già al momento di convocazione, si collegassero alla piattaforma “(…)”, si qualificassero e fossero accrediti dal Presidente del Consiglio. Naturalmente, la seduta, come di regola, era pubblica e veniva ani trasmessa in streaming su You Tube.
Iniziata appunto alle ore 14:30, essa si svolgeva regolarmente fino alle ore 16:30 circa, allorquando si registrava a video, prima, l’ingresso nella riunione di soggetti estranei (che si qualificavano co consiglieri peraltro già presenti) e, immediatamente dopo, la comparsa di numerose frasi provocatorie di orientamento “NO VAX” e “NO GREEN PASS” che rendevano impossibile prosecuzione dei lavori, tant’è che il Presidente sospendeva la seduta alle ore 16:37. Effettuato quindi un tentativo di ripresa della riunione alle ore 16:42, dopo dieci minuti si verifichi il medesimo disturbo e la necessità di interrompere nuovamente la seduta, che riprendeva solo ore 17:20 in seguito all’attivazione di un diverso link protetto da password, comunicata a quel punto ai consiglieri e assessori comunali tramite sms.
Da qui la querela presentata dal Presidente del Consiglio comunale in data 16/2/22.
3. Avviate le indagini da parte della Polizia Postale e della D.I.G.O.S. di Trieste, si constatava l’incursione informatica era stata da lì a breve rivendicata dal Movimento “(…)”, (non a caso, fra immagini comparse a video nel corso della riunione ve ne erano anche di soggetti che indossavi magliette con il logo, cerchiato in colore rosso, di questo movimento) sul canale Telegram, dove stato inserito un post dal testo “I (…) in AZIONE HACKER – V-V INVASIONE DEL PIATTAFORMA PER VIDEO CONFERENZE USATA DAL CONSIGLIO COMUNALE TRIESTE IN SESSIONE” e in data 18/2/22 pubblicato l’ennesimo appello al reclutamento di nu “guerrieri”.
L’analisi delle chat della riunione, acquisite in file di log, consentiva di appurare che, effettivamente diversi oggetti avevano scritto a “valanga” ripetuti messaggi diffamatori e di avversione rispetto alle disposizioni governative assunte durante l’emergenza pandemica. Un accesso di pochi secondi risultava essere stato effettuato da tale “ (omissis)“, avente come e-mai (…). Si rendeva necessario allora acquisire presso la società (…) gli indirizzi IP utili all’identificazione degli autori degli accessi non autorizzati (v. c.n.r. del 18/2/22). Si scopriva quindi che tale indirizzo di posta elettronica era stato creato il 9/1/22 da un utente che, in fase di sottoscrizione dell’account, aveva indicato, quali dati anagrafici, Il (…), nato il (…). Il 15/2/22 vi erano stati quattro accessi ali account in parola, tutti provenienti da II appartenenti al provider Repubblica Italiana In nome del popolo italiano, geolocalizzati in Puglia. Tra questi, (…), nella stessa data, con un dispositivo Android di marca Huawei, aveva effettuato un accesso alla seduta de Consiglio Comunale in corso di svolgimento su (…), loggandosi come (omissis) Tra i dati rilasciati in fase di sottoscrizione di questa casella di posta elettronica, compariva l’utenza (…) intestata a (omissis) (nato ad Arezzo ma residente nel leccese). Ulteriori accertamenti in rete permettevano di risalire ad un account Instagram, intestato sempre al (omissis) avente come immagine del profilo il logo del Movimento “(…)”, con un link che rimandava ad un precedente canale di reclutamento.
Il 26/5/22 veniva eseguita una perquisizione presso l’abitazione del (omissis) (…), nella quale ultima gli agenti operanti venivano fatti entrare 6 minuti dopo essersi presentati, il tempo necessario al (omissis) per resettare il suo smartphone Huawei, sequestrato all’esito dell’operazione, in uno a documentazione cartacea ed a due hard disi contenenti plurime cartelle, diversamente nominate, con file di propaganda del Movimento (…) (v, dicono di fare i nazisti e voi state ubbidendo Green pass-razzismo sanitario – noi siamo Vivi forza, lotta non violenta per difesa di libertà e diritti), file inerenti al reclutamento ecc. Stante po l’inutilizzabilità diretta dello smartphone, una volta peraltro acquisito lo stato del dispositivo attraverso la suite UFED, si procedeva al ripristino dell’account Telegram in uso all’imputato ec associato alla sua utenza telefonica (a sua volta associata all’account (…) con username @querty66654), anche mediante un recupero, autonomo da parte della p.g., delle credenziali d: accesso, stante il rifiuto del Ce. di fornire la password (v. annotaz. del 21/3, 27/4, 26/5/22). Analizzato poi quanto acquisito dal backup dell’account Telegram, emergeva che il Ce. fosse il reale utilizzatore dello stesso. In un post dell’account (…), inoltrato alle ore 3:40 del 15/2/22 dall’imputato all’interno del gruppo (…), ragionevolmente utilizzato come contenitore di appunti e comunicazioni da veicolare su altri canali, veniva rilevata l’esistenza di un gruppo Telegram creato apposta per organizzare l’intrusione alla seduta del Consiglio comunale di Trieste con un link di collegamento. Il messaggio era il seguente: “!! ATTENZIONE!! OPERAZIONE SPECIALE MARTEDÌ 15 FEBBRAIO ALLE ORE 16.30 IL VIA VE LO DAREMO NOI CI SARA’ UNA AZIONE DI INVASIONE ONLINE SU UNA PIATTAFORMA BEN SPECIFICA PER PARTECIPARE E’ NECESSARIO EESERE CERTI DI ESSERCI E DI AVERE DISCRETE CAPACITA’ TECNICHE. SE IN POSSESSO DI TALI REQUISITI UNIRSI AL GRUPPO https: (…)”. Venivano poi rilevati vari post in cui il Ce. commentava positivamente l’incursione informatica a danno del Comune di Trieste, appoggiando incondizionatamente l’azione rivendicata dai “guerrieri” (…).
La conclusione ulteriore a cui gli inquirenti infine pervenivano era che il (omissis), quale effettive utilizzatore dell’account Telegram (…), avesse condiviso il post dei (…) per organizzare l’attacco informatico e che si occupasse attivamente del reclutamento di nuovi membri del movimento, come risultante anche da inequivoche chat private dell’indagato ( (omissis): ma stai ancoro nei reclutatori; (…): Sì, tu?) – annotaz. del 16 e 19/9/22.
4. Questo il quadro probatorio di riferimento, ritiene il Tribunale che esso restituisca prova piena della responsabilità dell’imputato in ordine al reato sotto esame.
4.1. Nulla quaestio intanto sull’individuazione del (omissis) quale il principale autore, in concorso con altri soggetti rimasti ignoti, dell’incursione informatica de qua. L’esito indiscutibile delle indagini di cui si è dato sopra conto – tanto complesse quanto pregevoli, svolte dalla p.g., in specie dalla Polizia Postale, senza alcuna collaborazione da parte dell’imputato, il quale, anzi, ha cercato di ostacolarle sia resettando prontamente il suo smartphone all’arrivo degli agenti delegati alla perquisizione locale, sia rifiutandosi di fornire la sua password dell’account (…) – e la mancanza di qualsiasi contestazione sul punto da parte della difesa non lasciano ombra di dubbio al riguardo, essendo solo il caso di ulteriormente sottolineare, in aggiunta alle conclusioni di ordine tecnico già illustrate, che il (omissis) nelle chat private diceva spesso di essere un toscano residente in Puglia (ed infatti è nato ad Arezzo e abita a San Donato di Lecce) e i suoi interlocutori lo chiamavano “ (omissis)”
4.2. Ciò posto, agevole risulta anche la riconduzione degli atti posti in essere dall’imputato nel paradigma astratto previsto nell’art. 340 c.p., che contempla, accanto ad una condotta a forma libera, la causazione di due eventi equivalenti, ossia l’interruzione ovvero il turbamento della regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, concernendo la prima, che non necessariamente dovrà essere definitiva, la continuità dell’ufficio o servizio e il secondo la regolarità di quest’ultimo, per il perfezionamento del reato in esame essendo comunque sufficiente un turbamento di carattere temporaneo o marginale, capace di incidere anche solo su un settore dell’attività svolta, purché tale da alterare il tempestivo ed efficiente funzionamento del servizio (cfr., ex multis, Cass., sez. VI, n. 36253/2011; Cass., sez. V, n. 27919/2009; Cass., sez. VI, n. 334/2009; Cass., sez. VI, n. 44845/2007; Cass., sez. VI, n. 35071/2007; Cass., sez. VI, n. 47299/2003). Ebbene, il Ce., con la ideazione, programmazione ed esecuzione dell’attacco hacker sulla piattaforma (…), su cui il pomeriggio del 15/2/22 era riunito il Consiglio Comunale di Trieste per sentire i dirigenti della BAT (e discutere altre pratiche all’ordine del giorno), realizzato anche mediante la diffusione in video, nella sezione riservata alle comunicazioni pubbliche dei partecipanti, di frasi ed immagini provocatorie di orientamento “NO VAX” e “NO GREEN PASS” (ad es., al minuto 1:58:00 della prima riunione compare un utente che mostra il simbolo (…), rappresentato da due “V” di colore rosso intersecate tra loro e, nei secondi a seguire, appaiono altri quattro utenti che compiono le medesime azioni), ha costretto il Presidente del Consiglio a sospendere per ben due volte la seduta, che poteva ricominciare solo quasi un’ora più tardi, dopo l’intervento di tecnici informatici del Comune, i quali dovettero predisporre le condizioni per riprendere la riunione in sicurezza onde evitare che l’azione potesse ripetersi.
Appare evidente, nel caso in esame, l’interruzione o quantomeno il pesante turbamento dell’ufficio pubblico cagionato dalla condotta posta in essere dal Ce., atteso che da essa è derivato un importante, inevitabile rallentamento dei lavori del Consiglio, distolto, assieme al personale della Segreteria preposto all’assistenza alle sedute ed allo stesso Segretario, dalla propria funzione istituzionale per cercare di risolvere al meglio e nel più breve tempo possibile il problema mediante l’aiuto dei tecnici.
4.2.1. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, poi, evidenziato che, per il reato in esame, è sufficiente il dolo generico, anche nella sua forma eventuale, consistente nella consapevolezza da parte dell’agente che il proprio comportamento potrebbe alterare la regolarità del servizio (v. Cass., sez. VI, n. 39219/2013; Cass., sez. VI, n. 8996/2010; Cass., sez. VI, n. 22422/2005), qui, assolutamente corposo e limpido si apprezza l’elemento psicologico, stante l’univocità e l’intenzionalità dell’azione illecita.
5. Corretta inoltre risulta altresì la contestazione dell’aggravante di aver promosso la commissione del reato (che si tratti di circostanza e non di fattispecie autonoma di reato, v. già Cass., Sez. 6, n. 9447 del 17/6-19/10/93).
Al riguardo, infatti, anzitutto il contenuto del messaggio inviato sul gruppo (…), che qui è bene ancora riportare (“!! ATTENZIONE !! OPERAZIONE SPECIALE MARTEDÌ 15 FEBBRAIO ALLE ORE 16.30 IL VIA VE LO DAREMO NOI CI SARA’ UNA AZIONE DI INVASIONE ONLINE SU UNA PIATTAFORMA BEN SPECIFICA PER PARTECIPARE E’ NECESSARIO EESERE CERTI DI ESSERCI E DI AVERE DISCRETE CAPACITA’ TECNICHE. SE IN POSSESSO DI TALI REQUISITI UNIRSI AL GRUPPO (…)”), è emblematico di per sé dell’attività propagandistica e promozionale svolta dal Ce. che, dopo aver sottolineato la specialità dell’operazione e indicatone esattamente data e ora dell’inizio, ha invitato gli utenti a partecipare se in possesso di discrete capacità tecniche.
In secondo luogo, dalle indagini tecniche esperite e sopra illustrate è emerso in modo chiaro, più in generale, sia che il (omissis), all’interno di diversi movimenti “NO VAX”, fosse una figura di primo piano, sia che ricoprisse anche lui il ruolo di propagandista e reclutatore di nuovi membri, di talché la promozione anche di tale specifico attacco hacker si pone in linea con tutto il resto. Ma infine, in via assorbente, il ruolo di promotore da lui assunto nel caso di specie risulta, come messo in luce nell’annotazione della Polizia Postale dd. 16/9/22, dal fatto che lui ha condiviso il post dei (…) relativo al gruppo Telegram, inserendo apposito link cui collegarsi per unirsi all’incursione informatica, poi effettivamente effettuata da più partecipanti.
6. Le considerazioni appena svolte sulla sussistenza dell’aggravante sgombrano il campo da uno degli argomenti difensivi introdotti in sede di discussione della causa, ma inconsistenti risultano anche gli altri due, spesi per sostenere l’insussistenza del reato ovvero la riconoscibilità di una scriminante.
6.1. La prima osservazione difensiva è assai ardita giuridicamente ed è volta ad assumere che, nella fattispecie concreta sotto scrutinio, saremmo di fronte ad una sorta di reato impossibile per inesistenza dell’oggetto (art. 49/2 c.p.), dal momento che la seduta del Consiglio comunale di Trieste dovrebbe considerarsi come inesistente in quanto mancante del carattere di pubblicità.
Orbene, anzitutto a questa “costruzione” deve obiettarsi, in fatto, che, come rappresentato già in querela dal Presidente del Consiglio, la seduta, tenutasi in videoconferenza in base alle disposizioni normative del momento legate all’emergenza pandemica, è stata pubblica e addirittura trasmessa sulla piattaforma You Tube.
Ma poi, in diritto, rammentato che “l’inesistenza dell’oggetto del reato dà luogo a reato impossibile solo qualora l’oggetto sia inesistente “in rerum natura” o si tratti di inesistenza originaria ed assoluta, non anche quando l’oggetto sia mancante in via temporanea o per cause accidentali” (cfr. Cass., Sez. 1, n. 12407 del 30/09/2019 – 17/04/2020), non si vede come la ipotizzata (e inesistente) mancanza della pubblicità della seduta del Consiglio (tra l’altro non nota all’agente ma solo immaginata ex post) potrebbe integrare la causa di non punibilità invocata, considerato che la riunione v’è stata, è stata interrotta illecitamente ed è poi ripresa concludendosi regolarmente.
6.2. Del pari infondata è la tesi che il reato oggetto di contestazione sarebbe scriminato dall’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero.
Al riguardo, deve essere intanto ricordato che la libertà di manifestazione del pensiero si pone di regola in una posizione di tensione conflittuale soprattutto nei confronti di norme penali a tutela dell’ordine pubblico che puniscono forme di istigazione a delinquere, di norme penali a tutela dell’onore o verso i c.d. reati di vilipendio, cosicché è già arduo postularlo rispetto ad un reato, come quello che ci occupa, che appartiene alla categoria dei delitti dei privati contro la P.A.
Ciò detto, non escludendo casi del genere, per giurisprudenza costante sul tema, può riconoscersi operatività alla scriminante dell’art. 51 c.p. solo allorché le condotte strumentali all’esercizio del diritto si risolvano in un sacrificio proporzionato all’esigenza di esercitare efficacemente il diritto e quando non vi sia altro modo di esercitare con pari efficacia il diritto stesso.
E’ stato altresì affermato che “l’esercizio di diritti fondamentali, quale quelli di sciopero, riunione e manifestazione del pensiero, non può ritenersi legittimo quando trasmodi in lesione di altri interessi costituzionalmente garantiti, non potendo in tal caso ritenersi applicabile la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. (Fattispecie riferita ai reati di violenza privata ed interruzione di pubblico servizio accertati a carico di uno studente che, nell’ambito di uno “sciopero”, aveva impedito per alcune ore l’accesso alla scuola e lo svolgimento delle consuete attività didattiche ai docenti e ad altri studenti non manifestanti, con corrispondente lesione del diritto allo studio di questi ultimi)” – v. Cass., Sez. 5, n. 7084 del 16/10/2015 – 23/02/2016.
Ed allora, tenuto conto di tali principi, non v’è chi non veda che l’azione compiuta dal (omissis) non possa minimamente ritenersi scriminata ex art. 51 c.p., considerato: a) che la protesta “No VAX” era già ampiamente incanalata nella società in altre forme di espressione e certamente l’incursione telematica posta in essere ha impedito lo svolgimento dell’attività istituzionale di un Ente pubblico in una seduta che aveva all’ordine del giorno temi del tutto lontani ed estranei a quello del Movimento (…) e simili; b) il vulnus creato al buon andamento della P.A., come è stato già sopra spiegato, è stato rilevante, sicché manca anche il requisito della proporzione.
6.3. Va solo aggiunto quindi che, alla luce di quanto fin qui esposto, non è accoglibile neppure la richiesta della difesa di assolvere il suo assistito ex art. 131 bis c.p., avuto riguardo alle studiate, complessissime dal punto di vista tecnico, modalità della condotta non certo di poco momento, al comportamento poco collaborativo tenuto dall’imputato all’atto del controllo della p.g. ed alla significatività del pregiudizio arrecato alla p.o.
7. Venendo quindi al trattamento sanzionatorio, alla luce dei parametri indicati dall’art. 133 c.p., si stima congrua la pena complessiva di mesi quattro di reclusione, così determinata: riconosciute comunque le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alla contestata aggravante in ragione dell’incensuratezza del (omissis), della scelta processuale da lui operata, della non contestazione della paternità dell’azione e del clima particolarmente teso regnante nella società civile al momento del fatto a causa della pandemia, p.b.: mesi sei di r.; ridotta di un terzo per il rito. Alla condanna nel merito segue quella al pagamento delle spese processuali.
7.1. Sempre tenuto conto degli elementi di cui al cit. art. 133, espressa una prognosi di recidiva favorevole all’imputato alla luce dell’occasionalità della vicenda, legata ad un fenomeno ormai pressoché venuto meno, può concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, come quello della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
8. L’imputato, infine, deve essere condannato al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile, sia patrimoniali (in quanto il Comune ha dovuto sostenere il costo orario del personale, in specie quello tecnico informatico, impegnato nella risoluzione del problema, sia nell’immediatezza che nei giorni successivi per effettuare le opportune verifiche di tenuta del sistema) che non patrimoniali per danno all’immagine conseguente alla diffusione della notizia (danni che possono qui liquidarsi in via equitativa in complessivi Euro 2.000, di cui Euro 914,36 per danno patrimoniale come quantificato dalla stessa p.c.) nonché al rimborso delle spese di costituzione e di difesa sostenute, che si liquidano, come da domanda, in Euro 1.040, oltre al rimborso delle spese generali e agli oneri accessori di legge.
(omissis) colpevole del reato ascrittogli in rubrica e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, con la diminuente del rito, lo
CONDANNA
alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; visti gli artt. 163/1, 175/1 c.p. e 533/3 c.p.p.,
ORDINA
che l’esecuzione della pena suddetta rimanga sospesa per il termine e sotto le comminatorie di legge e che non sia fatta menzione della presente condanna nel certificato del casellario giudiziale;
visti gli artt. 538 ss. c.p.p.,
CONDANNA
l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile Comune di Trieste, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 nonché al rimborso delle spese processuali dalla stessa sostenute, che liquida in Euro 1.040,00, oltre al rimborso delle spese generali e agli altri accessori di legge.
Così deciso in Trieste il 5 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2024.