Massima

La mediazione che caratterizza il traffico di influenze illecite è individuata da un accordo finalizzato alla commissione di un abuso idoneo a produrre indebiti vantaggi, sicché il semplice sfruttamento di relazioni col pubblico agente ovvero il mero uso di una relazione personale non sono sufficienti a configurare il reato. (Fattispecie in cui si è escluso il reato di traffico di influenze illecite in presenza di una raccomandazione non accolta rivolta ad un pubblico ufficiale).

Supporto alla lettura

TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE

Il reato di cui all’ art. 346 bis c.p. ( inserito nel codice penale dalla legge Severino n. 120/2012 e    modificato dalla Legge Nordio, in vigore da domenica 25 agosto 2024), punisce:

“Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319 e 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis, utilizzando intenzionalmente allo scopo relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a se’ o ad altri, denaro o altra utilità economica, per remunerare un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, in relazione all’esercizio delle sue funzioni, ovvero per realizzare un’altra mediazione illecita, e’ punito con la pena della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni e sei mesi. 

Ai fini di cui al primo comma, per altra mediazione illecita si intende la mediazione per indurre il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito. 

La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità economica.

La pena e’ aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a se’ o ad altri, denaro o altra utilità economica riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio o una delle qualifiche di cui all’articolo 322-bis. 

La pena e’ altresì aumentata se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”. 

La norma si pone l’obiettivo di tutelare la pubblica amministrazione dal traffico illecito diretto o indiretto delle pubbliche funzioni.

Il traffico di influenze illecite è un reato di pericolo perché anticipa fortemente la tutela. Esso si consuma infatti nel momento in cui si da il denaro o si accetta la promessa della remunerazione per corrompere poi il funzionario pubblico.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale del riesame di Roma, adito ai sensi dell’art. 310 c.p.p. – a seguito dell’appello del pubblico ministero avverso l’ordinanza del 16/12/2021, con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma rigettava la richiesta di misura coercitiva degli arresti domiciliari nei confronti dell’indagato in relazione ai reati a lui ascritti con incolpazione provvisoria, ai sensi dell’art. 346-bis c.p., comma 2, (capo B) e dell’art. 81 c.p., comma 2, art. 476 c.p., commi 1 e 2, artt. 482 e 491-bis c.p. (capo C) -, applicava a L.D. la misura coercitiva degli arresti domiciliari in relazione ad entrambi i fatti di cui all’incolpazione provvisoria.

2. (omissis) ricorre a mezzo del difensore di fiducia avv.to (omissis), articolando tre motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

2.1 violazione di legge, in riferimento all’art. 346-bis c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in quanto, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale del riesame, il presupposto del reato di cui all’art. 346-bis c.p. risiede nell’esistenza delle relazioni tra intermediario e soggetto pubblico che, nell’ottica del patto, dovranno essere sfruttate, in quanto proprio in tale sfruttamento di una relazione esistente consiste la causa del negozio illecito; nel caso in esame, invece, non emerge in alcun modo che il (omissis) avesse fatto riferimento ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio, atteso che la stessa denuncia del (omissis) riferiva che il (omissis)  si era impegnato ad aiutarlo a superare le prove senza riferire alcunché in ordine al soggetto da contattare; ciò è confermato anche da una conversazione telefonica del 09/12/2019, non valorizzata dal Tribunale, con cui il (omissis) aveva inviato al (omissis)  la foto del (omissis), apparendo evidente come solo in quell’occasione gli avesse fatto il nome del predetto, senza specificare che ruolo questi rivestisse; né vi è alcuna prova che fosse stata consegnata una somma di denaro, essendo la motivazione sul punto contraddittoria, anche alla luce del contenuto della denuncia, che riferiva solo di una richiesta di denaro; parimenti carente è la prova che il (omissis) abbia interceduto presso il (omissis) il quale aveva riferito che il (omissis) lo aveva contattato solo per un saluto, così come è evidente che né il (omissis) né il (omissis) avessero fatto alcunché per favorire il (omissis), poi risultato non idoneo, sussistendo, invece, la prova del disappunto del (omissis) per essere stato avvicinato dal (omissis), al quale suggeriva di fare ricorso amministrativo, lamentandosi, poi, con il (omissis) di tale inopportuno contatto; la circostanza che il (omissis) fosse un pubblico ufficiale, inoltre, non avrebbe esonerato il Tribunale dal motivare circa la sussistenza del reato, allorquando la condotta sia costituita da relazioni millantate e non sfruttate, mancando anche la motivazione circa la lieve entità del fatto, di cui all’art. 346-bis c.p., u.c.;

2.2 violazione di legge, in riferimento all’art. 81 c.p., comma 2, art. 476 c.p., commi 1 e 2, artt. 482 e 491-bis c.p., L. n. 241 del 1990, artt. 6 e 18 e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in quanto il documento falsificato dal (omissis) non era un atto pubblico fidefacente, poiché, in materia concorsuale, la legge prevede che la documentazione attestante il possesso di titoli possa essere acquisita anche mediante autocertificazione o d’ufficio da parte della P.A., allorquando i titoli siano in possesso di altra P.A., dovendosi ritenere che la documentazione richiesta dalla commissione di un concorso sia recessiva rispetto al principio del soccorso istruttorio di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 6, comma 1, lett. b) e art. 18; in ogni caso, non si versa nel caso di documento fidefacente, posto che il pubblico ufficiale non deve impugnarlo mediante querela di falso, ma semplicemente disconoscerlo, come di fatto avvenuto; tra l’altro, il documento inviato dal (omissis), dapprima a mezzo mail e poi a mezzo raccomandata, mancava del timbro di attestazione dell’avvenuto deposito, risultando falsificato in maniera così evidente da indurre la P.A. a ritenerlo non veritiero senza alcun dubbio;

2.3 violazione di legge, in relazione agli artt. 274 e 275 c.p.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in quanto risulta del tutto carente la valutazione circa la sussistenza del pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, mancando ogni richiamo ai criteri di concretezza ed attualità del pericolo, considerata l’incensuratezza del (omissis) oltre che il possesso, da parte sua, dei titoli che gli avrebbero consentito un maggior punteggio e che, al più, la falsa attestazione era intervenuta per rimediare ad una dimenticanza.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso di (omissis) è fondato e va, pertanto, accolto, per le ragioni di seguito specificate.

1.Va premesso che (omissis) aveva partecipato al concorso per allievo agente di Polizia penitenziaria nel luglio 2019, risultando idoneo alla prova di esame ed inidoneo alla prova fisica; nel dicembre 2019 giungeva, presso il centralino del D.A.P., una telefonata, da parte di una donna – poi identificata in (omissis), madre del (omissis) – che riferiva a successivi interlocutori di aver corrisposto utilità affinché il proprio figlio superasse anche la fase di idoneità fisica, pretendendone la restituzione alla luce dell’esito negativo della detta prova; gli accertamenti, anche alla luce della relazione di servizio dell’assistente capo (omissis), assistente capo della Polizia Penitenziaria, addetto all’Ufficio Concorsi di Roma, consentivano di individuare in (omissis) l’assistente capo, in servizio ad Altamura, che aveva ottenuto dal (omissis) un pacco ed una somma di denaro, avendogli rappresentato che in tal modo avrebbe ricompensato il pubblico ufficiale che lo avrebbe supportato nel superamento della prova di idoneità fisica.

I rapporti tra il (omissis) ed il (omissis) sono stati provati – secondo il Tribunale del riesame – attraverso i messaggi whatsapp scambiati tra i due nel periodo coincidente con lo svolgimento del concorso, così come risultano scambi tra il (omissis) ed il (omissis), oltre che conversazioni telefoniche intercettate, che confermano la richiesta di una somma di denaro da parte del (omissis) al (omissis) oltre che la consegna di un pacco di prodotti alimentari; risultano, altresì, i contatti tra il (omissis) ed il (omissis) e le rimostranze di quest’ultimo per l’inopportuno comportamento del (omissis), ed, infine, una denuncia del (omissis) ai danni del (omissis) per concussione.

2. Secondo l’indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, da cui il Collegio non intende discostarsi, la mediazione illecita che caratterizza la fattispecie di traffico di influenze illecite, di cui all’art. 346-bis c.p., in contestazione, è individuata da un accordo tra il committente ed il mediatore finalizzato alla commissione di un illecito penale idoneo a produrre indebiti vantaggi al primo, mentre il semplice sfruttamento di relazioni con il pubblico agente, ovvero il mero uso di una relazione personale, non risultano sufficienti (in tal senso, Sez. 6, n. 1182 del 14/10/2021, dep. 13/01/2022, Guarnieri Daniela Rossana, Rv. 282453, secondo cui “In tema di traffico di influenze, la mediazione onerosa è illecita se l’accordo tra il committente ed il mediatore è finalizzato alla commissione di un illecito penale idoneo a produrre vantaggi indebiti al primo, non assumendo rilievo l’illegittimità negoziale per difformità dal contratto tipico di mediazione ovvero il mero uso di una relazione personale, preesistente o potenziale, tra il mediatore ed il pubblico agente per il conseguimento di un fine lecito.”; nonché, Sez. 6, n. 40518 del 08/07/2021, Alemanno Giovanni, Rv. 282119, che ha affermato: “In tema di traffico di influenze illecite, il reato non è integrato per effetto della mera intermediazione posta in essere mediante lo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente, occorrendo che la mediazione possa qualificarsi come “illecita”, tale dovendosi ritenere l’intervento finalizzato alla commissione di un “fatto di reato” idoneo a produrre vantaggi per il privato committente”).

Da tale impostazione discende che la condotta di chi, al fine di ottenere un indebito vantaggio patrimoniale, millanti di esercitare la propria mediazione presso un pubblico funzionario, risponde del delitto di truffa e non di quello in esame (Sez. 6, n. 26437 del 08/06/2021, Casanova Maurizio, Rv. 281583, caso in cui è stata sottolineata la generica indicazione al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblici) servizio al punto tale da non poter essere certi del

riferimento, né potendosi risalire alle mansioni dallo stesso esercitate).

3. Tanto premesso, il provvedimento impugnato ha ricordato come il (omissis), assistente capo della Polizia Penitenziaria, addetto all’Ufficio Concorsi di Roma, avesse riferito – nella relazione di servizio a sua firma – di aver ricevuto, nel dicembre 2019, una telefonata da un individuo che specificava di essere il candidato del giorno precedente, dicendo di chiamarsi (omissis) e  di essere amico di famiglia di (omissis); il (omissis) contestava al suo interlocutore di aver disatteso le promesse fatte al (omissis); il (omissis) ammetteva di aver una risalente amicizia con il (omissis), aggiungendo che il (omissis) gli aveva anche riferito che il (omissis) lo aveva rassicurato circa il fatto che egli avrebbe potuto rivolgersi al (omissis) per qualsiasi “supporto” e che, per tale ragione, il (omissis) aveva consegnato al (omissis) un “pacco”.

Nella relazione di servizio – secondo la sintesi del Tribunale del riesame – il (omissis) aveva ritenuto, in un primo momento, che la telefonata provenisse da un mitomane, ricordando, tuttavia, che qualche giorno prima il (omissis) effettivamente lo aveva chiamato per dirgli che sarebbe venuto a Roma per accompagnare un amico di famiglia, convocato per la visita di idoneità finalizzata all’arruolamento nel corpo di Polizia Penitenziaria, e che, nell’occasione, sarebbe passato a salutarlo. Il (omissis), altresì, aggiungeva che, nel leggere i risultati delle prove, aveva ricordato il nome del (omissis), verificando che questi non era risultato idoneo alla prova fisica, e che quando, subito dopo, il (omissis) gli si era avvicinato, egli ne aveva constatato le caratteristiche fisiche e gli aveva detto che avverso l’esclusione avrebbe potuto presentare ricorso, avvisando, poi, il (omissis) delle spiegazioni fornite al (omissis), dichiarandosi disponibile ad ogni ulteriore delucidazione in riferimento alla procedura da intraprendere, eventualmente. Infine, il (omissis) ricordava che, dopo la telefonata ricevuta dal (omissis), aveva tentato di contattare il (omissis), senza riuscirci, inviandogli, infine, un messaggio whatsapp, per lamentare la inopportuna telefonata ricevuta dal (omissis), cosa di cui il (omissis) si era scusato.

Tali ultime circostanze risultavano confermate dalle indagini svolte, così come risultava verificato che il (omissis) avesse inviato al (omissis) una fotografia del (omissis), indicandoglielo come un suo amico che probabilmente sarebbe stato in servizio nel corso delle prove di concorso, suggerendo al (omissis) di presentarsi al (omissis); altrettanto pacifica è la circostanza che il (omissis) avesse avvicinato il (omissis) nel corso della prova concorsuale, risultando, quindi, dimostrato sia che il (omissis) fosse in grado di riconoscere il (omissis), di cui aveva ricevuto una foto dal (omissis), sia che il (omissis) conoscesse il nome del (omissis).

Resta, infine, accertato che il (omissis) avesse chiesto al (omissis) la consegna di denaro e di un pacco – secondo il Tribunale del riesame -, come dimostrato dal contenuto della telefonata effettuata dalla madre del (omissis) al centralino del D.A.P., nonché dalle conversazioni telefoniche oggetto di captazione e dalla denuncia del (omissis), sporta il 16/12/2020, dal cui contenuto emerge che il (omissis) gli aveva chiesto la somma di Euro tremila per comprare favori di amici a Roma in funzione della prova di idoneità fisica, e che lo aveva anche accompagnato a Roma, occasione in cui il (omissis) aveva lasciato nell’auto del (omissis) un pacco contenente generi alimentari del valore di 100,00 Euro. Nella medesima denuncia il (omissis) affermava che era stato il (omissis) ad avvicinarsi a lui, allorquando egli, dopo la prova, aveva riacceso il cellulare ed aveva visto la foto del (omissis) che il (omissis) gli aveva inviato; in quella occasione il (omissis) si era rammaricato dell’esito non favorevole della prova, affermando di averne già parlato con il (omissis).

Il Tribunale del riesame ha ritenuto, quindi, del tutto accertata la corresponsione di utilità al (omissis) da parte del (omissis) e della madre, (omissis), sebbene il (omissis), poi, avesse, in denunzia, tentato di accreditarsi come vittima del reato di concussione; altrettanto accertata, inoltre, la consegna delle utilità al (omissis), che aveva prospettato di dovere, a sua volta, corrispondere dette utilità ad un soggetto in grado di fornire il necessario “supporto” al (omissis), da identificarsi senza alcun dubbio nel (omissis), a cui il (omissis) aveva sicuramente parlato del (omissis), ed era stato individuato dalla stessa (omissis), nella sua telefonata al D.A.P., come (omissis).

Il provvedimento impugnato ha, infine, escluso la sussistenza della prova circa la consegna delle utilità dal (omissis) al (omissis), poiché, in tal caso, sarebbe stata configurabile una fattispecie di corruzione.

3. Tanto premesso, va considerato come elemento costituivo del reato di cui all’art. 346-bis c.p., in esame, sia la mediazione illecita, rispetto alla quale la dazione o la promessa di denaro o altro vantaggio patrimoniale costituisce la controprestazione, ovvero il prezzo; tale mediazione, inoltre, è connotata specificamente dallo sfruttamento di una relazione esistente con un pubblico ufficiale o con un incaricato di pubblico servizio.

Nel caso di specie il Tribunale del riesame ha del tutto omesso di fornite un’adeguata motivazione in riferimento proprio alla intervenuta mediazione, posto che questa presenta una decisa autonomia strutturale, con conseguente riflesso sull’aspetto dei gravi indizi, rispetto alla sussistenza dell’indebita dazione o promessa e, ancor prima, rispetto alla sussistenza della relazione con il pubblico ufficiale.

La sussistenza di un rapporto, anche risalente, di conoscenza e, addirittura, di amicizia tra il (omissis) ed il (omissis), non è certamente in discussione, essendo ammesso dallo stesso (omissis); altrettanto logica appare la valutazione, da parte del Tribunale del riesame, circa la consegna di vantaggi patrimoniali da parte del (omissis) al (omissis). Ciò che, al contrario, manca del tutto, è una congrua motivazione circa la sussistenza della mediazione intervenuta da parte del (omissis) nei confronti del (omissis), posto che i contatti telefonici tra i predetti, del 10 e del 12 dicembre 2019, non sono affatto noti nel loro contenuto, apparendo, al contrario, provato unicamente il contenuto della riprovazione, da parte del (omissis) al (omissis), per le esternazioni del (omissis), e le scuse del (omissis) al pubblico ufficiale.

In tal senso, infatti, la circostanzgshe il (omissis) avesse inviato al (omissis) una foto del (omissis), indicandolo come un suo amico al quale il (omissis) avrebbe potuto rivolgersi – come poi questi aveva fatto, anche secondo la relazione di servizio del (omissis) -, avrebbe potuto costituire, alla luce della giurisprudenza di questa Corte in precedenza citata, anche un mero artificio o raggiro che, unitamente ad altre circostanze emerse – quali l’accompagnamento a Roma del (omissis), la telefonata del (omissis) al (omissis) per avvisare che sarebbe passato da Roma per accompagnare un amico di famiglia che doveva sostenere le prove del concorso -, avrebbero potuto costituire la messinscena, da parte del (omissis), funzionale alla dazione di denaro ed altre utilità, richieste al (omissis)  con il pretesto di dover remunerare l’interessamento e l’intervento del pubblico ufficiale.

Non vi è alcun dubbio, infatti, che la punibilità del privato, nell’ambito della previsione normativa di cui all’art. 346-bis c.p., si giustifica a condizione che il rapporto tra il mediatore ed il pubblico agente sia effettivamente esistente o, quanto meno, potenzialmente suscettibile di instaurarsi, ed, altresì, a condizione che si sia verificata la mediazione; solo in tal caso, infatti, il bene giuridico tutelato dalla norma viene leso, mentre, nel caso in cui il privato sia tratto in errore attraverso modalità decettive, si realizza esclusivamente un pregiudizio alla sua sfera patrimoniale.

Inoltre, la disposizione incriminatrice descrive la condotta in termini di “far dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale” nella duplice prospettiva quale “prezzo della propria mediazione illecita” verso il soggetto qualificato, oppure “per remunerarlo”. Sia la mediazione a pagamento sia la mediazione gratuita, ma remunerativa del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, sono correlate “al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”.

Peraltro, il collegamento di entrambe le forme di mediazione alla prospettiva di una distorsione dell’attività della Pubblica Amministrazione, in una direzione lesiva del buon andamento e dell’imparzialità della stessa, rappresenta l’unica chiave di lettura in grado di conciliare la fattispecie con il principio di offensività, evitando interpretazioni dilatative, che finirebbero per incriminare automaticamente tutte le forme di consulenza, assistenza professionale o comunque di interlocuzione non gratuita con la Pubblica Amministrazione, il che sì porrebbe in stridente contrasto con le forme di partecipazione dei privati al procedimento amministrativo.

Come osservato all’esito dell’entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, il cui art. 1 ha inserito nel codice penale l’art. 346-bis, l’incriminazione del traffico di influenze è motivata dall’esigenza di colpire condotte prodromiche a fatti di corruzione, prevenendone la consumazione, il che, tuttavia, appare evidente in relazione alla mediazione in cui il denaro o il vantaggio patrimoniale è promesso o conferito per remunerare il soggetto qualificato a cui viene chiesto un atto contrario ai suoi doveri; in tal caso, se il mediatore riesce a convincere il pubblico agente ad entrare in un patto corruttivo, saranno applicabili le sanzioni in materia di corruzione, come emerge dalla clausola di sussidiarietà con cui si apre l’art. 346-bis c.p..

Nel caso in cui, invece, il denaro o il vantaggio patrimoniale costituiscono la remunerazione, data o promessa, della mediazione illecita, la condotta integra il reato solo se diretta ad un atto contrario ai doveri di ufficio, considerato il carattere “indebito” della dazione, o della promessa, da parte del privato e, soprattutto, alla luce della connotazione della mediazione stessa, definita illecita dal legislatore.

Può concludersi, quindi, che l’interpretazione più plausibile deve essere orientata nel senso di ravvisare ìl delitto di traffico di influenze soltanto se la condotta sia funzionale a convincere il destinatario della pressione a compiere atti contrari ai suoi doveri o ad omettere un atto conforme ai doveri che su di luì incombono.

Così ricostruita la fattispecie, appare evidente come alla stessa non siano in alcun modo ascrivibili le così dette raccomandazioni, certamente non incriminabili dalla norma, in quanto, se un intervento è volto ad ottenere comportamenti contra legem da parte di un pubblico ufficiale, sì è già al di fuori dell’ambito delle raccomandazioni innocue, dato che definire mera raccomandazione un intervento prezzolato si pone in contrasto perfino con il significato attribuito normalmente al termine nel linguaggio corrente.

Ne discende che se un soggetto interviene gratuitamente per perorare una violazione di legge da parte della Pubblica Amministrazione, non può essere ritenuto incriminabile in base all’art. 346-bis c.p., né in virtù di altre norme, se la “raccomandazione” non viene accolta, in quanto si tratterebbe, al massimo, ad un’istigazione non accolta, ai sensi dell’art. 115 c.p. Se, invece, l’intervento induce il soggetto qualificato a commettere un reato, si avrà concorso in detto reato.

Il reato di cui all’art. 346-bis c.p. si concretizza, quindi, quando l’intermediario prezzolato agisce per turbare il corretto svolgimento dell’attività della Pubblica Amministrazione, sfruttando le relazioni esistenti col soggetto qualificato, destinatario della pressione; la punibilità del traffico di influenze illecite prescinde, naturalmente, dall’esito dell’intervento, in quanto se viene ottenuto il risultato illecito si pone, evidentemente, l’ulteriore problema del possibile concorso di reati.

Conclusivamente, la disposizione realizza una tutela supplementare a garanzia della legalità, del buon andamento, dell’imparzialità dell’attività dei pubblici poteri, nella prospettiva a suo tempo sollecitata in adempimento degli obblighi internazionali assunti dall’Italia, attraverso l’incriminazione di condotte prodromiche alla corruzione o, comunque, rivelatrici di interferenze retribuite di soggetti tendenti a deviare l’attività della P.A. verso obiettivi contrari alla legge. In tal senso deve osservarsi come manchi del tutto, nella motivazione del provvedimento impugnato, anche l’individuazione chiara dell’atto contrario ai doveri del pubblico ufficiale coinvolto, ossia il (omissis), ovvero della precisazione dell’omissione, da parte sua, di un atto dovuto. Ciò in quanto non risulta affatto l’individuazione della funzione concreta da parte del (omissis), la cui distorsione sarebbe stata oggetto delle illecita mediazione.

Ne consegue, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui è stata del tutto omessa la motivazione circa i profili sin qui indicati, e, conseguentemente, la valutazione, alla stregua degli elementi indiziari emersi, circa la possibilità di inquadrare la condotta del (omissis)nella fattispecie di cui all’art. 640 c.p.; con tali principi, ferma restando la piena libertà di valutazione del compendio indiziario, dovrà confrontarsi il Tribunale del riesame in sede di rinvio.

4. Il secondo motivo di ricorso, al contrario, non appare fondato in riferimento alle doglianze dedotte e va, pertanto, rigettato.

Come illustrato dal Tribunale del riesame, il (omissis), dopo essere risultato non idoneo all’esito degli accertamenti fisici, aveva presentato ricorso e, a seguito di nuovo accertamento da parte della Commissione Medica, era stato giudicato idoneo, anche se non vincitore per la sua posizione nella graduatoria finale. A quel punto il (omissis) aveva inviato all’Ufficio Concorso una mail con cui chiedeva la rettifica della graduatoria, assumendo aver prestato servizio nelle Forze Armate, avendo depositato la relativa documentazione in occasione della seduta di esame del 19/07/2019. Il (omissis), pertanto, trasmetteva all’Ufficio Concorsi, la ricevuta di detto deposito, dapprima via mail e quindi a mezzo raccomandata.

Il provvedimento impugnato dà atto che certamente detto deposito non era avvenuto, in quanto il (omissis) aveva comunicato al (omissis), a mezzo messaggio whatsapp, proprio la circostanza di non aver depositato, il giorno della prova scritta, lo stato di servizio nelle Forze Armate.

Quanto alle due ricevute trasmesse, una a mezzo mail e l’altra a mezzo raccomandata, le stesse non erano risultate conformi tra loro, risultando diverse le sigle apposte dal pubblico ufficiale che aveva apparentemente ricevuto la documentazione; difforme risultava l’impaginazione ed il colore del documento cartaceo, diverso da quello utilizzato dagli altri candidati; peraltro l’ufficiale presente il giorno della prova scritta aveva disconosciuto la sigla.

Il Tribunale del riesame ha sottolineato come la diversità tra le sigle apposte sui due documenti era dipesa dal fatto che – come emerso dalle indagini – il (omissis) aveva potuto creare informaticamente la ricevuta digitale a mezzo l’applicazione Tiny scanner, utilizzando un documento digitale inviatogli da un collega che aveva una ricevuta in originale, per cui egli aveva lasciato inalterata la firma originale, mentre aveva dovuto contraffare la sigla sul documento cartaceo, da lui creato ex novo.

Sulla base di tale ricostruzione, deve ribadirsi che la qualificazione giuridica fornita dal Tribunale del riesame, alla luce delle deduzioni difensive, appare corretta, posto che il documento formato dal (omissis) attestava falsamente la ricezione, da parte del pubblico ufficiale, di documentazione proveniente dal privato (ossia lo stato di servizio nelle FF.AA., che, invece, il (omissis) non aveva presentato).

Nel caso di specie l’attestazione del pubblico ufficiale consiste nell’avere egli ricevuto un documento da un privato; tale atto ha senza alcun dubbio natura fidefacente, posto che risulta compiuto dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni.

Dall’accoglimento del primo motivo di ricorso discende anche l’annullamento del provvedimento quanto alle esigenze cautelari, la cui sussistenza e grado non potranno che esser eventualmente rimodulate all’esito della valutazione circa la sussistenza della fattispecie di cui all’art. 346-bis c.p. da parte del giudice del rinvio.

Il provvedimento impugnato va, pertanto, annullato quanto al delitto di traffico di influenze illecite e quanto alle esigenze cautelari, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale del riesame di Roma; nel resto, il ricorso va rigettato.

Si dispone l’invio degli atti alla Cancelleria per gli adempimento di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato, limitatamente alla fattispecie di cui all’art. 346-bis c.p., nonché quanto alle esigenze cautelari, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimento di cui all’art. 28 Reg. Esec. c.p.p..Così deciso in Roma, il 18 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2022

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