• Home
  • >
  • Cassazione penale sez. III, 07/05/2014, n. 21271

Cassazione penale sez. III, 07/05/2014, n. 21271

Massima

I principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità – dettati dall’art. 275 c.p.p. per le misure cautelari personali – sono applicabili anche al sequestro preventivo, dovendo il giudice motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un intero “dominio” internet, in ragione della motivata impossibilità tecnica di oscurare il singolo file lesivo del diritto d’autore).

Supporto alla lettura

SEQUESTRO

Rientra tra le misure cautelari reali e consiste nello spossessamento di un bene, mobile o immobile, sottratto alla disponibilità di un soggetto.

Esistono 3 tipologie di sequestro:

  • probatorio: non rientra tra la misure cautelari reali, si tratta di un mezzo di ricerca della prova che ha l’obiettivo di assicurare il bene mobile o immobile per fini probatori, solitamente viene disposto a seguito di perquisizione;
  • conservativo: rientra tra le misure cautelari reali ed ha finalità prevalentemente economica. Questa tipologia di sequestro ha subito modifiche in seguito all’entrata in vigore della riforma Cartabia, che ha rimosso ad esempio le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria;
  • preventivo: rientra tra le misure cautelari reali ed ha finalità di protezione, infatti l’art. 321 c.p.p. dispone che “quando vi è pericolo che la libera disponbilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza dell’8 luglio 2013 il Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta di riesame presentata da (omissis) Ltd avverso sequestro preventivo disposto dal gip dello stesso Tribunale con decreto del 15 novembre 2013, in relazione a indagini per il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. a) e c), di un dominio Internet – (omissis) – di proprietà di un terzo, cioè della suddetta società.

2. Ha presentato ricorso il difensore sulla base di tre motivi.

Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 321 c.p.p., comma 1, quanto al periculum in mora e il travisamento di prove per manifesta contraddittorietà argomentativa. Il Tribunale sarebbe incorso in violazione di legge perchè presenta una motivazione priva dei requisiti minimi sul fatto che il sito era già stato oggetto di sequestro il (omissis); lo stesso Tribunale ne aveva disposto il dissequestro ma non aveva ancora risposto alla richiesta del PM sulle modalità per effettuarlo. Nonostante ciò l’ordinanza afferma che il collegio non ha piena contezza delle vicende dell’altro procedimento di sequestro per cui non può escludere la sussistenza del periculum in mora. Al contrario, il sito è ancora irraggiungibile e il presidente del collegio che ha emesso l’ordinanza impugnata era stato anche giudice a latere nel collegio che ne aveva disposto il dissequestro. Se ne deduce che il Tribunale aveva conoscenza della mancanza di periculum in mora.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 275 c.p.p. quanto a proporzionalità, adeguatezza e gradualità del sequestro preventivo, nonchè violazione del D.Lgs. n. 70 del 2003, art. 5, comma 2, lett. b). Il Tribunale non avrebbe considerato i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della cautela non tenendo conto della giurisprudenza interna e comunitaria al riguardo e quindi della esigenza di garantire un equilibrio tra la tutela del diritto d’autore e quella degli altri diritti fondamentali, come il diritto ex art. 21 Cost. e la libertà della iniziativa imprenditoriale. Il Tribunale, infatti, non avrebbe valutato se per impedire la protrazione dell’aggravamento degli effetti del reato in questione fosse sufficiente una misura di inferiore incidenza.

Il terzo motivo denuncia illogicità motivazionale per travisamento di prove sulla possibilità di dissequestrare un sito Internet, che il Tribunale avrebbe negato senza motivazione e infondatamente.

Sarebbe infatti possibile dissequestrare il sito e chiedere il sequestro e/o la cancellazione di un singolo file. Il Tribunale non ha poi tenuto conto della mancata risposta al PM relativa all’ulteriore procedimento di cui si è fatta menzione nel primo motivo e non ha tenuto conto neppure del fatto che la società ricorrente aveva dimostrato che il file non era più sul portale.

In data 30 aprile 2014 il ricorrente ha depositato memoria con motivi nuovi. Il primo motivo denuncia permutamento delle circostanze di fatto riguardanti lo scopo di lucro di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2, lett. a bis); il secondo denuncia violazione dei principi comunitari sulla proporzionalità della cautela; il terzo denuncia violazione di legge per compressione dei diritti di terzi incolpevoli (chi ha propri file sul sito sequestrato) e quindi violazione degli artt. 8, 11 e 16 CEDU e 8 e 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

3.1.1 Premesso che i motivi nuovi depositati in data 30 aprile 2014 sono tardivi ex art. 585 c.p.p., comma 4 il primo motivo del ricorso lamenta anzitutto che il Tribunale del riesame non avrebbe preso in considerazione “tutte le risultanze delle indagini”, e così avrebbe confermato il fumus commissi delicti “sulla base di una motivazione che si palesa priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza”, e che pertanto sarebbe del tutto mancante realizzando violazione di legge.

Come violazione di legge ex art. 125 c.p.p. è denunciabile soltanto la carenza della motivazione o la sua apparenza per l’utilizzazione esclusiva di formule di stile o affermazioni assertive ovvero tautologiche (Cass. sez. 6 10 gennaio 2013 n. 6589; Cass. sez. 5, 1 ottobre 2010 n. 35532; Cass. sez. 3, 15 giugno 2004 n. 26583; S.U. 13 febbraio 2004 n. 5876), non potendo rilevare nella fattispecie ex art. 325 c.p.p. una mera illogicità o incompletezza dell’apparato motivazionale (Cass. sez. 6, 20 febbraio 2009 n. 7472; Cass. sez. 5, 28 febbraio 2007 n. 8434). Quel che il ricorrente censura, a ben guardare, è, allora, proprio il contenuto della motivazione, ovvero il vizio di incompletezza e di contraddittorietà che è riconducibile esclusivamente all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), e quindi precluso, nel caso in esame, dalla limitazione di cui all’art. 325 c.p.p., comma 1. Peraltro, si aggiunge ad abundantiam, non può non darsi atto che una motivazione di merito non deve menzionare espressamente ogni dato fattuale emergente dal compendio probatorio, essendo sufficiente che costruisca una adeguata struttura accertatoria mediante elementi decisivi, atti ad assorbire, anche implicitamente, pure gli eventuali ulteriori elementi non menzionati, in quanto inidonei per il loro contenuto ad alterare la decisione. E, sempre ad abundantiam, si rileva infine che, nel caso di specie, l’ordinanza impugnata offre una motivazione evidentemente sufficiente e non illogica in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti (pagina 2-3).

3.1.2 Prosegue il motivo in esame sostenendo l’assenza in radice del periculum in mora, che deriverebbe dal fatto che il sito (omissis) sarebbe tuttora sottoposto ad altro sequestro, effettuato il (omissis), il cui dissequestro, pur disposto dallo stesso Tribunale, non sarebbe stato ancora eseguito. Il Tribunale traviserebbe nell’affermare di non essere a conoscenza della mancata esecuzione, poichè un suo componente sarebbe stato componente anche del collegio che ha disposto il dissequestro.

In realtà, il Tribunale ha trattato la questione, che era stata specificamente addotta dalla difesa, formalmente in relazione al fumus commissi delicti, con una motivazione che, peraltro, copre implicitamente e logicamente anche il profilo del periculum in mora.

Riconosce infatti che il sequestro preventivo del maggio 2013 era stato parzialmente annullato dal Tribunale del Riesame “con provvedimento che secondo la difesa non avrebbe mai trovato attuazione”, e riconosce altresì che ancora in data 9 agosto 2013 “il PM chiedeva al Tribunale del Riesame le modalità per dare attuazione al decisum”. Conclude però che “non avendo questo Collegio piena contezza delle vicende che hanno interessato il precedente sequestro, non può escludersi che successivamente al 9 agosto 2013 e prima del provvedimento qui impugnato il vincolo ablatorio sia venuto meno in forza di provvedimento dell’autorità giudiziaria procedente”.

Non si può non ricordare che il decreto di sequestro era stato emesso dal gip del Tribunale di Roma il 15 novembre 2013 – e dunque oltre tre mesi dopo la richiesta del PM per l’esecuzione del dissequestro. Secondo il ricorrente il collegio che ha emesso l’ordinanza impugnata aveva come presidente un giudice che era stato componente del collegio che aveva emesso l’ordinanza di annullamento parziale del precedente sequestro, da ciò deducendo che “non poteva, quindi, non sapere che il Collegio di cui lui faceva parte non aveva mai risposto alla richiesta del Pubblico Ministero”. In tal modo il ricorrente censura l’ordinanza per omessa utilizzazione di una pretesa scienza privata di uno dei componenti del collegio che l’ha pronunciata, utilizzazione che, secondo il ricorrente, sarebbe stata non solo legittima ma altresì doverosa. Peraltro la giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche di recente, in conformità ad un noto principio tradizionale, ha riconosciuto che la scienza privata del giudice “non rientra fra le prove ritualmente acquisibili al processo e, come tale, non può essere posta a fondamento del giudizio” (così Cass. sez. 6, 27 maggio 2010 n. 25383). E d’altronde la sussistenza del periculum in mora è stata dal Tribunale motivata adeguatamente, anche sugli ulteriori profili addotti dal ricorrente in ordine alla pretesa intervenuta distruzione del file e alla procedura di vigilanza del dominio (motivazione, pagina 3).

Il motivo risulta dunque infondato.

3.2 Il secondo motivo imputa alla ordinanza la violazione dei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della cautela, che il Tribunale non avrebbe neppure affrontato nonostante l’espressa censura in tal senso del ricorrente. Sarebbe stato violato anche il diritto comunitario laddove considera necessaria, ai fini di un sequestro, la individuazione delle attività illecite; viene altresì richiamata la giurisprudenza di questa Suprema Corte che riconosce il principio di proporzionalità D.Lgs. n. 70 del 2003, ex art. 5, comma 2, lett. a), che deve connotare l’inibizione all’accesso della rete informatica imposta dall’autorità giudiziaria, oltre alla necessità di garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali. Su tutto questo non vi sarebbe motivazione specifica.

Premesso che non si può ravvisare nel caso di specie alcuna incertezza sull’attività illecita per cui è stato disposto il sequestro (la messa in circolazione via Internet di un’opera cinematografica in contrasto con il diritto d’autore), deve darsi atto che è corretta l’affermazione dell’applicabilità al sequestro preventivo dei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità ex art. 275 c.p.p. e della correlata necessità di una motivazione che ne illustri la sussistenza, e cioè la inutilizzabilità di una alternativa cautela meno invasiva (Cass. sez. 5, 16 gennaio 2013 n. 8382; Cass. sez. 3, 15 dicembre 2011-3 aprile 2012 n. 12500; Cass. sez. 3, 7 ottobre 2010 n. 38411), così da non illecitamente comprimere il diritto di proprietà e il diritto di libera iniziativa economica privata (specifica in tal senso Cass. sez. 5, 21 gennaio 2010 n. 8152). Ed è parimenti corretto il richiamo a quella giurisprudenza che, nel contesto di applicazione dei suddetti principi, comunque ammette l’intervento cautelare in rete proprio in relazione al reato di cui si tratta nel procedimento in esame (Cass. sez. 3, 29 settembre 2009 n. 49437: ” E’ legittimo il provvedimento cautelare con cui il giudice penale, in relazione a condotta di diffusione abusiva in rete di opere dell’ingegno, contestualmente al sequestro preventivo del sito il cui gestore concorra nell’attività penalmente illecita, imponga ai fornitori di servizi internet operanti sul territorio dello Stato italiano di inibire l’accesso al sito al limitato fine di precludere l’attività di diffusione di dette opere”).

Se, dunque, in astratto l’impostazione della doglianza è condivisibile, occorre peraltro rimarcare che in concreto non trova riscontro nel contenuto della ordinanza impugnata. Il Tribunale, infatti, ha motivato specificatamente sul profilo della proporzionalità (evidentemente includendovi anche i correlati principi di adeguatezza e gradualità) laddove ha rilevato che il sequestro dell’intero dominio e non del singolo file lesivo del diritto d’autore è reso necessario, nel caso de quo, dalla “impossibilità, per il particolare funzionamento della rete internet, di oscurare una URL specifica”, essendo appunto sequestrabile solo l’intero dominio come indicato dalla polizia giudiziaria nella comunicazione della notizia di reato e come poi confermato dalla stessa documentazione prodotta dalla difesa relativa all’ulteriore sequestro (motivazione, pagine 3-4, ove viene aggiunto anche il riferimento al profilo comunitario – dando atto che la direttiva 2004/48, attinente alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale, fa comunque salve le disposizioni interne concernenti tale tutela – e si considera altresì la posizione dei terzi estranei titolari di diritti coinvolti – al riguardo, peraltro, è evidente l’assenza in capo al ricorrente della legittimazione per farli valere).

Il motivo è dunque infondato.

3.3 Il ricorrente contesta poi, come terzo motivo (travisamento di prova sulla impossibilità del dissequestro di un sito Internet), a ben guardare, proprio il contenuto della valutazione del Tribunale in ordine alla impossibilità di sequestrare solo un singolo file, sostenendo che sarebbe smentita “dal semplice buon senso”, che il Tribunale avrebbe travisato i documenti prodotti dalla difesa, che la difesa aveva provato che il file non era più presente sul portale e che e tecnicamente possibile non solo richiedere la cancellazione del file in qualunque momento ma anche limitare il sequestro del singolo file, come sarebbe stato già accertato da altri giudici di merito.

Premesso che, come si è visto, il Tribunale ha supportato la sua valutazione Principalmente sulle informazioni provenienti della polizia (per cui il travisamento – peraltro addotto in modo generico – delle produzioni dei documenti della difesa, se mai vi fosse, non sarebbe decisivo), occorre rilevare che la possibilità o meno di sequestrare un singolo file estrapolandolo dal dominio, e dunque la possibilità di evitare il sequestro del dominio nella sua interezza, non può non essere qualificabile come accertamento di fatto attinendo ai profili tecnici della esecuzione del sequestro. La non condivisione degli esiti di tale accertamento da parte del ricorrente non può, quindi, comportare un’alternativa verifica della possibilità di sequestro del singolo file ad opera del giudice di legittimità. Anche questo motivo risulta pertanto infondato.

in conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.Così deciso in Roma, il 7 maggio 2014.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2014

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi