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Cassazione penale sez. IV, 15/03/2019, n.25842

Massima

Il reato di omicidio stradale aggravato dalla fuga può concorrere con quello di omessa prestazione di assistenza stradale, in quanto le fattispecie di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 189 cod. strada costituiscono due distinte ipotesi di reato e soltanto la condotta di fuga dopo un incidente stradale è assorbita nella fattispecie complessa di cui al combinato disposto degli artt. 589-bis e 589-ter c.p.

 

Supporto alla lettura

OMICIDIO STRADALE

La legge n. 41, con la quale il reato di omicidio stradale (o pirateria stradale) è stato introdotto nell’ordinamento italiano, è stata promulgata il 2016 a seguito di iniziativa popolare risalente al 2010, che ha proposto l’istituzione di questa figura delittuosa, che comminerebbe pene intermedie tra l’omicidio volontario e quello colposo, con l’arresto in flagranza di reato e l’interdizione a vita dalla guida di veicoli (c.d. “ergastolo della patente”).

L’art. 589-bis c.p. individua tale fattispecie di reato le cui caratteristiche fondamentali sono:

  • la morte di una persona dopo la violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale;
  • la non volontarietà dell’evento.

La sua regolamentazione prevede tre diverse ipotesi delittuose riconducibili all’omicidio stradale, ma di diversa gravità, alle quali corrispondono tre diversi trattamenti sanzionatori:

  • chiunque cagiona, per colpa, la morte di una persona a seguito della violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale (reclusione da 2 a 7 anni);
  • morte della persona causata per colpa da chiunque si ponga alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica (tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l) o in stato di alterazione psico-fisica derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope (reclusione da 8 a 12 anni);
  • morte di una persona cagionata per colpa dal conducente di un veicolo a motore che si trovi in stato di ebbrezza alcolica quantificato con un tasso alcolemico compreso tra 0,8 e 1,5 g/l (reclusione da 5 a 10 anni).

E’ prevista anche una circostanza aggravante il cui verificarsi comporta un aumento delle pene previste dall’art. 589-bis c.p.. Tale aggravante si identifica con il caso in cui il veicolo a motore con il quale è compiuto il fatto sia di proprietà del conducente e sia sporvvisto di assiurazione obbligatoria, o con il caso in cui l’omicidio stradale sia derivato dalla condotta di una persona sprovvista di patente di guida, o che sia stata sospesa o revocata.

Nel regolamentare il reato di omicidio stradale il legislatore non ha omesso di prendere in esame il caso in cui la condotta di guida veda coinvolte più vittime. In tal caso la pena è quella prevista per la violazione più grave, aumentata fino al triplo (massimo 18 anni di reclsione).

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10.7.2018 la Corte di appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Enna, emessa in sede di rito abbreviato, ritenuta la continuazione tra il reato di omicidio stradale cui al capo a) e quello di non aver prestato l’assistenza occorrente di cui all’art. 189 C.d.S., comma 7, (capo b), ha ridotto la pena e, per quanto qui interessa, ha confermato la declaratoria di responsabilità di M.P. in ordine ai predetti reati.

Secondo quanto accertato nel giudizio di merito, l’imputato cagionava il decesso di (omissis), mentre si trovava alla guida del proprio veicolo Alfa Romeo 156 tg. (omissis) senza mantenere una velocità adeguata, procedendo ad una velocità di 115 Km/h, superiore di circa 25 Km/h il limite consentito, nonchè senza mantenere una adeguata distanza laterale rispetto alla bicicletta condotta dalla vittima durante la fase di sorpasso, urtando violentemente la stessa bicicletta, provocando la caduta del (omissis) e dandosi poi immediatamente alla fuga.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando quanto segue.

I) Violazione di legge in relazione all’art. 84 c.p..

Secondo il ricorrente la Corte territoriale ha errato nel non considerare assorbito nel reato di omicidio stradale quello di omessa assistenza di cui all’art. 189 C.d.S., comma 7, dovendosi ritenere un’unica fattispecie quella di fuga e omessa assistenza per come prevista dall’art. 189 cit., comma 1.

II) Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 64 e 388 c.p.p..

Lamenta che la Corte di appello ha omesso di prendere in considerazione il motivo di doglianza che atteneva alla corretta valutazione delle dichiarazioni rese dall’imputato operata dal giudice di primo grado, delle quali si chiedeva un nuovo esame da parte del giudice del gravame.

3. Con memoria depositata il 28.2.2019 il difensore della parte civile insiste per il rigetto del ricorso.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La censura si basa sull’erroneo presupposto che le fattispecie criminose previste dall’art. 189 C.d.S. costituiscano un’unica ipotesi di reato.

Diversamente, nella giurisprudenza della Suprema Corte è pacifico il principio che le fattispecie di cui all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7 costituiscono due distinte ipotesi di reato, con diversa oggettività giuridica: il reato di fuga dopo un investimento (comma 6) è finalizzato a garantire l’identificazione dei soggetti coinvolti nell’investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro; il reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente (comma 7) è finalizzato ad assicurare il necessario soccorso alle persone rimaste ferite; si tratta di due fattispecie autonome e indipendenti, sicchè è ravvisabile un concorso materiale tra le due ipotesi criminose (Sez. 4, n. 3783 del 10/10/2014 – dep. 2015, Balboni, Rv. 26194501).

Ne deriva che bene ha fatto la Corte territoriale a non ritenere assorbito il reato di mancata assistenza di cui all’art. 189 cit., comma 7 nella riconosciuta aggravante di cui all’art. 589-ter c.p., che attiene alla sola ipotesi di “fuga del conducente in caso di omicidio stradale”. Infatti, è solo la condotta di “fuga” dopo un incidente stradale a costituire elemento costitutivo dell’autonomo reato previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 6. Pertanto, è solo tale condotta, e non quella di mancata assistenza, a rimanere assorbita nella fattispecie complessa costituita dal delitto di omicidio stradale aggravato dalla “fuga” del conducente di cui al combinato disposto degli artt. 589-bis e 589-ter c.p., trattandosi di aggravante che descrive un fatto che costituirebbe, appunto, per sè stesso il reato di cui all’art. 189 C.d.S., citato comma 6 secondo il paradigma del reato complesso di cui all’art. 84 c.p..

2. Anche il secondo motivo è infondato, atteso che la Corte territoriale, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, ha tenuto conto, nella sua decisione, delle dichiarazioni rilasciate dell’imputato, come si evince dalla sintesi dei motivi di appello (vedi pagg. 3 e 4 della sentenza) e come si ricava dalla motivazione, in cui vengono confutati i rilievi difensivi in ordine alla ricostruzione del fatto ed in cui si afferma esplicitamente che le “dichiarazioni ammissive di responsabilità da parte dell’imputato sono state valutate nella loro portata obiettiva da parte del primo Giudice” (pag. 6). Secondo i giudici di appello, il fatto che l’imputato non abbia visto la persona offesa in bici lungo la strada perchè “accecato” dal sole non assume rilievo, essendo in contestazione una condotta di guida colposa e non dolosa, e comunque risulta smentita dall’accertamento operato dal consulente tecnico del PM sull’inclinazione del sole in rapporto alla strada e all’orario in cui l’imputato e la vittima la stavano percorrendo; i giudici di merito hanno inoltre escluso che l’imputato non abbia potuto avvedersi delle conseguenze della sua andatura di guida una volta investito il ciclista, di guisa che il fatto di non essersi fermato per prestare soccorso al ciclista catapultato oltre il guardrail è stato ricondotto ad una sua consapevole e volontaria scelta personale.

Si tratta di argomentazioni congrue e non manifestamente illogiche, come tali insindacabili nella presente sede di legittimità.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.Così deciso in Roma, il 15 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019

Allegati

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