Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo come motivo che il giudice avrebbe compiuto una erronea qualificazione giuridica del fatto a proposito del giudizio sulla ritenuta non applicabilità dell’art. 129 c.p.p..
L’imputazione era relativa al fatto di avere collocato di nascosto, all’interno dell’autovettura nella disponibilità di (omissis) e del di lei marito, “un telefono cellulare in grado di intercettare le conversazioni tra le persone a bordo del mezzo”.
Sostiene il ricorrente che il reato contestato punirebbe solo l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telegrafiche o telefoniche, e non potrebbero ravvisarsi neppure gli estremi del reato previsto dall’art. 615 bis c.p. perchè l’abitacolo di un’autovettura non potrebbe definirsi luogo di privata dimora.
Ritiene questa Corte che il ricorso debba essere accolto col conseguente annullamento della sentenza impugnata.
La legge tutela la libertà morale delle persone punendo le interferenze illecite da parte di terzi nella altrui vita privata (art. 615 bis c.p.), e quelle che vengono realizzate sui mezzi di comunicazione (art. 617 c.p., artt. 617 bis, ter, quater, quinquies, e sexies c.p.).
La riservatezza dell’ambiente e delle comunicazioni che in esso possono avvenire è tutelata dall’art. 615 bis c.p., che fa riferimento soltanto ai luoghi indicati nell’art. 614 c.p., e cioè l’abitazione o la privata dimora e l’autovettura su una pubblica via non è stata mai ritenuta dall’interpretazione giurisprudenziale come luogo di privata dimora (Cass. Pen. sez. 1, 1.12.2005, n. 47180; Cass. Pen. sez. 6, 14.7.2005, n. 27856; Cass. Pen. sez. 1, 20.12.2004, n. 2613 e numerose altre).
Gli art. 617 c.p., art. 617 bis e ter c.p. e segg., introdotti con L. n. 98 del 1974, tutelano la riservatezza delle comunicazioni o conversazioni tra persone effettuate con il telegrafo o il telefono, che erano i mezzi tecnici propri dell’epoca di entrata in vigore della legge.
I successivi articoli, aggiunti dalla L. n. 547 del 1993, proteggono le comunicazioni che avvengono con mezzi informatici o telematici, mentre l’art. 623 bis c.p., estende le disposizioni a “qualunque altra comunicazione a distanza di suoni immagini o altri dati”.
Non risulta tutelata dalle norme di cui sopra la captazione di conversazioni tra presenti.
L’art. 617 bis c.p. punisce le intercettazioni di conversazioni telefoniche, purchè l’intercettatore si inserisca nel canale col quale comunicano gli intercettati, così da potere percepire quanto dicono entrambi gli interlocutori; se invece il congegno, come nel caso di specie un telefono cellulare, non è idoneo a registrare se non le parole di uno dei due interlocutori, non potrà realizzarsi il reato di illecita intercettazione telefonica. (V. sullo specifico Cass. Pen. Sez. 5, 30.1.2008, n. 12042; Cass. Pen. Sez. 5, 16.12.2005, n. 4264).
Non ha nulla a che fare con questa tematica la normativa (D.Lgs. n. 196 del 2003) sostanziale sul trattamento illecito dei “dati personali”, che concerne fatti diversi ed ulteriori rispetto alla possibilità di acquisizione di qualsiasi dato riservato.
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio quanto al reato ex art. 617 bis c.p. perchè il fatto non è preveduto dalla legge come reato.
Risultando caducato il patteggiamento intervenuto, gli atti dovranno essere trasmessi al tribunale di Busto Arsizio per nuovo giudizio in relazione all’imputazione di molestie.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al delitto di cui all’art. 617 bis c.p. perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato. Dispone trasmettersi gli atti al tribunale di Busto Arsizio per nuovo giudizio in ordine alla residua imputazione.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2009
