1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Venezia, in riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Bassano del Grappa di assoluzione, ha condannato l’imputato, alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione e Euro 200,00 di multa, per il reato di favoreggiamento della prostituzione, artt. 110 cod. pen. e 3 comma 1 n. 8 e 4 n. 7 della legge n. 75 del 1958, perché, in concorso con altri soggetti giudicati separatamente, curando la pubblicizzazione su sito internet di inserzioni pubblicitarie aventi ad oggetto l’attività di prostituzione, prevedendo altresì ad eseguire le foto e/o ad aiutare a scegliere le fotografie di altre donne da inserire nell’annuncio pubblicitario con il nome della prostituta, favoriva la prostituzione di numerose donne.
1.1. Al diverso epilogo di condanna, la Corte d’appello, investita dall’impugnazione del Procuratore generale, è pervenuta all’esito della rinnovazione dell’istruttoria mediante assunzione delle testimonianze delle prostitute e rilevato che l’imputato aveva offerto servizi aggiuntivi, quali l’effettuazione della foto della donna e/o l’aiuto alla scelta della fotografia di altra donna da inserire, corredata del numero di telefono della prostituta, nell’annuncio pubblicitario, ha ritenuto integrata la fattispecie di reato in presenza di un quind pluris rispetto alla mera prestazione del servizio pubblicitario. L’imputato, che non si era limitato a pubblicare le fotografie consegnate dalle donne per essere inserite nel sito pubblicitario, aveva avuto parte attiva nel favorire la prostituzione in presenza di offerta di servizi aggiuntivi.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’art. 3 comma 1 n. 8 della legge n. 75 del 1958 e vizio di motivazione.
La Corte d’appello avrebbe ritenuto, quale quid pluris, al fine dell’integrazioni della fattispecie di favoreggiamento della prostituzione, l’avere provveduto lui stesso a scattare le fotografie e ad aiutare a scegliere in insieme alla prostituta le foto a lei somiglianti per poi pubblicarle a suo nome. In primo luogo, la corte territoriale avrebbe violato il principio del divieto di reformatio in peius perché l’atto di appello del P.G. non faceva riferimento, ai fini dell’integrazione del reato, alla circostanza, integrante il quid pluris, che l’imputato avesse scattato le fotografie alle prostitute.
In secondo luogo, la motivazione sarebbe illogica poiché non vi sarebbe alcun elemento di prova per dire che fotografie ritraenti donne rinvenute nel suo computer fossero poi state pubblicata negli annunci sul sito.
Infine, richiamando la pronuncia n. 20384 del 2013 della Corte di cassazione, le condotte contestate non potrebbero assurgere a elemento integrativo della fattispecie penale trattandosi di prestazione di servizi alla prostituta che non risulterebbero penalmente rilevanti se destinate ad altre attività, oltretutto in un contesto nel quale il bene giuridico tutelato non è la pubblica moralità o il buon costume, ma la libertà e la dignità della persona che si prostituisce.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Diritto
4. Il ricorso non è fondato e va, pertanto, rigettato.
5. Va disattesa siccome manifestamente infondata la violazione dell’art. 597 comma 3 cod. proc. pen.
Con l’atto dì appello il Procuratore generale ha impugnato il capo della sentenza di assoluzione, perché il fatto non sussiste, deducendo l’erronea applicazione della legge penale e argomentando, in fatto, la riconducibilità dei fatti alla fattispecie normativa di favoreggiamento della prostituzione.
Con l’impugnazione ha delimitato il perimetro del devoluto alla cognizione del giudice dell’impugnazione, perimetro che, a sua volta, circoscrive l’ambito di cognizione del giudice che rimane, all’interno di tale perimetro, libero di argomentare la fondatezza dell’impugnazione su diverse basi giuridiche rispetto a quelle che sono prospettate nell’atto di impugnazione ed anche sulla scorta di elementi di fatto della vicenda processuale non rilevati nell’impugnazione.
6. Quanto al merito dell’affermazione della responsabilità, la corte territoriale è pervenuta alla condanna dell’imputato per il reato di favoreggiamento con motivazione congrua e corretta sul piano del diritto.
L’attività posta in essere dall’imputato, per come accertato dai giudici del merito e non sindacabile in questa sede in presenza di congrua motivazione (cfr. par.1.1.), si era concretizzata nel compimento di “quell’attività ulteriore” che aggiungendosi alla mera inserzione pubblicitaria integra il reato contestato.
Osserva il Collegio che, muovendo dalla circostanza che il legislatore non ha considerato vietata l’attività, se liberamente svolta, dì prostituzione, la giurisprudenza di legittimità ha, nel tempo, delineato alcuni punti fermi in base ai quali è possibile individuare e circoscrivere le condotte penalmente sanzionate dall’art. 3 della legge n. 75 del 1958.
Con specifico riguardo ai servizi pubblicitari messi a disposizione delle persone che si prostituiscono, la Corte di legittimità ha individuato due profili interpretativi che possono dirsi costanti.
In primo luogo, superando un risalente orientamento di legittimità espresso con la sentenza n. 15275 del 2007, secondo cui commette il reato di lenocinio il direttore di un giornale il quale consapevolmente consente la pubblicazione sul proprio giornale di inserzioni relative ad un’attività prostitutiva, perché in tale modo compie un’attività d’intermediazione tra cliente e prostituta e, quindi, in definitiva favorisce la prostituzione, ha affermato che la pubblicazione di inserzioni pubblicitarie sui siti web, al pari di quella sui tradizionali organi d’informazione a mezzo stampa, deve essere considerata “come un normale servizio in favore della persona” (Sez. 3, n. 26343 del 18/3/2009). Tale giudizio è stato, poi, confermato dalla successiva sentenza n. 4443 del 12/1/2012, nella cui motivazione si precisa che il reato risulta, invece, integrato allorché alla mera pubblicazione degli annunci e del materiale messo a disposizione dalla persona interessata “si aggiunga una cooperazione tra soggetto e prostituta, concreta e dettagliata, al fine di allestire la pubblicità della donna…” (Sez. 3, n. 4443 del 12/01/2012, M., Rv. 251971).
La Corte ha posto l’attenzione sulla circostanza che rendere più allettante l’offerta e facilitare l’approccio con un numero maggiore di clienti, costituisse
condotta di intermediazione penalmente rilevante.
Spostando il piano interpretativo sull’ambito dei c.d. “servizi aggiuntivi e personalizzati”, che indicano la linea di discrimine tra il lecito e l’illecito, laddove la prestazione di servizi “ordinari” non costituisce reato, la Corte di cassazione, affermata l’irrilevanza penale della mera pubblicazione degli annunci, che costituisce un normale servizio svolto a favore della persona della prostituta, ha escluso anche la rilevanza quali servizi aggiuntivi quali l’avere riportato ritocchi con strumenti informatici alle fotografie pubblicate sul sito, posto che tale condotta resta limitata alla prestazione di servizi ordinari senza trasmodare in un supporto aggiuntivo e personalizzato a favore delle destinatarie (Sez. 3, n. 20384 del 29/01/2013, P.M. in proc. Bolzanello, Rv. 255426; Sez. 3, n. 48981 del 21/10/2014, P.G. in proc. Piantoni, Rv. 261209).
Ponendo l’accento sulla rilevanza agli aspetti collaborativi della condotta dell’agente per favorire il contatto tra cliente e prostituta, esulanti dal mero servizio alla prostituta, la giurisprudenza ha delineato i c.d. servizi ulteriori: l’essersi interessato alle foto delle donne da pubblicare, l’aver contattato il fotografo per fare delle nuove foto, il far sottoporre le donne a servizi fotografici erotici (Sez. 3, n. 26343, 25/06/2009), condotte con cui l’agente pone in essere una collaborazione organizzativa, al fine di realizzare il contatto prostituta-cliente. In tempi più recenti si è ritenuto integrante il servizio aggiuntivo l’avere rielaborato i testi degli annunci, curato l’allestimento della pubblicità e provveduto alla scelta delle immagini (Sez. 3, n. 45524 del 15/03/2018, Rv. 273955 – 01, secondo cui in tema di prostituzione, integra il delitto di favoreggiamento di cui all’art. 3, comma primo, n. 5, della legge n. 75 del 1958, la condotta di chi non si limita a pubblicare su un sito web inserzioni pubblicitarie di donne che si offrono per incontri sessuali, ma compie ulteriori attività finalizzate a rendere più allettante l’offerta e a facilitare l’approccio con un numero maggiore di clienti).
Ciò che rileva, ai fini della sussistenza del reato, è l’aver posto in essere un’attività che esula alla mera inserzione pubblicitaria, che costituisce un servizio alla prostituta, ponendo in essere ulteriori fatti qualificati dalla specifica direzione agevolatrice dell’attività prostitutiva.
Tale opzione interpretativa risulta conforme ai princìpi enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 6 marzo 2019, che nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Bari, ha ritenuto che non sia in contrasto con la Costituzione la scelta di politica criminale operata con la legge Merlin, quella cioè di configurare la prostituzione come un’attività in sé lecita, ma al tempo stesso di punire tutte le condotte di terzi che la agevolino o la sfruttino, ritenendo così che il reato di favoreggiamento della prostituzione non contrasti con il principio di determinatezza e tassatività della fattispecie penale.
In tale contesto, è proprio attraverso l’individuazione, ad opera della giurisprudenza di legittimità, dei c.d. servizi aggiuntivi che si caratterizzano per la direzione agevolatrice dell’attività che si viene a rispettare il principio di determinatezza della fattispecie e di legalità nel caso concreto.
Ciò che rileva, in altri termini, è l’aver posto in essere un’attività collaborativa attraverso cui si rende più agevole e più allettante l’offerta e a facilitare l’approccio con un numero maggiore di clienti e dunque condotte dirette a favorire l’attività di prostituzione e non la prostituta.
7. Ciò premesso, la sentenza impugnata, in continuità con quella di primo grado, ha specificatamente enucleato i c.d. “servizi aggiuntivi” posti in essere dall’imputato che non si era limitata ad una mera pubblicizzazione delle inserzioni pubblicitarie delle prostitute, ma aveva posto in essere un’attività finalizzate ad agevolarne la prostituzione, al fine di rendere più allettante l’offerta e di facilitare l’approccio con un maggior numero di clienti quale, nella fattispecie esaminata, nella scelta delle fotografie da inserire ovvero da preferire (cfr. pag. 3), oltre all’avere effettuato le foto (cfr. pag. 3).
Si tratta di una motivazione congrua e non qui sindacabile e corretta sul piano del diritto.
8. Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.Così deciso il 25 gennaio 2024.
Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2024.
