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Cassazione civile sez. II, 14/03/2023, n.7385

Massima

Legittima la delibera dell’assemblea condominiale che vieta o limita il parcheggio nel cortile comune

Supporto alla lettura

1. La natura giuridica del Condominio.
Quella della natura giuridica del condominio è una questione che ha fatto sorgere numerosi contrasti in dottrina e in giurisprudenza. La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sostenendo che il condominio non può considerarsi un soggetto giuridico distinto dai singoli condomini che lo compongono. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti.
In questo contesto dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie alle volte in contraddittorio tra loro. S’è detto che il condominio è:
a) un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica e autonomia patrimoniale distinta da quella dei suoi partecipanti (Cass n. 7891/2000);
b) un centro d’imputazione d’interessi distinto dai singoli partecipanti (Cass. 19 marzo 2009, n. 6665);
c) una organizzazione pluralistica (Cass. SS.UU. n. 9148/08).
La legge di riforma n. 220/2012 non ha preso posizione sul problema ma, come evidenziato dalle Sezioni unite della Suprema corte nella sentenza n. 19663/2014, ha introdotto una serie di disposizioni che sembrerebbero confermare la tendenza alla progressiva configurabilità “di una sia pur attenuata personalità giuridica”. In merito si rimanda all’ammissione della pignorabilità da parte dei fornitori del conto corrente condominiale, nonostante il nuovo disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. sulla responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni comuni. Ma con la sentenza n. 10934/2019, le medesime Sezioni unite hanno escluso che il condominio possa configurarsi come un autonomo soggetto di diritto.
2. Condominio consumatore
È utile ricordare che ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo (d.lgs n. 206/2005), consumatore o utente è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 lett. a) Codice del consumo), mentre il professionista è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3 lett. c) Codice del consumo).
L’orientamento che si è finora delineato, sia di merito che di legittimità, ha valorizzato in via pressoché esclusiva l’assunto secondo il quale, essendo il condominio ente di gestione privo di personalità giuridica, «l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (Cassazione, sentenze 10679/2015 e 452/2005). Di recente il tribunale di Milano, con ordinanza sospensiva del giudizio, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell’ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione …” (Trib. Milano, ord. 1 aprile 2019).
La corte di Giustizia si è pronunciata affermato che il Condominio è consumatore “L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte giustizia UE , 02 aprile 2020, n.329, sez. I).

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

Con citazione del 6/12/2013, B., proprietaria di un’unità immobiliare nel Condominio (Omissis), conveniva il Condominio e l’amministratore, D.N.M. dinanzi al Tribunale di Padova, per impugnare le delibere condominiali del 12/03/2013, che ordinava un divieto di parcheggio nel cortile, e del 26/09/2013, che applicava sanzioni nei confronti dell’attrice per la violazione del divieto. Inoltre, l’attrice domandava la condanna in solido del Condominio e dell’amministratore al risarcimento dei danni cagionati dalle due delibere, nonché la revoca dell’amministratore per irregolarità nello svolgimento dell’incarico. Il Condominio domandava ingiunzione ex art. 186-ter c.p.c. per il pagamento di spese condominiali. Con pronuncia conforme in primo e in secondo grado, veniva accolta l’istanza di ingiunzione e dichiarata inammissibile la domanda di revoca dell’amministratore, mentre le altre domande attoree venivano rigettate.

Ricorre in cassazione l’attrice con cinque motivi, illustrati da memoria. Resistono i convenuti con distinti controricorsi, rispettivamente illustrati da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. – Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, si deduce violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1 disp. att. c.p.c. e Cost., 111, per avere la Corte d’appello di Venezia stilato la sentenza a mano in calligrafia di difficile lettura e per buona parte incomprensibile, con conseguente incertezza su tutti i capi.

Il primo motivo è infondato. Non esiste (né sarebbe configurabile ex art. 156, comma 2 c.p.c.) alcuna comminatoria di nullità della sentenza per essere essa stata scritta a mano, purché il testo sia comprensibile; quindi, idoneo a raggiungere il suo scopo, come si può desumere dalla formulazione dei successivi motivi di ricorso (cfr. Cass. 6307-2020, 5869/2018).

In conclusione, il primo motivo è rigettato.

  1. – Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, n. 3, 4 e 5 c.p.c., si deduce: (a) violazione degli artt. 1117,1120, comma 4, 1138, comma 4 c.c.; (b) falsa applicazione degli artt. 1137, comma 2, 1102 c.c.; (c) violazione dell’art. 1105, comma 3 c.c., dell’art. 115c.p.c. e dell’art. 66, n. 3 disp. att. c.c., per avere la Corte d’appello, anche in conseguenza di un’erronea inversione dell’onere della prova, omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio.

Il secondo motivo è articolato in profili di censura promiscui. Ciò non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità, poiché la formulazione permette in concreto di cogliere le doglianze (cfr. Cass. SU 9100-2015).

Peraltro, il secondo motivo non è fondato. Nel complesso dei suoi profili, esso ruota intorno ad un nucleo centrale: la decisione dell’assemblea condominiale di vietare il parcheggio nel cortile sarebbe immotivata e violerebbe il diritto della ricorrente di godimento della cosa comune.

L’assunto contrasta con il principio di diritto desumibile dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale le determinazioni dell’assemblea condominiale relative alla limitazione paritaria dell’uso del cortile come parcheggio, come quelle che viceversa assegnano posti auto ai singoli condomini, non alterano la destinazione della cosa comune, ma si limitano a renderne più ordinato e razionale l’uso paritario secondo le rispettive circostanze, cosicché tali delibere non richiedono maggioranze qualificate (cfr. Cass. 6573/2015, 9877/2012).

Nel caso di specie, il divieto di parcheggio era diretto a garantire che tutti i condomini potessero usare il cortile, limitando la sosta a mezz’ora per carico e scarico, evitando così che il parcheggio permanente di un condomino impedisse o limitasse l’uso da parte degli altri, in considerazione delle limitate dimensioni del cortile.

Inoltre, l’articolazione delle varie censure rende evidente l’inammissibile tentativo della parte ricorrente di sovrapporre il proprio apprezzamento della situazione di fatto rilevante a quello del giudice di merito, che non esibisce profili di censura in sede di giudizio di legittimità.

In conclusione, il secondo motivo è rigettato.

  1. – Col terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, n. 3, 4 e 5, si deduce la nullità della sentenza o del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 1123,1130,1135 c.c., 63 disp. att. c.c., 633, 642 e 115 c.p.c. per avere la Corte d’appello confermato l’ingiunzione di pagamento delle spese condominiali in mancanza della notifica dell’avviso di convocazione dell’assemblea e del verbale della medesima, sicché il credito sarebbe privo dei requisiti di liquidità, certezza ed esigibilità.

Il terzo motivo non è fondato.

Se vi è un piano di ripartizione delle spese approvato dall’assemblea ed è accertata la morosità di un condomino nel pagamento, il credito ha i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità. Inoltre, l’omessa convocazione di un condomino in assemblea, così come il difetto di comunicazione delle decisioni adottate, sono motivi di annullamento delle relative delibere, da far valere con l’impugnazione nel termine di 30 giorni ex art. 1137 c.c. Ne consegue che, decorso tale termine, i vizi non possono essere eccepiti successivamente per opporsi all’ingiunzione richiesta dall’amministratore.

In conclusione, il terzo motivo è rigettato.

  1. – Col quarto motivo, si deduce la nullità del procedimento e della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1105, ult. co. c.c., 50 bis ult. co. c.p.c., nonché degli artt. 737 e 50 c.p.c., per non avere la Corte d’appello disposto la traslazione del giudizio in relazione alla domanda di revoca dell’amministratore, presentata dalla medesima ricorrente in sede contenziosa.

Il motivo è infondato.

La revoca dell’amministratore è un provvedimento da adottare in sede di giurisdizione non contenziosa, poiché è diretto a gestire interessi (del condominio), non a risolvere controversie su diritti soggettivi (o status). Pertanto, la correlativa istanza, se proposta in sede contenziosa, è inammissibile, senza possibilità di traslare il giudizio in sede non contenziosa, che dovrà essere adita ex novo in modo autonomo. Corretta è pertanto la decisione impugnata.

In conclusione, il quarto motivo è rigettato.

  1. – Col quinto motivo, si contesta genericamente la condanna alle spese ex art. 91 c.p.c..

Del quinto motivo è da dichiarare l’inammissibilità per difetto di specificità ex art. 366, n. 4 c.p.c..

  1. – L’inammissibilità o infondatezza di ogni motivo su cui il ricorso si fonda determina l’infondatezza di quest’ultimo nel suo complesso.

Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Inoltre, ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla l. 228/12, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore somma pari al contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida – in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti – in 3.000 Euro, oltre a 200,00 Euro per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore somma pari a quella dovuta per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2022.

Allegati

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