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Corte d’appello di L’Aquila, 17/07/2024, n. 985

Massima

Gli insegnanti rispondono dei danni cagionati dall’atto illecito dei loro allievi nel tempo in cui sono sottoposti alla loro vigilanza, se non provano ex art. 2048 c.c. di non aver potuto impedire il fatto, dimostrando di avere esercitato la vigilanza sugli alunni nella misura dovuta e che nonostante l’adempimento di tale dovere il fatto dannoso per la sua repentinità e imprevedibilità abbia impedito loro un tempestivo efficace intervento

Supporto alla lettura

Responsabilità insegnante

In ordine alla responsabilità dell’istituto scolastico, l’accoglimento della domanda di iscrizione e la conseguente ammissione dell’allievo determina l’instaurazione di un vincolo negoziale con l’assunzione da parte della struttura di una serie di obbligazioni tra cui vanno incluse quella di vigilare sulla sicurezza dell’allievo. Si tratta di responsabilità di natura contrattuale. Diversamente nel rapporto tra insegnante e alunno incombe la disposizione di cui all’art. 2048 c.c. Secondo il ragionamento seguito dalla Suprema Corte,  l’art. 2048 c.c. introdurrebbe una regola di “propagazione della responsabilità “: sulla base della presunzione di culpa in vigilando che vede i precettori  chiamati a rispondere del fatto (illecito) degli allievi. La responsabilità per fatto altrui presuppone dunque, la causazione di un danno a terzi  secondo lo schema aquiliano. Tale schema non si realizza nelle ipotesi di danno autoinferto dall’alunno a sé stesso. In tali ipotesi opera la regola del contatto sociale con conseguente attrazione della responsabilità nell’area contrattuale.

Ambito oggettivo di applicazione

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione regolarmente notificato (omissis), e (omissis), in proprio e quali genitori esercenti la responsabilità genitoriale sulla propria figlia (omissis) (minorenne all’epoca dell’iscrizione della causa a ruolo), convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pescara, l’(omissis), al fine di sentirlo condannare, ai sensi degli artt. 1218 e 2048 c.c., al risarcimento dei danni patrimoniali e non da essi subiti in conseguenza degli atti di bullismo perpetrati – nel corso degli anni scolastici 2013/2014 e 2014/2015 – a danno della minore da parte di un compagno di classe, (omissis), durante l’orario scolastico.

1.1 A sostegno delle domande deducevano che nel corso dell’a.s. 2014/2015 (allorché i citati minori frequentavano la terza media) il (omissis) aveva ripetutamente percosso e deriso la minore all’interno della classe, appellandola, anche dinanzi ai loro compagni, con termini dispregiativi volgari a sfondo sessuale ed offensivi e, entrato in possesso di alcune fotografie della ragazza che la ritraevano in atteggiamenti intimi (fornitegli da colui che allora era il fidanzato della), aveva poi costretto quest’ultima a recarsi nel bagno dei ragazzi, durante le ore di lezione, per consumare rapporti orali. Aggiungevano che detti episodi continuavano a ripetersi nel corso dei mesi e, al comportamento vessatorio del ragazzo, si accompagnavano anche le prese in giro dei compagni fino a quando, nei primi mesi del 2015, la (omissis) decideva di recarsi, accompagnata da altra studentessa ((omissis) dal Preside, il quale, reso edotto della vicenda, convocava separatamente i genitori della (omissis) e il (omissis). A seguito di tale incontro l’Istituto adottava nei confronti del ragazzo il provvedimento di sospensione dalle lezioni per la durata di una settimana ma, ritenendo detta misura non adeguata, la (omissis) decideva di trasferirsi in un’altra scuola, perdendo l’anno scolastico. A seguito dei citati episodi di bullismo la ragazza cominciava ad accusare disturbi che, oltre a comportare la perdita di 20 kg di peso, si accompagnavano a stati di ansia e frustrazione, fino a sfociare in patologia psico-fisica, diagnosticata in data 23.07.2015 dall’unità operativa di neuropsichiatria infantile di Pescara in “disturbo post traumatico da stress reattivo a situazioni di violenza subita e riferita. Si consigliano visite di controllo presso questa U.O.C. ed eventuale sostegno psicologico”, mentre la psicologa e psicoterapeuta dr.ssa (omissis), cui (omissis) si era rivolta, aveva riscontrato “un quadro di personalità fortemente compatibile con una situazione di abuso sessuale e psicologico”. Ritenendo sussistere la responsabilità dell’(omissis) per omessa vigilanza e omessa adozione delle dovute cautele, i coniugi (omissis) agivano dunque giudizialmente nei suoi confronti, al fine di ottenere la complessiva somma di € 52.989,00 (elevati ad € 72.946,00 con la personalizzazione massima), con il favore delle spese di lite.

1.2 Resisteva l’(omissis) che, eccepita la nullità della domanda per essere generica ed indeterminata nell’esposizione dei fatti e rilevata finanche la carenza di legittimazione dei genitori, declinava ogni addebito e contestava gli assunti attorei, assumendo di aver sempre vigilato affinché tutti gli studenti rispettassero le regole e tenessero un comportamento conforme al regolamento scolastico, insistendo infine per il rigetto della domanda.

1.3 Espletate le prove orali, il Tribunale di Pescara emetteva sentenza parziale n. 946/2021 con la quale:

– qualificava la domanda attorea come domanda contrattuale di responsabilità ai sensi dell’art. 1218 c.c., specificando, anche sulla scorta di giurisprudenza di legittimità, i relativi oneri probatori incombenti sulle diverse parti in causa;

– rigettava l’eccezione di genericità della domanda formulata dall’(omissis), atteso che quest’ultimo era stato in grado di apprestare adeguatamente la propria difesa;

– distingueva, in merito alla sussistenza dei fatti, gli episodi di bullismo attuati mediante comportamenti verbali, dalla più grave condotta estorsiva, finalizzata all’ottenimento di prestazioni di natura sessuale; quanto al primo profilo, valorizzando le testimonianze rese da (omissis) e (omissis) (all’epoca dei fatti compagni di classe), riteneva provato che era stata oggetto, pressoché quotidianamente e ripetutamente, di offese da parte di (omissis) davanti a tutta la classe e, sebbene dal registro scolastico dell’a.s. 2014/2015 risultassero note e richiami disciplinari a carico del ragazzo, nessuna di dette contestazioni riguardava la condotta offensiva e denigratoria da egli assunta nei confronti della (omissis), ma unicamente il disturbo delle lezioni e l’aggressione ad un compagno; riteneva altresì accertato, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal coordinatore didattico, prof. (omissis), che solo a seguito della denuncia da parte della (omissis) la scuola, pur non ritenendo provati i riferiti rapporti sessuali, aveva adottato il provvedimento di sospensione dell’alunno, ritenendo credibile il racconto della minore quanto a minacce, offese e derisioni avvenute in classe, davanti alla presenza del docente; asseriva, quindi, che l’(omissis) non aveva posto in essere tutte le cautele atte a tutelare l’incolumità di (omissis) che, se adottate, avrebbero adeguatamente arginato la condotta del (omissis), né aveva dimostrato di essersi attivata al fine di impedire il protrarsi dei comportamenti vessatori perpetrati ai danni della minore dinanzi a tutta la classe, ravvisandone così la responsabilità;

– riteneva, poi, non provato che simili condotte si fossero verificate anche in anni scolastici antecedenti al 2014/2015;

– riteneva invece non provata l’estorsione finalizzata al compimento di atti sessuali, significando a tal riguardo che il fatto era stato segnalato dalla (omissis) per la prima volta solo nel febbraio 2015, che a seguito di tale denuncia l’Istituto aveva adottato provvedimenti immediati ed evidenziando, sulla scorta delle testimonianze rese dai professori (omissis), (omissis) e (omissis), che gli alunni potevano recarsi in bagno solo uno alla volta, che i bagni dei ragazzi sono collocati di fronte alla sala professori e che il corridoio di accesso ai bagni era visibile dalla classe, giungendo dunque a sostenere che la scuola aveva adottato tutte le precauzioni idonee a regolamentare l’accesso ai bagni e ad evitarne l’uso promiscuo, per cui alcuna responsabilità poteva essere riconosciuta in capo alla scuola;

– rimetteva infine la causa in istruttoria al fine di espletare la CTU medico-legale finalizzata a valutare e quantificare il danno biologico riportato da (omissis), formulando alle parti proposta transattiva ex art. 185 c.p.c.

1.4 Dopo che l'(omissis) dichiarava di non aderire alla proposta conciliativa formulata dal magistrato, formulando espressa riserva di appello avverso la sentenza non definitiva, veniva espletata la CTU medico-legale – officiata dall’esperta in psicologia giuridica dr.ssa (omissis) con l’ausilio del medico-legale dr. (omissis) e del dr. (omissis) per la parte psico-diagnostica – e, all’esito, la causa veniva definitivamente decisa con sentenza n. 1442/2022 con la quale il Tribunale:

– valorizzando diffusamente gli accertamenti compiuti dai periti (che avevano escluso alcuna simulazione) e valutate le risposte da questi fornite ai chiarimenti richiesti dai consulenti di parte, riteneva provata la sussistenza di un danno biologico, che aveva interessato la sfera psichica di (omissis);

– evidenziava quindi che quest’ultima era affetta da un disturbo di personalità evitante (caratterizzato da “un pattern pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo”), concretizzatosi a seguito di un disturbo post traumatico da stress temporaneo accaduto in età pre-adolescenziale, e che detta patologia psichica era compatibile, anche in base a criteri cronologici, qualitativi, quantitativi e di idoneità lesiva, con i ripetuti e intensi episodi di bullismo subiti;

– puntualizzava che il danno biologico permanente, rapportato ad una forma lieve del citato disturbo, era pari al 13%, mentre quello temporaneo era quantificabile in 90 giorni di ITP al 50%;

– rilevato che con la sentenza non definitiva l’Istituto era stato giudicato responsabile solo in relazione agli atti di bullismo, riteneva equo attribuire alla convenuta il danno nella misura del 75%;

– applicando le Tabelle di Milano 2021, quantificava il danno temporaneo in € 4.050,00, calcolati al netto della responsabilità attribuita all’Istituto, applicando il valore monetario di € 120,00 pro die e il danno non patrimoniale permanente in complessivi € 51.959,60 (comprensivi di danno biologico, danno morale per l’evidente sofferenza e vergogna provate, e di personalizzazione del 20% per aver terminato, con esito negativo, l’anno scolastico in altro istituto), liquidandolo, in ragione della percentuale di responsabilità attribuita alla scuola, in € 38.969,70;

– ritenendo che gli eventi lesivi subiti dalla minore avevano inciso negativamente sull’intero nucleo familiare, riconosceva ai genitori (omissis) e (omissis) a titolo di danno morale subito iure proprio la somma equitativamente determinata nella misura del 30% del danno biologico riconosciuto a e pari, al netto della responsabilità riconosciuta all’(omissis), in € 7.500,00 ciascuno;

– riconosceva il danno da ritardo, ponendo infine le spese di lite e di CTU a carico dell’Istituto scolastico.

2. Avverso le predette decisioni ha proposto appello l’(omissis), chiedendo accogliersi le conclusioni innanzi trascritte e lamentando, con un unico, ampio, motivo di gravame (“Violazione o falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c.; violazione o falsa applicazione degli artt. 2048 e 1218 c.c.; omessa o erronea valutazione dei fatti e delle prove; violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; violazione o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c.”) plurimi profili di erroneità dei provvedimenti impugnati.

Di seguito, si riassumono le doglianze poste a fondamento dell’appello.

2.1 In relazione alla sentenza non definitiva con la quale è stata accertata la responsabilità dell’odierno appellante, quest’ultimo – dopo aver richiamato i criteri sottesi alla responsabilità di cui all’art. 2048 c.c. ai quali si sarebbe attenuto il Tribunale e precisato che il dovere di vigilanza degli insegnanti, secondo giurisprudenza in materia, è inversamente proporzionale al grado di maturità degli alunni – insiste preliminarmente nel sostenere che l’eccezione di genericità della domanda andava ritenuta fondata, in quanto le accuse relative agli atti di bullismo (indicati come “offese verbali“ e “epiteti canzonatori”) non sono state coltivate nel corso del giudizio dagli attori, limitatisi a riferire che detti atti avvenivano quotidianamente, con ciò impedendo, di fatto, all’Istituto di addurre come testimoni i docenti durante le cui lezioni si sarebbero verificate violenze e atti di bullismo; le azioni lesive lamentate dalla, inoltre, sarebbero risultate prive di idoneo riscontro probatorio, poiché basate unicamente sulle testimonianze “vaghe, inattendibili e probabilmente compiacenti” dei due ex compagni di classe, dovendosi piuttosto ritenere un “racconto basato su un’amplificazione, strumentale e smodata, di condotte scorrette di alcuni compagni”, in considerazione del fatto che la allora minore avrebbe atteso 4 mesi per riferire il tutto agli insegnanti, che la famiglia non si sarebbe avveduta del disagio della ragazza, e che quest’ultima avrebbe deciso all’improvviso di cambiare scuola, senza fornire alcuna motivazione. Il Tribunale, inoltre, non avrebbe compiuto una obiettiva ricostruzione dei fatti, ritenendo provati gli atti di bullismo sulla scorta delle sole testimonianze rese dai testi (omissis) e (omissis) ma ignorando quanto riferito dai testi di parte convenuta ((omissis), (omissis) e (omissis) i quali, oltre a riferire che il trasferimento di (omissis) non fu accompagnato da alcuna motivazione, avevano dichiarato di non aver mai assistito a contrasti tra la (omissis) e il (omissis) e di aver richiamato quest’ultimo semplicemente perché arrecava disturbo alla classe. Puntualizza ancora l’appellante che, quand’anche gli episodi di bullismo dovessero ritenersi realmente avvenuti, alcuna responsabilità poteva essere riconosciuta in capo all’(omissis), in considerazione del fatto che lo stesso aveva predisposto opportune cautele nell’organizzazione e gestione anche logistica della struttura (posizione dei bagni e permesso di uscire uno alla volta dalla classe), onde evitare la verificazione di eventi lesivi; che aveva adottato un apparato di regole – compendiate nel Regolamento d’Istituto, nel Codice disciplinare che tipizza le sanzioni per ciascuna violazione e nel Patto di corresponsabilità educativa rivolto alle famiglie – finalizzate a garantire vigilanza, sicurezza e correttezza comportamentale, atta a prevenire, fra l’altro, fenomeni di bullismo; che aveva fatto osservare quel Regolamento, irrogando sanzioni laddove necessario; che aveva preso in carico con la massima serietà il caso della (omissis), non appena quest’ultima aveva provveduto a riferire i fatti, coinvolgendo studenti, famiglie e la dirigenza d’Istituto, adottando l’unica misura idonea alla situazione venutasi a creare e agli addebiti rivolti al (omissis). Avendo avuto l’(omissis) una condotta diligente ed idonea ad evitare la verificazione del fatto, tale da costituire la prova liberatoria richiesta dall’art. 2048 c.c., alcuna responsabilità poteva essergli addebitata.

Quanto invece alla sentenza definitiva, l’appellante muove in primo luogo delle critiche alla CTU, sostenendo che la stessa non abbia tenuto conto della effettiva storia clinica della (omissis), la quale, dopo la diagnosi di un “disturbo post-traumatico da stress reattivo a situazioni di riferita violenza” da parte della (omissis), aveva intrapreso, anche su consiglio della dr.ssa (omissis) (che aveva tracciato il quadro di una personalità fortemente compatibile con quella di chi ha subito un abuso sessuale o psicologico), un percorso di psicoterapia che aveva dato i risultati sperati, come confermava la stessa psicoterapeuta nella propria relazione di follow up del 25.10.2016, ove si dava atto del fatto che (omissis) aveva superato il senso di paura nei confronti del (omissis) e quello di vergogna. A giudizio dell’appellante, dunque, la (omissis) aveva risolto definitivamente i suoi problemi già nell’ottobre 2016 ma, ciononostante, si sarebbe rivolta nel 2017 ad uno specialista in reumatologia per un nuovo consulto psichiatrico (che confermava il successo delle terapie effettuate, pur confermando la permanenza di postumi del disturbo post-traumatico da stress nella misura del 14%), fino a riferire in sede di CTU circostanze né congrue e né coerenti con le problematiche pregresse ed assumendo un “atteggiamento insincero e malizioso”. Aggiunge l’Istituto che il CTU avrebbe commesso un ulteriore errore, preferendo i risultati dei test della personalità (superflui rispetto ad un quadro clinico lineare come quello della (omissis) e dai quali era emerso il disturbo della personalità evitante) rispetto alle evidenze cliniche, che di contro mostravano una donna serena e resiliente e senza alcuna delle caratteristiche tipiche della personalità evitante, ed avrebbe altresì errato nell’escludere una genesi multifattoriale del disturbo riconosciuto, non tenendo in debito conto l’incidenza delle preesistenze, ovvero la difficile situazione familiare venutasi a creare nel lasso temporale intercorso tra la guarigione clinica avvenuta alla data del follow-up e la CTU espletata, allorché i genitori divorziavano e i figli interrompevano i loro rapporti con il padre, divenuto irreperibile. Sotto altro profilo, l’appellante contesta la quantificazione del danno operata dal primo giudice, ritenendo che il 75% di colpa riconosciuto in capo all’istituto scolastico in virtù di quanto accertato in punto an debeatur sarebbe eccessivo, sia perché tra i plurimi eventi lamentati dagli attori (bullismo verbale, violenza sessuale, percosse, lesioni ed atti persecutori di vario genere) solo il primo era stato ritenuto provato, sia perché le reiterate molestie verbali (o “sfottò giovanili”) non possono essere ritenuti tali da generare una sofferenza ed un danno allo psiche maggiori di una violenza sessuale, rimasta del tutto sfornita di prova. L’appellante contesta infine le singole voci di danno liquidate, dolendosi in particolare della personalizzazione – poiché legata al trasferimento, a suo dire ingiustificato, presso altra scuola e alla successiva bocciatura, mai provata e comunque da ritenersi dovuta allo scarso rendimento scolastico – e del danno morale riconosciuto iure proprio ai genitori di (omissis), liquidato senza compiere i dovuti accertamenti sul rapporto genitoriale e sulle relative dinamiche, senza tenere in debito conto che il padre della ragazza si era allontanato da casa tanto da rendersi irreperibile e che l’invalidità riportata dalla minore non era di entità tale da permettere di individuare anche vittime secondarie.

Da ultimo, l’appellante chiede la rideterminazione delle spese di lite, anche in considerazione del fatto che la proposta conciliativa del magistrato era stata motivatamente rifiutata.

3. Si sono costituiti, mediante deposito di comparsa di costituzione e risposta, (omissis), (omissis) e (omissis), insistendo per il rigetto dell’appello e per la conferma della sentenza impugnata.

4. Il procedimento è stato rimesso in decisione all’udienza del 28.02.2024, sostituita ex art. 127-ter c.p.c. dal deposito di note di trattazione scritta, con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. (sessanta giorni più venti).

5. Ritiene la Corte che l’appello sia infondato e debba essere respinto per le ragioni che seguono.

5.1 Prima di entrare nel merito della vicenda, appare opportuno puntualizzare che la disciplina applicabile nel caso di specie è quella contenuta nell’art. 2048 c.c., poiché secondo la stessa prospettazione del fatto contenuta nell’atto introduttivo non si versa in ipotesi di autolesione (nel quale caso la norma di riferimento va individuata nell’art. 1218 c.c. o nell’art. 2043 c.c. a seconda che ricorra a una responsabilità contrattuale o extracontrattuale del soggetto tenuto alla vigilanza; v. Cass. 3242/2012; peraltro, in concreto, come si dirà la ripartizione dell’onere della prova non muta). Tanto precisato, va inoltre chiarito che la configurabilità della responsabilità extracontrattuale degli insegnanti ex art. 2048 c.c. postula che l’allievo sottoposto al controllo e alla vigilanza dell’insegnante abbia posto in essere nei confronti di un altro alunno o di terzi un fatto illecito del quale l’istituto scolastico risponde salvo prova liberatoria. Detto in altri termini, gli insegnanti rispondono dei danni cagionati dall’atto illecito dei loro allievi nel tempo in cui sono sottoposti alla loro vigilanza, se non provano ex art. 2048 c.c. di non aver potuto impedire il fatto, dimostrando di avere esercitato la vigilanza sugli alunni nella misura dovuta e che nonostante l’adempimento di tale dovere il fatto dannoso per la sua repentinità e imprevedibilità abbia impedito loro un tempestivo efficace intervento. Anche di recente la Suprema Corte ha rimarcato il principio secondo il quale “incombe sull’amministrazione scolastica il dovere di rispondere del fatto illecito commesso dagli allievi minori sottoposti alla sua vigilanza. La scuola, peraltro, ai sensi del comma 3 dell’art. 2048 del c.c., si può liberare di tale responsabilità soltanto fornendo la prova di non aver potuto impedire il fatto, con la conseguenza che, sulla stessa, grava, quindi, una responsabilità aggravata” (da ultimo Cass. n. 8811/2020), chiarendo ulteriormente che, ai fini della prova liberatoria, “è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale” (Cass. n. 23202/2015).

In ogni caso, sia che si invochi la presunzione di responsabilità posta dall’art. 2048 c.c., sia che si configuri una responsabilità di tipo contrattuale (come ritenuto dal primo giudice), il riparto dell’onere probatorio non cambia, poiché in entrambi i casi è necessario: a) che l’attore-danneggiato dimostri che il fatto si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto (e, in caso di danni etero-cagionati, che il danno lamentato sia conseguenza del fatto illecito di un altro allievo); b) che la scuola dimostri di aver adempiuto all’obbligo di controllo e di vigilanza e di aver predisposto tutte le misure per evitare il verificarsi dell’evento e che dunque il danno sia stato determinato da causa ad essa non imputabile (cfr., tra le altre, Cass. 3081/2015 e Cass. 8067/2007).

5.2 Sempre in via preliminare, va evidenziato che, in difetto di appello incidentale da parte degli odierni appellati circa la ritenuta mancanza di prova in merito alla riferita estorsione di atti di natura sessuale, in questa sede la disamina del merito verte unicamente sugli atti di bullismo perpetrati dal (omissis) nei confronti della (omissis), rispetto ai quali deve essere nuovamente ribadita l’infondatezza dell’eccezione di genericità, riproposta anche in grado di appello dall’(omissis) scolastico, atteso che è la scuola stessa ad indicare, a pag. 9 del proprio atto di gravame, che “l’arco temporale oggetto di interesse […] è quello che va da fine settembre 2014 a marzo 2015”.

5.3 Posto quanto sopra, va quindi chiarito che non possono condividersi le doglianze relative all’accertamento dei fatti e della responsabilità operato dal Tribunale, che resiste alle odierne censure mosse dall’appellante, basate sul presupposto – pressoché aprioristico ed apodittico – di una maggiore credibilità delle dichiarazioni rese a suo favore dai propri testimoni, rispetto a quelle rese dai testimoni di parte attrice, ritenute di contro “inattendibili”, “probabilmente compiacenti” ed ardite, ma non adeguatamente contestate e, soprattutto, completamente trascurate nel loro lapalissiano contenuto.

Difatti, come già riportato nella sentenza parziale impugnata, (omissis) ha dichiarato che “Nell’anno scolastico 2014/2015 frequentavo la classe terza media presso l’Istituto scolastico Nostra Signora a Pescara ed ero compagna di classe di (omissis). So, perché li ho sentiti personalmente e del resto avveniva davanti a tutta la classe, che il nostro compagno (omissis) apostrofava la (omissis) con epiteti. Le diceva che era una porca, una puttana, che faceva cose sporche con la madre, che era brutta e grassa, questo principalmente. Ciò avveniva praticamente ogni giorno. Ricordo che un giorno di febbraio 2015 vidi la mia compagna piangere nel corridoio e la professoressa di matematica mi autorizzò ad andare dal Preside per riferirgli la situazione creatasi con (omissis). Andammo dal Preside e lei gli raccontò gli atti di bullismo subiti dal (omissis). Non ricordo se la (omissis) riferì al Preside circa atti di abusi sessuali subìti da quest’ultimo, però a me in classe non me ne ha mai parlato. L’estate successiva (omissis) mi raccontò che era stata costretta dal ad avere un rapporto orale nel bagno della scuola. Il Preside disse di non preoccuparsi e che avrebbe preso provvedimenti anche perché si mostrò consapevole dei comportamenti di (omissis) con riferimenti agli episodi di bullismo. I professori stessi erano al corrente dei comportamenti di (omissis) io personalmente venni fatta oggetto di suoi comportamenti violenti in presenza del professore di italiano. I professori non hanno mai rimproverato il (omissis) per i suoi comportamenti, almeno davanti a noi”. (omissis), invece, ha riferito che “Ero compagno di classe di (omissis) nell’anno scolastico 2014/2015. Personalmente non ho assistito ad atti di violenza fisica posti in essere da (omissis) nei riguardi della mia compagna; ricordo che in classe diverse persone prendevano in giro (omissis), tra essi c’era anche (omissis). In particolare ricordo che la apostrofavano con la parola “sborretta””.

5.4 Dagli atti non emerge alcun elemento che faccia dubitare della credibilità dei citati testimoni e della genuinità delle loro dichiarazioni, che appaiono invero preferibili rispetto a quelle rese dai docenti della scuola, soprattutto in considerazione del fatto che provengono da compagni di scuola della (omissis) che, in quanto tali, trascorrevano insieme a quest’ultima l’intera giornata scolastica ed assistevano a tutto ciò che poteva accadere in classe, a differenza dei professori, la cui permanenza è solitamente circoscritta alle ore di lezione, sicché è facile presupporre che gli stessi avessero una visione parziale dei comportamenti tenuti da un determinato alunno e in generale dalla classe. Le stesse, inoltre, trovano considerevole conforto in quanto riportato nel Registro dei Verbali del Collegio dei Docenti (doc. 2 (omissis)), all’indomani della denuncia della minore, ove si legge “il giorno 27 del mese di febbraio (2015 n.d.r) si è riunito il collegio dei docenti. […] Dagli interventi dei docenti che relazionano sul comportamento dell’alunno, si evidenzia che l’alunno perpetra atti di bullismo che si sostanziano, talvolta, in vessazioni nei confronti dei più deboli”.

5.5 Quanto precede dimostra, da un lato, che durante l’orario scolastico (dunque, nel tempo in cui i minori erano sottoposti alla vigilanza da parte della scuola) la (omissis) era stata fatta bersaglio quotidiano (“praticamente ogni giorno”) e pubblico (“davanti a tutta la classe”) di offese umilianti, per lo più verbali, da parte di (omissis), offese che non meritano di essere ridimensionate a meri sfottò (soprattutto da parte di chi, per il ruolo istituzionale che riveste, ha il dovere di non sminuire, ma di prestare particolare attenzione a determinati atteggiamenti, prevenendoli ed ostracizzandoli, viepiù se coinvolgono minori in età adolescenziale e dunque più esposti a fragilità emotive) ma costituiscono, per la loro ripetitività ed intenzionalità, veri e propri atti di bullismo; dall’altro lato, vi è la prova che i professori (e dunque la scuola) erano perfettamente consapevoli del comportamento del (omissis) ma, ciononostante, non avevano reputato opportuno adottare alcuna preventiva ed incisiva misura disciplinare (al di là delle ripetute note, comminate per motivi differenti ma che comunque, evidentemente, non stavano sortendo alcun risultato) idonea ad evitare l’insorgenza di una situazione di pericolo o a salvaguardare l’incolumità di (omissis), decidendo di intervenire soltanto in seguito alla denuncia di quest’ultima, allorché la violenza verbale si era ormai inesorabilmente perpetrata e cristallizzata.

A tal riguardo, a nulla rileva l’aver adottato un rigido Regolamento scolastico, una accorta organizzazione logistica (peraltro totalmente ininfluente in questa sede, poiché inerente la prova dei lamentati abusi sessuali) o la sanzione inflitta a carico del (omissis) – soltanto dopo che la vittima, dopo mesi di vessazioni, nel febbraio 2015, trovava la forza di informare il Preside –, in quanto compito dell’Istituto era quello di tutelare la minore, adempiendo all’obbligo di controllo e vigilanza prima che si verificasse la situazione di pericolo, e non intervenendo in un momento successivo.

5.6 Mentre, dunque, gli attori-odierni appellati sono stati in grado di dimostrare che il fatto si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto con la scuola, quest’ultima non ha fornito la prova liberatoria, richiesta dall’art. 2048 c.c., che il danno è stato determinato da causa ad essa non imputabile, cui ne consegue la responsabilità dell’(omissis) per culpa in vigilando.

6. La sentenza impugnata merita conferma anche con riferimento all’entità e alla percentuale di responsabilità riconosciuta.

6.1 A tal riguardo, va evidenziato che tutte le critiche rivolte agli accertamenti peritali in appello ripropongono in buona sostanza le osservazioni della dr.ssa (omissis) consulente di parte dell’(omissis), e le argomentazioni poi trasfuse anche negli atti conclusivi di primo grado, a cui il CTU ha ampiamente e motivatamente risposto, destituendo di fondamento le contestazioni tecniche ed acclarando quanto segue:

«“Dai colloqui e dall’esame psicodiagnostico (che converge sull’ipotesi già sviluppata nel corso degli incontri peritali precedenti) è emerso che la perizianda abbia sviluppato un “Disturbo di Personalità Evitante” 301.82 (F60.6)”, pag.45 della bozza; “L’esame psicodiagnostico, costituito dal Test di Personalità MMPI-2 e dal Test proiettivo (omissis), nella sintesi rileva – in modo convergente con i colloqui effettuati….”, pag.45 della bozza; “L’esame psicodiagnostico conferma dell’esistenza di tale funzionamento di personalità, laddove, nella sintesi, l’Ausiliario dott. (omissis) scrive:….”. pag.63 della bozza) viene ribadito che l’esame psicodiagnostico effettuato e relazionato dall’Ausiliario nominato dott. (omissis) converga con le valutazioni cliniche» (pag. 70 CTU);

– «rispetto alla contestazione della CTP sul nesso di causalità rappresentato dagli episodi di bullismo nella formazione del Disturbo di personalità evitante […], pur – come sottolineato- considerando valida l’ipotesi di una genesi multifattoriale, dunque procedendo a un’attenta analisi, anche anamnestica, di eventuali aspetti che possono aver concorso alla costituzione del danno permanente, si rileva che il trauma subito, di elevata portata, anche per l’età della periziata al tempo, costituisca la causa scatenante ( rispettando anche i criteri riconosciuti dalla letteratura) e che le “preesistenze” – come detto- siano costituite da “influenze” nate nell’ambiente familiare, le quali hanno inciso “qualitativamente”» (pag. 71 CTU);

– «Le numerose ricerche scientifiche alla base della bibliografia, peraltro, costituiscono un riferimento innegabile nella dimostrazione delle correlazione tra il bullismo e il sostanziarsi di un Disturbo di personalità, in particolare Evitante. Dal punto di vista eziopatogenico i Disturbi di personalità sembrerebbero associati, come riferito nella bozza, a eventi potenzialmente traumatogeni subiti in età evolutiva. Il fattore genetico è stato studiato, ma pare spiegare solo in parte i Disturbi di personalità. Inoltre, preme evidenziare che “la forza” di una valutazione del danno, nel caso in oggetto, è costituita dall'(omissis), cioè dal collegare le teorie scientifiche alla storia evolutiva specifica di (omissis) e dal trovare estremamente calzanti le pertinenze valutate in termini di eziopatogenesi e di diagnosi di danno temporaneo e permanente» (pag. 72 CTU).

Per quanto sopra, attesa la piena condivisibilità degli accertamenti peritali, che si sono rivelati approfonditi e pienamente rispondenti ai criteri medico legali applicati, non vi è alcun motivo per discostarsi dalla quantificazione del danno operata dal CTU, sia in termini di danno biologici che in termini di invalidità temporanea.

6.2 Passando, invece, alla quantificazione del grado di colpa attribuita all’(omissis), il ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice è pienamente conforme agli esiti della fase istruttoria, atteso che: le denunciate violenze sessuali subite dalla (omissis) sono rimaste sfornite di prova; dette violenze avevano natura episodica, a differenza degli atti di bullismo, che si sono ripetuti pressoché quotidianamente, da settembre 2014 a febbraio 2015; la CTU, escludendo alcuna simulazione da parte della perizianda, ha acclarato la persistenza di una evidente patologia psichica, ricollegabile eziologicamente agli episodi di bullismo. Attesa, dunque, la piena condivisibilità, in termini sia logici che giuridici, del ragionamento seguito dal Tribunale, l’attribuzione di responsabilità all’(omissis) odierno appellante nella misura del 75% va confermata anche in questa sede.

6.3 Analogo ragionamento deve essere rivolto alle censure mosse alla liquidazione dei danni, dovendosi ritenere adeguatamente motivata l’avvenuta personalizzazione del danno, in linea con i dettami della giurisprudenza di legittimità, che ha evidenziato che in tema di quantificazione del danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge e dal criterio equitativo uniforme adottato dai giudici di merito (secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale attinente alla vita esterna del danneggiato, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e peculiari, che fuoriescono da quelle normali ed indefettibili secondo l'”id quod plerumque accidit” entro le quali non è giustificata alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento (Cass. ord. 23469/2018). Nel caso di specie, il fatto che la (omissis) abbia cambiato scuola ed abbia in seguito perso l’anno scolastico in quanto bocciata (circostanze, queste, mai contestate dall’Istituto nel precedente grado di giudizio, e dunque da ritenersi pacifiche) costituiscono esattamente quelle circostanze “eccezionali e peculiari” richieste dalla Suprema Corte ai fini della personalizzazione del danno.

6.4 Quanto alle ulteriori voci di danno, le stesse si rivelano perfettamente corrispondenti alle Tabelle di Milano 2021 applicate nel provvedimento impugnato, cosicché vanno interamente confermate in questa sede.

6.5 In merito, invece, alle doglianze relative all’avvenuto riconoscimento del danno morale in capo ai genitori della (omissis), va precisato che l’appellante muove simili critiche per la prima volta soltanto in grado di appello, nulla avendo rilevato nel precedente grado di giudizio, soprattutto all’indomani della CTU (allorchè era emerso che (omissis) non aveva più rapporti con il padre) o in sede di precisazione delle conclusioni. Va ad ogni modo evidenziato che la decisione del Tribunale si appalesa esente da rilievi, atteso che il rapporto parentale ed affettivo era certamente esistente al momento dei fatti e dell’iscrizione a ruolo della causa, avvenuta nel 2018 (cfr. pag. 18 CTU: “Quali sono i suoi rapporti con suo padre?” “Interrotti, anche il fratello. Dal 2018”) ed in considerazione del fatto che, secondo i principi stabili dalla Suprema Corte, il danno subito dai congiunti, a causa delle lesioni riportate da un loro caro per fatto illecito altrui, è un danno diretto, non riflesso, che può desumersi presuntivamente anche dal legale parentale, non essendo necessario lo sconvolgimento delle abitudini di vita (Cass. 7748/2020; Cass. 1640/2020). Attesa la gravità delle lesioni psichiche riportate da (omissis), la convivenza familiare sussistente al momento degli atti di bullismo e del successivo percorso di recupero intrapreso dalla allora minorenne, nonché l’assenza di prove contrarie circa la mancanza del legame parentale all’epoca della proposizione del giudizio, va confermata la liquidazione di tale voce di danno, adeguatamente motivata sulla scorta delle circostanze mai seriamente contestate dall’(omissis).

7. Concludendo, l’appello è infondato è va rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

8. Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo alla stregua del D.M. 55/2015, aggiornate con D.M. 147/2022, valori medi

9. Sussistono, infine, i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, atteso l’integrale rigetto del gravame.

P.Q.M.

La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando, così provvede:

1) respinge l’appello;

2) condanna l’appellante a rifondere agli appellati le spese del grado, che liquida in € 14.317,00, oltre 15% rimborso spese generali, iva e cpa come per legge, per compenso.

3) dichiara che la parte appellante è tenuta al pagamento di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello già dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in L’Aquila nella camera di consiglio del 17.7.2024.

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