(omissis)
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il presente giudizio ha ad oggetto l’impugnativa di licenziamento per preteso superamento del periodo di comporto. Con ricorso depositato il 2.08.2022, (omissis), dopo aver premesso di essere stato assunto dalla (omissis) s.p.a., azienda che impiega più di 15 dipendenti nello stesso stabilimento, in data 02.06.2018, e assegnato allo stabilimento sito in Barletta, alla via (omissis), ha dedotto: che con pec del 31.05.2022 la società gli comunicava il licenziamento per il presunto superamento del periodo di comporto di 180 giorni previsto dall’art. 186 del CCNL Commercio e Terziario; che con nota del 7.06.2022 impugnava il licenziamento eccependone la tardività e la mancata indicazione sia del numero globale di assenze per malattia che dell’arco temporale di riferimento; che con nota dell’8.06.2022 la società ribadiva la legittimità del licenziamento.
Ciò posto, ha dedotto l’illegittimità del licenziamento, evidenziando che non vi è stato superamento del periodo di comporto e ciò anche in considerazione del fatto che parte delle assenze dal lavoro è stata dovuta alla necessità di sottoporsi a terapie salvavita che devono essere sottratte al calcolo dei giorni per verificare il superamento e che di ciò era stata informata la società anche in relazione all’errore materiale in cui era incorso il medico di base dott. (omissis) nel redigere i certificati senza precisare che l’assenza era dovuta a terapia salvavita.
Infine, ha dedotto che nel caso di specie opera il regime delle c.d. tutele crescenti di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 23/2015, con diritto alla reintegra del lavoratore e al pagamento di un’indennità risarcitoria, trattandosi di licenziamento nullo o, in subordine, la tutela prevista dall’art. 3 del d.lgs. n. 23/2015.
In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale accerti e dichiari la nullità del licenziamento per insussistenza del superamento del periodo di comporto e condanni la resistente alla reintegra nel posto di lavoro, nonché al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 2, comma 2, d.lgs. n. 23/2015 fino alla reintegra nella misura massima consentita, o comunque, in subordine, condanni la società resistente a corrispondere l’indennità ex art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015; con vittoria di spese.
Costituitasi in giudizio, la (omissis) s.p.a. ha eccepito l’infondatezza della domanda, evidenziando che nel caso di specie l’art. 186 del CCNL
Commercio e Terziario prevede il limite massimo di 180 giorni in cui è possibile assentarsi per malattia, periodo superato considerando l’ultimo periodo di malattia (dal 7.04.2022 al 16.04.2022) e risalendo all’anno antecedente, in cui, dal 2.06.2021 al 30.11.2021, il ricorrente ha fruito di 181 giorni di malattia, dal 3.03.2022 al 4.03.2022 di 2 giorni di malattia, dal 12.03.2022 al 19.03.2022 di 8 giorni di malattia che, sommati all’ultimo periodo di 10 giorni, danno un totale di 201 giorni, superiore a quello consentito. Quanto alle presunte terapie salvavita, ha eccepito che solo l’ultimo certificato del 7.04.2022 reca l’indicazione dell’assenza per terapie salvavita ma non incide sul complessivo computo dei giorni in maniera rilevante e che in ogni caso delle rettifiche dei certificati non è stata mai informata la società.
In conseguenza di ciò ha concluso per il rigetto del ricorso con vittoria di spese.
La causa era ritenuta matura per la decisione senza necessità di attività istruttoria.
LA DECISIONE
1. Preliminarmente va confermata l’ordinanza con la quale la causa è stata ritenuta matura per la decisione senza necessità di attività istruttoria; ciò considerata la natura documentale della controversia, che verte su questioni essenzialmente giuridiche, il che rende irrilevanti le richieste istruttorie, in particolare formulate da parte resistente.
2.1 Nel merito, la domanda è fondata e va accolta.
In via di estrema sintesi, parte ricorrente ha impugnato il licenziamento a esso intimato per un duplice ordine di ragioni: il primo, relativo alla pretesa mancata indicazione dei singoli periodi di comporto; il secondo, relativo all’assenza dei presupposti per configurare il prospettato superamento del periodo di comporto posto alla base del licenziamento.
In primo luogo, risulta fondato il motivo di impugnazione inerente il presunto vizio del procedimento disciplinare che ha condotto al licenziamento del ricorrente, e segnatamente il vizio consistente nell’omessa indicazione puntuale dei periodi che, nella prospettazione della società resistente, sommati tra loro, avrebbero determinato il superamento del periodo di comporto previsto dall’art. 186 del CCNL Commercio e Confcommercio pacificamente applicato dalle parti.
Sul punto appare opportuno richiamare la giurisprudenza di legittimità che si è consolidata in materia e che, in particolare, differenzia le ipotesi di comporto “secco” (ossia caratterizzato da un unico periodo ininterrotto di malattia) e comporto “per sommatoria” (ossia caratterizzato dal conteggio di singoli periodi di malattia intervallati da periodi di lavoro).
Così, Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza n. 8628/2022:
“In tema di licenziamento per superamento del comporto, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, anche sulla base della L. n. 604 del 1966, novellato art. 2, che impone la comunicazione contestuale dei motivi, fermo restando l’onere di allegare e provare compiutamente in giudizio i fatti costitutivi del potere esercitato; tuttavia, ciò vale per il comporto cd. ‘seccò (unico ininterrotto periodo di malattia), ove i giorni di assenza sono facilmente calcolabili anche dal lavoratore; invece, nel comporto cd. per sommatoria plurime e frammentate assenze) occorre una indicazione specifica delle assenze computate, in modo da consentire la difesa al lavoratore. Valendo la regola generale dell’immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo di licenziamento anche nel caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, ai fini del superamento del suddetto periodo non può tenersi conto delle assenze non indicate nella lettera di licenziamento, sempre che il lavoratore abbia contestato il superamento del periodo di comporto e che si tratti di ipotesi di comporto per sommatoria, essendo esclusa, invece, l’esigenza di una specifica indicazione delle giornate di malattia nel caso di assenze continuative”.
La decisione citata risulta quindi chiara nel senso di richiedere che i singoli periodi di assenza per malattia siano specificati nei casi in cui si tratti di comporto superato “per sommatoria”.
In termini analoghi anche Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza n. 22392/2012, secondo cui “In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, l’art. 19, comma 1, del c.c.n.l. metalmeccanici dell’8 giugno 1999, nel prevedere che, in caso di superamento dei limiti di conservazione del posto per malattia, il lavoratore possa usufruire, su sua domanda, di un ulteriore, autonomo ma collegato, periodo di aspettativa aggiunto fino alla durata massima di 18 mesi, dopo il quale è nella facoltà dell’azienda procedere alla risoluzione del rapporto, configura una ipotesi di comporto per sommatoria. Ne consegue che, ove il recesso sia intimato senza precisare i diversi periodi di assenza, la mancata tempestiva ottemperanza dal datore di lavoro alla richiesta di specificazione del lavoratore (particolarmente significativa le ipotesi di comporto per sommatoria) ex art. 2 della legge n. 604 del 1966 esclude che di dette assenze possa tenersi conto ai fini della verifica del superamento del periodo di comporto, potendosi ritenere ammissibile una specificazione successiva, nella sede giudiziale, solo nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia direttamente impugnato il licenziamento, non essendo ravvisabile in ciò una integrazione o modificazione della motivazione del recesso”.
Particolarmente rilevante risulta poi, ai fini della risoluzione del caso di specie, quanto affermato nella motivazione della più recente decisione n. 5752/2019 della Suprema Corte in cui si ribadisce l’obbligo di indicazione puntuale di tali periodi da parte del datore di lavoro.
Si legge, infatti, nella motivazione della detta decisione “(…)Che il motivo è fondato, trovando in materia applicazione il principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui in base alle regole dettate dall’art. 2 della legge n. 604/1966 (modificato dall’art. 2 della legge n. 108 del 1990) sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso, qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo (ex aliis, Cass. n. 14873/2004, Cass. n. 23070/2007, Cass. n. 18196/2016), tanto più vigente il rafforzato obbligo di motivazione di cui all’art.1, co. 37, L. n. 92/12. In particolare questa Corte ha rilevato che nel licenziamento per superamento del periodo di comporto, a fronte della richiesta del lavoratore di conoscere i periodi di malattia, il datore di lavoro deve provvedere ad indicare i motivi del recesso ex art. 2, secondo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604 (modificato dall’art. 2 della legge n. 108 del 1990), in quanto le regole ivi previste sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso si applicano anche al suddetto licenziamento, non essendo dettata nessuna norma speciale al riguardo dall’art. 2110 cod. civ. (vedi, per tutte: Cass.24 gennaio 1997, n. 716; Cass. 13 luglio 2010, n. 16421; Cass.10 dicembre 2012, n. 22392; Cass. 13 gennaio 2014, n. 471; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2554, Cass. 16 settembre 2016 n. 18196, Cass. n. 21042/18)”.
Fa. questa premessa, osservano i Giudici di Legittimità, sempre nella motivazione della medesima decisione “Che il principio risulta tanto più corretto laddove si versi, come nella specie, in ipotesi di comporto per sommatoria, con conseguenti difficoltà di individuare sia il numero delle assenze che l’arco temporale di riferimento. Può al riguardo precisarsi che questa Corte ha pure affermato (v. Cass. n.21377/2016, Cass. n. 23920/2010, Cass. n. 23312/2010, Cass. n. 8707/2016) che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non è assimilabile al licenziamento disciplinare, per cui solo impropriamente, riguardo ad esso, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale, con la conseguenza che il datore di lavoro non deve indicare nella comunicazione i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile (nella specie pure difettanti), come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo poi restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato; ed inoltre che tali argomentazioni restano valide anche dopo la modifica del comma 2 dell’art. 2 della L. n. 604 del 1966 realizzata con l’art. 1 comma 37 della L. n. 92 del 2012, che ha imposto la comunicazione dei motivi contestuale al licenziamento, considerato che l’onere di forma ha la funzione di individuare e cristallizzare la ragione giustificativa del provvedimento espulsivo, che nel caso è riferita ad un evento, l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta” .
Proprio sulla base di tale ricostruzione, nella citata decisione si giunge a sanzionare il comportamento della società datrice di lavoro, osservando che “Deve tuttavia rilevarsi che, non avendo la società dato alcun seguito alla richiesta del ricorrente ex art. 2 L. n. 604/66 né prodotto la lettera di licenziamento, non può che prendersi atto che in essa non solo non erano affatto indicati i giorni di assenza ma, come affermato dalla stessa sentenza impugnata, il licenziamento era stato genericamente motivato col superamento del periodo di comporto di cui al c.c.n.l. legno e arredamento (oltre che per la sua eccessiva morbilità).
Trattandosi di complessi calcoli di cui sono prova le reciproche ed analitiche opposte ricostruzioni delle parti, l’obbligo dell’azienda che aveva ricevuto la legittima richiesta di specificare i giorni calcolati, non poteva essere superata dalla affermata possibilità di provare ciò nel corso del giudizio.
In ogni caso occorre qui puntualizzare che il principio espresso circa la sufficienza della ragione del recesso consistente nel
‘superamento del periodo di “comporto”, deve condividersi con riferimento ad un periodo di comporto cd. secco (riferito cioè ad unica malattia, ove i giorni di assenza sono facilmente calcolabili anche dal lavoratore) mentre non può trovare applicazione nel caso (come quello di specie) ove il calcolo del periodo di comporto avvenga per sommatoria nell’arco di un lungo arco temporale caratterizzato da numerose e frammentate assenze, che non consente obiettivamente al lavoratore di approntare le proprie difese” .
2.2 Applicando tali principi al caso di specie – condivisibili perché espressione sia del principio che impone un rigoroso obbligo di contestazione specifica al datore di lavoro sia delle esigenze di tutela della salute del lavoratore che rischia di essere sacrificato nel caso di un non adeguato esercizio del potere di licenziare in caso di superamento del periodo di comporto – deve osservarsi che la contestazione effettuata dalla società resistente risulta assolutamente generica proprio sul piano dell’indicazione dei presunti periodi da considerare ai fini del preteso superamento del periodo di comporto.
E infatti, nella lettera di licenziamento del 31.05.2022 si afferma “Con la presente siamo a comunicarLe che la Scrivente ha maturato l’intenzione di procedere al Suo licenziamento, in quanto Lei ha superato il periodo di comporto pari a 180 giorni, come sancito dall’articolo 186 del CCNL Commercio Confcommercio” (cfr. all. 2 della produzione di parte ricorrente); è evidente che la lettera risulta del tutto vaga e generica sia in ordine all’indicazione del complessivo lasso di tempo considerato ai fini del calcolo del superamento del periodo di comporto, che in ordine alla specifica indicazione dei singoli periodi, rispetto a cui manca qualsiasi specificazione.
Inoltre, assume rilevo la circostanza che, successivamente, con lettera del 7.06.2022, il ricorrente impugnava stragiudizialmente il licenziamento, evidenziando tra l’altro che “si rileva sia la tardività della lettera di licenziamento, che la mancata indicazione nella stessa di elementi necessari, quali il numero di assenze totali per malattia e l’arco temporale di inquadramento del periodo di comporto” (cfr. all. 4 della produzione di parte ricorrente), con ciò, quindi, formulando una specifica contestazione in ordine alla mancata indicazione proprio degli elementi innanzi indicati, indispensabili alla luce dei principi fin qui richiamati. Inoltre, nella medesima lettera, si affermava “Vi segnalo che erroneamente alcuni certificati medici non contengono l’indicazione “patologia grave che richiede terapia salvavita” per una mera svista del medico di base, che ha inoltrato richiesta di rettifica alla Direzione Provinciale dell’INPS di (omissis)., con ogni relativa conseguenza”.
A fronte di tale richiesta, nulla risulta però specificato, nonostante la specifica contestazione stragiudiziale svolta dal lavoratore, nella successiva lettera di licenziamento del 08.06.2022, redatta nell’interesse della società resistente dal proprio difensore. In tale lettera, infatti, in risposta alla impugnazione stragiudiziale la società si limitava ad affermare che “Ogni valutazione infatti, è stata operata sulla scorta della documentazione trasferita alla mia assistita da parte del (omissis), per cui ogni contestazione in merito appare strumentale e tardiva” (cfr. all. 5 della produzione di parte ricorrente).
Da ciò consegue, quindi, che la società in sede stragiudiziale è stata messa nelle condizioni di esercitare correttamente il potere di licenziare il lavoratore, ma, a fronte di ciò, ha continuato a non precisare alcunché, rendendo quindi concretamente e sostanzialmente non esercitabile il diritto di difesa del lavoratore che, di fatto, ha potuto conoscere specificamente i presunti periodi di assenza computati dalla società solo con la costituzione in giudizio di quest’ultima.
Infatti, solo in seguito alla costituzione in giudizio della società, che ha specificato i periodi di presunta assenza per malattia rilevanti ai fini del superamento del periodo di comporto (cfr. pp. 4 e 5 memoria difensiva), il lavoratore ha potuto esplicare in maniera più puntuale la difesa in ordine ai singoli periodi contestati, tant’è che in prima udienza ha menzionato la necessità di escludere dal computo il periodo dal 12.03.2022 al 19.03.2022, per il quale nel certificato medico era ab origine indicata la destinazione a terapie salvavita e anche il periodo dal 7.04.2022 al 16.04.2022 per le medesime ragioni.
Ciò rende evidente l’assoluta centralità e importanza che rivestiva nel caso di specie l’obbligo del datore di lavoro di specificare i singoli periodi di comporto e ciò non solo nell’ottica della tutela del diritto alla difesa del lavoratore, ma anche nell’interesse dello stesso datore di lavoro, che potrebbe aver computato erroneamente alcuni periodi, come risulta nel caso di specie proprio per i periodi di marzo e aprile da ultimo indicati.
Tale profilo rende quindi illegittimo il licenziamento, non risultando osservato l’obbligo del datore di lavoro di indicare puntualmente i periodi computati dallo stesso per verificare il preteso superamento del periodo di comporto.
3.1 A ciò si aggiunga che, in ogni caso, dalla documentazione prodotta dal ricorrente risulta che, per una parte consistente dei periodi considerati dalla resistente ai fini del calcolo del preteso superamento del periodo di comporta, il lavoratore era in realtà sottoposto a terapie salvatita, con la conseguenza che tali periodi vanno necessariamente esclusi dal computo.
Risulta depositata, infatti, una pec inviata alla Direzione Provinciale (omissis) del 4.06.2022 con la quale il (omissis) afferma “Con la presente comunico una precisazione relativa ai certificati di malattia rilasciati al (omissis), nato in Kenia il 1957 . Nel mese di agosto 2021 gli è stato diagnosticato un linfoma per il quale è stata impostata terapia ciclica.
Pertanto, a partire dal 26/08/2021, tutte le certificazioni di malattia che ho rilasciato al Sig. De. rientrano nella agevolazione relativa a “terapia salvavita”, anche se, per una mia svista, non sempre ho inserito la spunta sulla voce corrispondente. Chiedo quindi di prenderne nota e considerare tutti i certificati rilasciati dal 26/08/2021 in poi con la specificazione di “terapia salvavita” (cfr. all. 6 della produzione di parte ricorrente).
Tale dichiarazione trova riscontro nella documentazione medica allegata al ricorso, da cui risulta, tra l’altro, che al ricorrente era stata diagnosticata “miopatia infiammatoria e miosite necrotizzante sieronegativa di luglio e settembre 2021” (cfr. all. 9 della produzione di parte ricorrente).
Di tale circostanza, peraltro, era resa edotta la società resistente nella già citata lettera del 7.06.2022 di contestazione del licenziamento, in cui si affermava “Vi segnalo che erroneamente alcuni certificati medici non contengono l’indicazione “patologia grave che richiede terapia salvavita” per una mera svista del medico di base, che ha inoltrato richiesta di rettifica alla Direzione Provinciale dell’INPS di An., con ogni relativa conseguenza”.
Se è vero che si tratta di una precisazione successiva al licenziamento stragiudiziale, è altrettanto vero che essa è frutto di una rettifica formale effettuata dal medico di medicina generale che seguiva il ricorrente, il quale manifestava pubblicamente tale volontà di rettificare i certificati comunicando ciò all’INPS; inoltre, proprio lo scambio di comunicazioni stragiudiziali avrebbe potuto consentire alla società resistente di valutare se, alla luce di quanto ulteriormente dedotto e contestato dal ricorrente, persistessero le condizioni per procedere al licenziamento.
La rettifica effettuata assume rilievo perché dalla stessa emerge che già nel primo periodo computato dalla società (2/06/2021 – 30/11/2021), pari a complessivi 181 giorni, andava scomputato un consistente numero di giorni invece conteggiato dal datore di lavoro (nella lettera di rettifica si fa riferimento, infatti, al periodo dal 26/08/2021), il che significa che in luogo di 181 i giorni computabili si riducono a 85 che, sommati agli altri periodi specificati solo nella memoria difensiva dalla società – pari in realtà a soli altri due giorni, dal 3.03 al 4.03.2022, atteso che gli altri due periodi, dal 12 al 19.03.2022 e dal 7.04 al 16.04.2022 non possono computarsi perché corredati da certificazione medica per la quale risulta barrata l’apposita indicazione di sottoposizione del paziente a terapia salvavita – danno luogo a un periodo complessivo di 87 giorni, notevolmente inferiore a quello di 180 giorni previsto dall’art. 186 del CCNL applicato al rapporto.
Quanto alla necessità di escludere dal computo rilevante ai fini della verifica del superamento del periodo di comporto i periodi di sottoposizione a terapie salvavita, deve ritenersi che tale esclusione operi anche se non espressamente prevista dal CCNL, in quanto espressione dell’art. 32 della Costituzione e della necessità di salvaguardia del diritto alla salute, che costituisce bene primario dell’individuo da tutelare, con la conseguenza che, in presenza di assenze del lavoratore per sottoposizione a cure e terapie salvavita, tali giorni non possono certamente essere computati proprio perché l’assenza risulta giustificata dall’esigenza di tutelare la salute del lavoratore che, come quella di ogni uomo, trova la propria fonte nella Carta Costituzionale (in questo senso anche Trib. Roma, sent. n. 9384/2022 del 2.01.2023).
Ne consegue che, alla luce della mancata specificazione dei periodi rilevanti ai fini del presunto superamento del periodo di comparto – che ha impedito al lavoratore di comprendere i periodi considerati e di apprestare compiutamente le proprie difese -, tenuto conto anche del fatto che, pur a fronte di specifica contestazione stragiudiziale (lettera del 7.06.2022), il datore di lavoro nulla ha specificato né sui singoli periodi computati ai fini del calcolo complessivo di 180 giorni, né sulla problematica inerenti le certificazioni relative all’assoggettamento a terapie salvavita e considerato, altresì, che dalla documentazione prodotta in atti e in particolare dalla richiesta di rettifica delle certificazioni presentata dal medico di medicina generale che aveva in cura il ricorrente, peraltro indirizzata all’INPS, da cui emerge che già nel primo periodo computato 2/06/2021 – 30/11/2021, pari a complessivi 181 giorni, andava scomputato un consistente numero di giorni invece conteggiato dal datore di lavoro (nella lettera di rettifica si fa riferimento, infatti, al periodo dal 26/08/2021), deve ritenersi che nel caso di specie difettino radicalmente i presupposti perché si possa procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto, dovendosi escludere la sussistenza di tale condizione.
3.2 Da ciò consegue, quindi, che il licenziamento impugnato è affetto da radicale nullità.
Così, Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenza n. 19661/2019:
“Nei rapporti di lavoro ai quali non si applica l’art. 18 della l. n. 300 del 1970, secondo la normativa “ratione temporis” vigente, gli effetti del licenziamento dichiarato nullo, ai sensi dell’art. 2110, comma 2, c.c., perché intimato in mancanza del superamento del periodo cd. di comporto, non sono regolati, in via di estensione analogica, dalla disciplina dettata dall’art. 8 della l. n. 604 del 1966, bensì, in assenza di una espressa regolamentazione, da quella generale del codice civile”.
In termini analoghi anche la più recente sentenza n. 27334/2022, secondo cui “Nel sistema delineato dall’art. 18 della l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, il licenziamento intimato in violazione dell’art. 2110, comma 2, c.c., è nullo e le sue conseguenze sono disciplinate, secondo un regime sanzionatorio speciale, dal comma 7, che a sua volta rinvia al comma 4, del medesimo art. 18, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro”.
Alla luce di ciò la domanda di impugnativa deve essere accolta e, per l’effetto, il licenziamento intimato al ricorrente (omissis) il 31.05.2022 deve essere dichiarato nullo e il datore di lavoro (omissis) s.p.a. deve essere condannato a reintegrarlo nel posto di lavoro.
Inoltre, ai sensi dell’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 23/2015, il datore di lavoro va condannato al pagamento di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (tenuto conto delle buste paga in atti), dal giorno del licenziamento e fino all’effettiva reintegra, dedotto l’aliunde perceputm, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Spese processuali Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate ai sensi del d.m. n. 55/14, come modificato dal d.m. n. 147/22 applicando i valori non inferiori minimi dello scaglione di riferimento (indeterminabile-complessità media), tenuto conto della attività processuale svolta e delle ragioni della decisione e della nota spese in atti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, pronunciando sulla controversia come innanzi proposta, così provvede:
1. accerta e dichiara la nullità del licenziamento intimato al ricorrente (omissis)il 31.05.2022 e, per l’effetto, condanna la (omissis) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, a reintegrarlo nel posto di lavoro, nonché, ai sensi dell’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 23/2015, al pagamento di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto(tenuto conto delle buste paga in atti), dal giorno del licenziamento e fino all’effettiva reintegra, dedotto l‘aliunde perceputm, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;
2. condanna la (omissis) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese processuali in favore di (omissis), che liquida in € 259,00 per spese vive ed € 5.664,00 per compenso professionale, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15% come per legge.
Trani, 18.09.2023
Il giudice (omissis)